mercoledì 6 gennaio 2016
Una brutta vigilia di Natale per l’informazione. Con un doppio colpo, per alzata di mano al Senato, il Governo s’impossessa della Rai e del controllo, anno per anno, delle fonti di finanziamento del servizio pubblico, uno degli strumenti più potenti per condizionare la gestione e le scelte editoriali dell’azienda di viale Mazzini. In rete si sprecano le battute e le osservazioni sull’uomo solo al comando dopo che per mesi - Matteo Renzi, presidente del Consiglio e leader del Pd - aveva promesso di togliere la Rai ai partiti. A riforma varata il giudizio più ricorrente è “la Rai proprietà dei partiti per legge”.
Un gruppo di navigatori della rete ha così sintetizzato quanto avvenuto in Parlamento. Il 22 dicembre 1947 la Costituzione italiana fu varata con il contributo di Calamandrei, De Gasperi, Fanfani, Moro, Croce, Einaudi, Pertini, Nenni, Togliatti, Terracini, Parri e La Malfa (considerati i padri costituenti); il 22 dicembre 2015 con una votazione per alzata di mano (nessuno ha chiesto la votazione con il procedimento elettronico per accelerare le partenze per tre settimane di vacanze) è stato inferto un duro colpo ad uno dei principi fondamentali della Costituzione: la libertà di pensiero. I punti salienti di quella che è stata la controriforma Rai in sostituzione della legge Gasparri sono: un superamministratore delegato che prende il posto del direttore generale e un Consiglio di amministrazione a sette con la maggioranza di quattro membri delle forze maggioritarie in Parlamento (e cioè due membri eletti dalla Camera, due dal Senato, due dal Governo e uno dall’assemblea dei dipendenti).
Il Cda elegge uno dei suoi componenti Presidente (chiamato erroneamente di garanzia), dopo il sì dei 2/3 della Commissione di vigilanza. In pratica con la nuova legge Palazzo Chigi e il ministro dell’Economia hanno poteri decisionali molto più forti di prima dal momento che la scelta del capo azienda passa dalle loro determinazioni. La politica, quindi, resta dentro la Rai e cristallizza quello che è successo nell’arco degli ultimi sessant’anni attraverso un continuo “spoil system” dentro il più grande vettore di cultura del Paese. Chi comanda politicamente, comanda il servizio pubblico allungando a cinque anni la convenzione con lo Stato. Le preoccupazioni dei giornalisti sono state espresse dal segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, e dal neo eletto segretario dell’Usigrai, Vittorio Di Trapani, che in una nota comune hanno precisato: “Il Presidente del Consiglio aveva promesso di togliere la Rai ai partiti e di restituirla ai cittadini. L’ha invece messa alle dirette dipendenze del Governo. Con un doppio colpo Palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i due pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza del servizio pubblico: le fonti di nomina e i finanziamenti. Ora c’è il concreto rischio di scivolare ancora più in basso nelle classifiche mondiali per la libertà d’informazione dove l’Italia è già da troppo tempo in fondo”.
Il discorso è chiaro. L’attuale direttore generale, Antonio Campo Dall’Orto, diventa l’amministratore delegato. Nella legge di stabilità il canone (ridotto a 100 euro l’anno) passa nella bolletta per l’elettricità al fine di ridurre l’enorme evasione della tassa più odiata dagli italiani. La discrezionalità delle nomine, interne ed esterne (per i direttori delle Reti e dei canali tv dovrà sentire il Cda ma questo non potrà bloccarne le scelte mentre per i direttori delle testate il Cda può respingere i nomi solo con una maggioranza dei 2/3 dei membri e cioè quattro voti su sette), delle assunzioni, degli appalti fino a 10 milioni e dell’attuazione del piano industriale rendono l’amministratore delegato per tre anni una specie di arbitro insindacabile della vita dell’azienda.
Il presidente della Vigilanza, il rappresentante del Movimento Cinque Stelle Roberto Fico, ha bocciato la legge come “la peggiore che si potesse congegnare per il servizio pubblico. Non esiste una riforma Rai. In pericolo ci sono il pluralismo e la libertà d’informazione con gravi ripercussioni sugli equilibri democratici”. Drastico il giudizio del senatore Maurizio Gasparri, autore della riforma del Governo Berlusconi, secondo il quale si tratta di una leggina incostituzionale. “Sarà stracciata - ha aggiunto - per la sua palese illegalità, un atto di protervia, negando quattro sentenze della Corte Costituzionale”. Secondo il parere di molti, anche degli interessati di Saxa Rubra, non è certo il nuovo che avanza dopo l’accantonamento del piano Gubitosi che aveva l’obiettivo confuso di accorpare alcune strutture informative. Contrariamente alle indicazioni del responsabile della spending review, Carlo Cottarelli, viene confermata la permanenza in ogni Regione e Provincia Autonoma di una redazione propria per fare informazione e di strutture adeguate per specifiche produzioni.
Con le elezioni amministrative alle porte in molti Capoluoghi e città in mano al centrosinistra e con le Regioni in prevalenza governate da esponenti del Pd era pericoloso toccare le realtà regionali anche se attendono un riesame sulla loro missione ferma dalla nascita del 1979 ai tempi dell’alleanza tra il democristiano Biagio Agnes, il socialista Enrico Manca e il comunista Antonio Tatò. Dal tripartito si passa all’amministratore dai superpoteri, dopo aver ottenuto il viatico alla Leopolda in attesa che nel 2018 si nomini il nuovo Consiglio di amministrazione. L’obiettivo è di recuperare 420 milioni l’anno di evasione e portare il fatturato Rai, compresi gli introiti della pubblicità, vicino ai 3 mila miliardi che sono il badget di France Télévision dove il canone è associato alla residenza e costa 133 euro.
di Sergio Menicucci