Un aforisma, un commento

mercoledì 13 gennaio 2016


“L’antropologia culturale ci ha insegnato che ogni popolazione, primitiva o meno, ha una propria cultura. Questo insegnamento è stato poi applicato anche ad altre sfere sociali, cosicché abbiamo una cultura giovanile, una cultura della legalità, una cultura aziendale, una cultura dello sport, una cultura dell’alimentazione, una cultura del benessere, persino una cultura dello ‘sballo’. Insomma, siamo finalmente tutti uomini di cultura”.

Prima che approdasse all’antropologia culturale, il termine ‘cultura’ ha vissuto molteplici vicissitudini filosofiche, anche in rapporto al termine, solo apparentemente analogo, di ‘civiltà’. Oggi sopravvive ancora una definizione della cultura simile alla paidéia greca o alla latina humanitas ma l’antropologia culturale ha introdotto una versione più empirica del concetto, per cui la cultura è l’insieme delle conoscenze, degli usi e costumi, delle tecniche, del diritto e delle religioni che caratterizzano una popolazione geograficamente o etnicamente ben delimitata. A sua volta il termine ‘civiltà’, pur nelle sue varie modulazioni, costituisce una sorta di valore aggiunto della cultura in quanto indica l’arricchimento di quest’ultima, intesa come un prodotto naturale dell’uomo, grazie all’introduzione di istituzioni, principi e norme non derivanti dalla sola natura umana bensì dalla sua successiva elaborazione.

L’estensione del concetto di cultura che abbiamo indicato nell’aforisma non è altro che il risultato della consueta deformazione che i concetti scientifici subiscono quando se ne impossessano i mass media e, poi, il linguaggio di coloro che credono di consolidare il proprio pensiero e la propria reputazione intellettuale attraverso le parole più raffinate. La stessa cosa è infatti accaduta per altri termini, come, per esempio, ‘struttura’ o ‘sistema’. Ormai si sente parlare di strutture ovunque e non solo, come è giusto, nell’ambito della carpenteria, dell’ ingegneria o della matematica, ma della famiglia, delle aziende ospedaliere, della politica, dell’arte, delle organizzazioni e persino dei salari. Quanto al ‘sistema’, nell’accezione della systems theory, esso dilaga ovunque si vorrebbe dar mostra di aver colto le cose nel loro insieme o di saper risolvere problemi di varia natura, appunto ‘facendo sistema’. C’è poi, recentissimo, il termine ‘narrazione’ che, derivato dalla teoria dei grands recits di Lyotard, viene applicato disinvoltamente a qualsiasi discorso, quasi sempre politico, che non si condivida, credendo in tal modo di ridicolizzare l’avversario mentre non si fa altro che produrre una propria narrativa.

Stretti alle corde, ben pochi saprebbero però definire correttamente questi concetti e ciò va di pari passo col carattere puramente allusivo e generico del lessico contemporaneo, che sembra privilegiare la comunicazione purchessia piuttosto che l’argomentazione limpida e ben fondata.


di Massimo Negrotti