Colonia: la tomba del multiculturalismo

martedì 12 gennaio 2016


La notte di terrore del Capodanno di Colonia rimanda al problema cardine del rapporto tra le comunità autoctone e le masse d’immigrati. Lo spazio territoriale europeo, nel quale esse sono confluite, non è solo una realtà geografica ma è prima di tutto una dimensione culturale.

Essere europei significa condividere uno specifico patrimonio fatto di valori, linguaggi e tradizioni, diverso da quelli di altre aree del pianeta. È storia dell’umanità: i popoli sono progrediti seguendo autonome traiettorie di sviluppo della condizione umana. Dalle culture sono scaturite le civiltà che, nel tempo, si sono incontrate e combattute. Tuttavia, in nessun momento esse sono coesistite nel medesimo contesto sociale. Una comunità statuale fonda se stessa su una lingua, una storia, una tradizione e un ordinamento giuridico comunemente accettati e riconosciuti dai singoli membri che la compongono. Al contrario, ciò che propone di realizzare la moderna ideologia del multiculturalismo è folle, se non suicida. Essa vorrebbe che culture diverse, anche opposte, convivessero pacificamente nell’ambito della medesima comunità.

Questo non è possibile perché l’esistenza di un aggregato umano è garantita dal possesso di una propria visione del mondo che lo caratterizza e lo distingue dagli altri. Per questa ragione è giusto parlare, senza scandalizzarsi, di “cultura dominante” descrivendo le dinamiche che animano una qualsiasi realtà sociale. Una comunità forte e in salute non può che rivendicare orgogliosamente la propria radice identitaria e per nulla può essere disponibile a farsela strappare. Il che non esclude il fatto che sia possibile provarci: se così non fosse stato la storia dell’umanità avrebbe avuto la pace a comune denominatore e non la guerra, come in effetti è. Provarci è un conto, riuscirci un altro. Il diritto universalmente riconosciuto all’individuo di poter migrare dalla propria terra verso nuovi approdi deve essere bilanciato dall’eguale diritto degli autoctoni a difendere la propria identità distintiva da ogni fattore esogeno, o endogeno, che ne minacci la sopravvivenza.

Ora, in Europa è accaduto qualcosa di paradossale: hanno preso piede correnti di pensiero che brigano per l’autoaffondamento della cultura Occidentale. Esse predicano l’avvento messianico di un nuovo ordine mondiale portatore di egualitarismo sociale e di pace tra i popoli. Per favorire l’evento provvidenziale si è pensato bene di bandire dalla memoria collettiva i simboli della Tradizione, come i crocifissi, i presepi e i canti natalizi. Poi, si è scommesso sulla santità del principio dell’accoglienza illimitata. La prassi dell’abbattimento delle frontiere, giudicate anticaglie di uno scomodo passato, è divenuta un esorcismo laico.

Per completare l’opera si è pensato di pervertire il concetto di tolleranza traducendolo nella convenienza di consentire agli immigrati la creazione di zone franche all’interno delle quali far valere per se stessi norme diverse da quelle dell’ordinamento giuridico delle comunità ospitanti. Tutta questa cessione di sovranità sul fronte della cultura dominante ha prodotto i fatti di Colonia. Pur di continuare a sostenere la teoria del multiculturalismo i suoi fautori hanno cercato di confondere le idee all’opinione pubblica parlando di integrazione.

Ma come ha spiegato magistralmente Ernesto Galli della Loggia nel fondo domenicale sul Corriere della Sera, il progetto d’integrazione è radicalmente contraddittorio con il multiculturalismo perché, come dice la parola, integrarsi significa adottare volontariamente la cultura, cioè la visione del mondo, di qualcun altro. Dopo i fatti di Colonia l’intera comunità europea ha il dovere d’interrogarsi su cosa fare del proprio futuro: continuare a esistere o arrendersi ai modelli culturali importati con i nuovi venuti? Ridotto all’osso, il problema di fondo di questo tempo storico per la nostra civiltà è tutto qui: tramandarsi o estinguersi?


di Cristofaro Sola