Economia di giro

sabato 9 gennaio 2016


Sempre in tema di ignoranza economica diffusa, molti notiziari televisivi hanno riportato con una certa enfasi un recente rapporto dell’Istat relativo al tema sempre caldo delle pensioni. In particolare l’aspetto messo in evidenza dai media è stato quello relativo al cosiddetto rischio di povertà, stimato dallo stesso Istituto di statistica assai più basso se in una famiglia è presente almeno un pensionato. Ergo, si evince da questa impostazione di fondo becero-keynesiana, la previdenza costituisce un colossale e benefico ammortizzatore sociale che andrebbe addirittura incrementato nei livelli di spesa, onde aiutare il Paese ad uscire dalle secche di una oramai storica stagnazione, a prescindere dagli zero virgola sbandierati da chi ci amministra a chiacchiere.

In altri termini, ancora una volta nella mente di chi fa informazione economica, al pari dei politici di professione, alberga la balzana idea che la crescita sia il risultato di fattori contabili. Fattori contabili che, alimentati da decisioni di spesa del Governo di turno, sono destinati inesorabilmente a trascinare in un circolo virtuoso ogni forma di produzione di mercato la quale, come cerco sempre di far rilevare, è l’unica fonte di ricchezza. Ma in realtà, tenendo a mente il magnifico “racconto della finestra rotta” del grande Frèdèric Bastiat, le pensioni – che in Italia costituiscono un fardello senza pari tra i Paesi più industrializzati – rappresentano solo una colossale partita di giro che consuma enormi risorse le quali, ed è questo il punto nodale, vengono sottratte al citato sistema produttivo di mercato, soffocandone le potenzialità di sviluppo.

Ciò significa che ciò che si vede, il reddito delle famiglie allargate incrementato dalla presenza dei nonni, occulta ciò che non si vede, ossia le grandi opportunità di benessere collettivo distrutte alla fonte da una partita di giro tra produttori e consumatori previdenziali che oramai supera il 17 per cento del reddito nazionale.


di Claudio Romiti