martedì 5 gennaio 2016
Il 5 febbraio 1973, era una stanza piccola, adibita a studio, con libri negli scaffali alle pareti. La finestra. Dinanzi: la basilica di san Lorenzo. Enunciavo la questione intellettuale e fondavo qualcosa che è un movimento culturale internazionale, una casa editrice, un istituto di ricerca e di formazione, un'impresa intellettuale. Proprio allora, mi sembrava che l'ideologia, che è sempre ideologia dell'invidia e della morte, fosse giunta all'apogeo, non ancora al trionfo, ma quasi. Sembrava che bastasse poco.
Ma la cultura, l'arte, l'intellettualità, i dispositivi intellettuali nei vari paesi non erano in direzione della credenza e dell'osservanza rispetto all'ideologia. Non soltanto gli uomini di cultura e di arte, ma i giovani, a Mosca, a New York, a Parigi, a Londra, nonostante l'ideologia, non credevano più – caso mai avessero creduto. Anni difficili, anni di grande attenzione, anni in cui i libri, tuttavia, si leggevano. Curiosità immensa, nei giovani. Fra l’Università Cattolica e l’Università Statale (la basilica di san Lorenzo sta, con piazza Vetra, fra la Cattolica, la Statale e la Bocconi) e i centri che allora erano centri culturali (pur con le mire delle ideologie per un'egemonia sulla cultura) e che costituivano i cosiddetti luoghi d’incontro e di parola, avevo colto un disagio che sfuggiva all'ideologia, un disagio intellettuale. Questo disagio arrivava a enunciare qua e là, in maniera contraddittoria, temi, questioni, tratti. E così, quindi, anche l'esigenza del dibattito, che è il principale dispositivo di parola in un paese.
Così, dopo pochi mesi, due congressi: 8-9 maggio, Psicanalisi e politica e, 13-16 dicembre, Follia e società segregativa. La psicanalisi era una cosa nuova. Quella recepita dalla provincia era interamente assorbita dalla mentalità di provincia e tollerata soltanto in certo modo dalle due chiese, convertita secondo i canoni, per ciò recuperabile. E la politica era quella di Aristotele, la politica che procede dalla logica predicativa, la politica che seguiva la logica del sì e del no, quindi, il principio del terzo escluso, dell'espunzione dell'Altro, politica dell'intolleranza, con il suo partito dell'intolleranza. Non c'era ancora il partito dello psicofarmaco, ma si preparava. L'abolizione degli ospedali psichiatrici avrebbe sancito, in via definitiva, il trionfo della psicofarmacologia, anche sulla psicoterapia. Poi, in attesa di trovare un compromesso sostenibile fra psicoterapia e psicofarmacologia s’inaugurava, allora, la facoltà di psicologia a Padova. Una facoltà inaugurata in modo previdente!
La psicologia avrebbe ulteriormente addomesticato la psicanalisi e la politica e, anche, avrebbe dovuto addomesticare, insieme con la psicofarmacologia, il disagio: trasformarlo da disagio intellettuale, da virtù del principio della parola, in disagio mentale, il disagio attribuibile a questa creatura gnostica che è il soggetto. Nel 1974, il primo congresso internazionale di semiotica a Milano, ma, anche, la venuta di Lacan in Italia. E, il 23-25 maggio, un altro congresso: Psicanalisi e semiotica. Poi, a Roma, in ottobre, il congresso dell'Ecole Freudienne. Ma al congresso dell'Ecole Freudienne, a Roma, nessun giornale, nessuna eco. Al congresso Psicanalisi e semiotica, una vastissima eco. Milano, 25-28 novembre 1975: congresso Sessualità e politica. Qui, il congresso è planetario, non soltanto europeo, con tremila persone. Poi, l'anno successivo, 1-4 dicembre 1976, a Milano, il congresso La follia, con cinquemila persone.
La città era invasa da partecipanti di vari paesi: su cinquemila, almeno tremila erano stranieri, almeno duemila venivano dalla Francia, ma venivano anche dalla Svizzera, dalla Germania, dal Belgio, dalla Spagna, da varie parti d'Europa. Poi, il 1977: congressi in maggio a Lisbona, Pratica della psicanalisi; in giugno a Lubiana, Il politico e l’inconscio; 24-26 novembre a Milano, La violenza. Poi, il 1978: Parigi, 4-5 febbraio, Dissidenza dell’inconscio e poteri; Cordova, 6-7 maggio, Allucinazioni; Londra, 9-11 giugno, Esplorazioni della follia; Milano, 23-25 novembre, Dell’arte… i bordi. Poi, 1979, ancora Parigi, 10- 12 maggio, L’intellettuale; e Milano, 30 giugno-1 luglio, Il monoteismo. Poi, 1980: 30 gennaio-2 febbraio a Milano, L’inconscio; 8-10 maggio a Parigi, La verità; a settembre Barcellona, La sessualità; 20-22 novembre a Caracas, L’inconscio. Nel 1980, esce il libro La peste in Italia e in Francia. Una pagina intera di “Le Monde” riporta giudizi e pareri intorno alla Peste. Nel 1981, congressi internazionali a Milano, 28-31 gennaio, Il sembiante e la peste; e a New York, 30 aprile-2 maggio, Sesso e linguaggio.
Poi, nel 1982, 28-30 gennaio, a Roma, La cultura; 27-29 maggio a Parigi, La voce e il sesso; e ancora a Milano, 26-28 novembre, La psicanalisi. Congressi seguiti dalla stampa mondiale, quindi, d'impatto mediatico planetario. Ma altri ancora: nel 1983, 24-25 settembre, a Venezia, La scuola e le fondazioni di cultura nel secondo rinascimento; 6-9 dicembre a Gerusalemme, Freud. E poi, Tokio, 4-6 aprile 1984, Il secondo rinascimento. La sessualità: da dove viene l’oriente, dove va l’occidente: congresso grandioso, dove il coinvolgimento del Giappone e dell'Asia, insieme con l'Europa e l'America, avveniva in un modo assolutamente nuovo per il Giappone, per l'Europa, per l'America. Durante il congresso, Jorge Luis Borges dice a Maria Luisa Spaziani: “Fra un anno, parlare male di Verdiglione in Italia sarà uno sport nazionale”.
Di ritorno dal Giappone, Vittorio Mathieu, come altri che avevano fatto uscire articoli in Francia, in America, in Russia, in Cina, in Giappone, proponeva al “Giornale” un suo resoconto – lui che è un filosofo importantissimo in Italia, un collaboratore costante e molto apprezzato del “Giornale” – intorno al congresso. Gli viene detto: “No, non possiamo pubblicarlo perché tra un anno ci sarà un processo a Verdiglione”. Nell’aprile del 1984, di questo processo non c'era nessun indizio, nessuna premessa, nessun pretesto. Ma il pretesto sarebbe arrivato dopo, nel gennaio del 1985. Il 2-4 novembre 1984, nel quarto centenario della morte di san Carlo, viene inaugurata Villa San Carlo Borromeo con una larga e qualificata partecipazione internazionale: Borges, Ionesco, tanti scrittori, intellettuali, compositori, artisti, poeti, imprenditori, banchieri. Il titolo del congresso d’inaugurazione è Il secondo rinascimento. La finanza e la scienza. Analisi della struttura direttiva dell’industria, della banca e dell’assicurazione. Il pretesto del processo è fornito da un avvocato, Giuliano Pisapia, che redige una denuncia per conto della sorella di un dentista. Lo schema è semplice: il processo politico non viene fatto per le ragioni per cui, in effetti, viene fatto.
Le ragioni sono l'impresa intellettuale, la cultura, l'arte, la ricerca, la libertà d’invitare nei congressi teologi, ebrei – cosa impossibile per quell'epoca – e dissidenti rispetto ai vari regimi e all'establishment, la casa editrice, i dispositivi intellettuali. Le vere ragioni sono queste. E io le espongo con ironia all'inizio del libro Processo alla parola (uscito nell’ottobre 1986). Ma un processo non si può fare per questi motivi, perché sarebbe un boomerang per chi lo fa, perché si direbbe: “Come! Tu processi la cultura, processi le idee, la parola?”. No! Noi processiamo sul postulato dell'incapace: un dentista con due studi professionali, non ritenuto incapace dai suoi clienti, ma ritenuto così dalla sorella e dall'avvocato Pisapia. Così, il 24 giugno 1985, s’inaugura il processo, con una prima invasione della Guardia di finanza nelle sedi: piazza del Duomo, via Montenapoleone e Villa San Carlo Borromeo. È una visita dove cercano apparentemente documenti attinenti al caso del dentista.
In effetti, prendono ogni tipo di documento. Il responsabile della pattuglia che viene in via Montenapoleone, dove mi trovavo allora, dice: “Professore, non è la sua testa che vogliono, è un'altra testa”. Lui si riferiva al Presidente del consiglio di quell'epoca, Bettino Craxi, che io non conoscevo personalmente. Ma alcuni giornali, sopra tutto quelli portatori di un’egemonia ideologica, attribuivano una vicinanza fra me e Craxi. Anche prima del congresso di New York del 1981, in un grande articolo uscito su un settimanale, Craxi si travestiva da Verdiglione per invadere New York “sotto mentite spoglie”.
La vignetta ricopriva una pagina intera. Intorno al mio libro La peste era uscito, nel giugno 1981, una raccolta di scritti intitolata La canzone dell'apocalisse, che riportava anche una breve saggio di Craxi intorno a questo libro. Però non c'era stata mai occasione di conoscerci. Quel processo si è concluso. Il 6 novembre 1985, abbiamo inaugurato, nella Villa San Carlo Borromeo, la Triennale delle arti e delle scienze, un dispositivo congressuale che è durato sei mesi, su vari temi e materie. La Triennale riguardava differenti settori, l'industria, le banche, il video, l'informatica, l'economia, l’arte, la finanza, il teatro, la musica. La vicenda del primo processo è stata seguita dai media di tutto il mondo, dalla carta stampata alla televisione. Con la solidarietà da parte di intellettuali e imprenditori di molti paesi. Alcuni libri sono stati scritti proprio su questa vicenda.
Nel 1987, Alice Granger aveva scritto L'affaire Verdiglione e alcuni dissidenti russi (Bukovskij, Grigorenko, Kuznecov, Maksimov, Nekrasov, Zinov’ev) erano intervenuti con il libro Per Armando Verdiglione. Nel luglio 1989 era uscito Il libro nero dei nuovi inquisitori, di Cristina Frua De Angeli e Alice Granger. Nel maggio 1990, esce il volume Sotto il nome d’incapace, con scritti di Mauro Mellini e di altri. Mentre Ernesto Battistella, il più grande logico matematico dell'America latina, che nel 1981 aveva tradotto La peste in spagnolo, ha scritto nel 1996 un libro sulla cifrematica, Logica matematica e industria della parola. Il secondo rinascimento in America latina. Il processo aveva un pretesto, ma, anzitutto un fantasma, il fantasma del “guru”, il fantasma di padronanza. Padronanza non divina, ma demoniaca. Fantasma di padronanza, fantasma del “dominus”.
Questo fantasma fondava il postulato dell'incapace. Mauro Mellini, che nel 1981 aveva fatto un'istanza alla Corte costituzionale ottenendo l’abolizione del reato di plagio, aveva notato che il reato di plagio veniva riciclato con il reato di circonvenzione d’incapace – reato assolutamente indeterminato come il reato di plagio, perché l’influenza è indeterminata. Quindi, aveva promosso in Parlamento una raccolta di firme, era arrivato a più di duecento firme, per l'abolizione di questo reato, qualificandolo come reato di truffa, che c'era già. All'epoca, la donna era considerata incapace una volta al mese o, comunque, rispetto all’uomo era sempre incapace. Un redattore, rispetto al direttore, era incapace, un dipendente, rispetto all'imprenditore, era incapace.
Ovunque ci fosse una presunta soggezione, coloro che rivendicavano il monopolio della suggestione, della persuasione e dell'influenza creavano questo postulato dell'incapace, per arrivare a negare la realtà intellettuale. L'ideologia con cui viene chiesta la condanna è esplicita, è l'ideologia dell’invidia che si traveste da ideologia ecologica: dobbiamo fare piazza pulita, pulizia etnica rispetto a questa realtà che è “una zona franca”. “La parola è una zona franca del nostro ordinamento”, diceva il pubblico ministero Giovanni Caizzi, cioè il nostro ordinamento non ha la parola franca come reato. Quindi bisogna sancirla, per analogia. Non c'è il reato di plagio, ma per analogia, allora c’è la circonvenzione d’incapace. Il principio dell'analogia era stato sancito dal nazismo nel 1936. Per il principio di analogia poteva avvenire qualsiasi tipo di condanna. Così anche nell'Unione Sovietica, così in ogni regime, democratico o dittatoriale.
Il principio dell'analogia non è un principio giuridico. Il primo processo è un processo per campagna, un processo spettacolare, è un processo politico: carcere preventivo – perché per fare il processo stralcio, processo per direttissima, ordinano il carcere preventivo – e, quindi, il 16 maggio del 1986, l'arresto. Il processo stralcio si conclude il 17 luglio del 1986, in primo grado. Io sto agli arresti domiciliari fino alla sentenza di secondo grado, il 18 febbraio 1987. Nel marzo 1987 uscirà il libro L'albero di san Vittore. Poi la Cassazione, il 10 marzo 1989: rispetto alla sentenza della Cassazione, io mi costituisco contro una pena ingiusta il 5 luglio 1989. Esco da San Vittore il 21 agosto per essere ricoverato all’Ospedale Niguarda, dopo quarantuno giorni e ventisette chili in meno.
Fuori c'erano 36 gradi e io, con tre coperte addosso, avevo freddo. Da Niguarda esco il 9 settembre. Sarei uscito per incompatibilità con la vita carceraria, ma invece sono uscito perché l'8 settembre la Cassazione annulla l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Milano del 21 giugno, con cui veniva decisa la mia carcerazione e che dichiarava inammissibile la richiesta di affidamento ai servizi sociali. Questo mi viene comunicato l'8 settembre, alla sera, direttamente dall'avvocato Franco De Cataldo. Ma non si conclude così. Il processo si conclude il 28 ottobre 1992, quando il Pubblico ministero pronunciò quella celebre affermazione per un quotidiano: “Siccome il muro di Berlino è caduto, sarebbe antistorico proseguire a infierire su Armando Verdiglione”. Cessa tutto.
Il sequestro cessa. Avviene un patteggiamento che non comporta nulla, tranne il fatto che avrei ripreso l’attività – mai interrotta in effetti, perché nella Villa San Carlo Borromeo le attività erano ridotte, ma proseguivano. Della Villa io ero stato indicato come custode, in quanto amministratore della società proprietaria, ancorché artificiosamente fallita per disposizione più penale che civile. Io non accetto il fallimento e, il 22 dicembre 1995, viene dichiarato chiuso il fallimento per “pagamento integrale dei creditori”. L’attività non è mai cessata. Il processo ha colpito le strutture del movimento culturale internazionale, ma, in effetti, non ha per nulla spento l’impresa intellettuale, la ricerca, i dispositivi di parola.
Di sicuro ha diminuito l’impatto in molti paesi. Non abbiamo organizzato grandi congressi fuori dall’Europa. Abbiamo fatto congressi a Roma, 10-12 marzo 1992, Il cielo d’Europa. Il secondo rinascimento. Finanza e cultura; a San Pietroburgo, 12-14 giugno 1992, Il cielo d’Europa. Il secondo rinascimento. Finanza e cultura; a Parigi, 4-6 marzo 1993, Il cielo d’Europa. Congresso del secondo rinascimento, a Milano, 1-4 luglio 1993, La catastrofe, la Russia, l’Italia, Sarajevo. L’economia, la comunicazione; a Ginevra 3-4 dicembre 1994, al Palazzo delle Nazioni Unite, La carta intellettuale. Dopo, abbiamo fatto altri congressi a Milano, alla Villa San Carlo Borromeo, come laboratori intellettuali, scientifici, internazionali, sempre mantenendo il dibattito e facendo, di questi laboratori, dei laboratori editoriali. Sempre con la libertà, che è della parola. Io proseguo con la scrittura, con i libri, con la ricerca, ma in certo modo, rispetto alla stampa italiana, è quello che viene chiamato “basso profilo”.
Ma accade che il silenzio, tante volte, sia più provocatore dell’intervento. Va notato che il primo processo termina dopo Maastricht. Il primo processo serviva da “prova generale” rispetto a quella che sarà, dal 1992 al 1994, la fase di Mani pulite. Cioè, prima, va controllata, tolta di mezzo la cultura libera, l’impresa intellettuale. E, poi, va controllata la vita politica del paese, il governo del paese. Così è stato notato da molti osservatori internazionali, in particolare dallo stesso Vladimir Bukovskij. Di Bukovskij, noi abbiamo pubblicato Gli archivi segreti di Mosca (1999). Nessun editore al mondo, tranne noi, ha pubblicato l’edizione integrale di questo testo. Nello stesso giorno della nostra edizione, apparivano su internet 7000 pagine degli archivi segreti in russo. Il libro era stato pubblicato in altri paesi, ma monco. Il 18 novembre 2008, i marescialli invadono la Villa San Carlo Borromeo a Senago e la sede di Milano.
Quel giorno stesso, le notazioni che vengono fatte da parte dei marescialli, sia alla Villa San Carlo Borromeo sia nella sede di Milano, sono notazioni che denotano un pregiudizio totale. Alla base sta un articolo che la Guardia di finanza ha visto un anno prima, uscito il 15 ottobre 2007 su “Sette”, il settimanale del “Corriere della Sera”, che conteneva già il collegamento con il primo processo e gli elementi ideologici di base del secondo processo. Il tenente colonnello della Guardia di finanza, quel giorno, dichiara che si tratta di una ordinaria verifica fiscale, ma “sostanziale”. Appare per la prima volta la parola “sostanziale”. Sostanza, sostanziale, sostanzialmente sono i significanti più ricorrenti nelle informative della Guardia di finanza, nella requisitoria scritta e orale e nella deposizione dei marescialli in tribunale. Sostanza: qualcosa sta sotto, qualcosa che i marescialli vedono sotto e che risponde ai loro interessi. Questa “sostanza” è una “sostanza algebrica” che viene costruita da loro.
La Guardia di finanza ha già un orientamento: vede la Villa, la ricchezza, il lusso, l’arte, la cultura, il restauro, i libri, le automobili della Villa, il pullman della Villa, i congressi, l’eco internazionale. Tutto questo non è tollerato, tutto questo desta invidia, tutto questo è negato. E la professione d’ignorantismo è la migliore garanzia del purismo. È purista chi rivendica il monopolio sulla corruzione, sul male, sul peccato, sulla negatività. Così dunque, il 5 febbraio 2009, dopo ventiquattro giorni di cosiddetta verifica fiscale, fatta saltando diversi giorni, i marescialli dicono: “Sospendiamo. Facciamo altre cose. Torneremo”. Il 24 marzo 2009, trecento marescialli tornano in cinquanta siti in varie città italiane: sedi private, sedi di associazioni, case private, anche la casa di un ragioniere. Qui trovano “il soggetto”, è una persona che sta per morire, è in preda alla chemioterapia, dopo avere subìto due interventi chirurgici gravi. Morirà da lì a qualche mese.
È una persona con cui i marescialli possono parlare. E sopra tutto se stanno lì, in casa, dalle sette di mattina fino alle due del pomeriggio. Tutto questo abbiamo avuto modo di analizzarlo, di scriverlo, in dichiarazioni che ho consegnato il 17 dicembre all’udienza finale. Avevo provato a esporre a voce qualcosa, in circa mezz’ora, ma la dichiarazione scritta era di circa duecento pagine. Qui ho analizzato ciascun aspetto della requisitoria scritta e orale e anche ciò che dicevano le due patrone delle due banche parti civili. Per altro, già il 31 marzo avevo avuto modo, in tre, quattro ore, di esporre e di raccontare, quindi d’intervenire in ciascun aspetto emerso nella deposizione dei due marescialli. Anche questo è un processo politico. Se il fantasma è quello di padronanza, pure qui c’è un postulato. Ma ci vuole un pretesto. E su questo pretesto viene costruito il postulato.
Il pretesto per questo processo è il pretesto fiscale. In molti regimi il pretesto fiscale è stato il modo per togliere di mezzo quelli che venivano considerati antagonisti del regime. Anche recentemente, in Russia, Michail Chodorkovskij è stato tolto di mezzo in questo modo. Adesso vogliono toglierlo di mezzo in altri modi. Perché non gli consentono di parlare nemmeno all’estero. È un processo politico, non è una verifica fiscale, perché non c’è un contraddittorio fra il contribuente e la Guardia di finanza. Nonostante io sia lì, pronto a essere chiamato, a distanza di pochi metri da loro, per tutto il tempo della loro visita non mi chiamano mai. Mi chiamano soltanto per aprire la stanza in cui fanno la verifica, e per chiuderla quando è il momento di andare via. Non interpellano né i professionisti, che pure erano pronti – e avevo dato il loro nominativo – per essere chiamati per qualsiasi questione, né me, nonostante ogni giorno io dicessi: “Se avete qualche quesito, ditemelo”.
Silenzio assoluto. Dal 24 marzo 2009 fino a maggio 2011, io non so nulla. Nessuno sa nulla. L’effetto della loro invasione, del loro intervento, crea immediatamente un allarme bancario e commerciale. È devastante e paralizzante poi rispetto al personale, alla struttura, alle cose che si fanno. I marescialli intercettano le telefonate da aprile a luglio 2009, quindi dopo questo intervento, non prima. Intercettano in una fase di grande difficoltà. Perché se nelle banche c’è un allarme, allora tutto ciò che era possibile prima, per esempio coprire un assegno scoperto con un assegno bancario, diventa impossibile. Le banche dicono: “No, dovete coprirlo con un assegno circolare o in contanti”. Queste cose emergono come difficoltà nelle intercettazioni. Quindi i marescialli scrivono nelle loro annotazioni: “Ah, ecco! In che condizioni si trovano!”. Le intercettazioni sono fasulle.
I marescialli estrapolano brani di nessuna rilevanza, li stravolgono, li deformano. In questo pretesto fiscale, i marescialli dapprima si appigliano a un articolo delle norme fiscali, quello degli ammortamenti: secondo loro non era possibile procedere all’ammortamento di beni che anche contabilmente figuravano di natura strumentale all’attività alberghiera. E invece le opere d’arte in una struttura turistico-congressuale sono come l’immobile, cioè costituiscono un bene unico, che è strumentale rispetto alla redditività. Un conto è utilizzare una sala adorna di opere d’arte, un altro conto è stare in una sala disadorna. Poi i marescialli si appigliano alle fatture, che presumono false. Ma durante il dibattimento, nell’aula del tribunale, dicono di non avere condotto nessun controllo sull’effettività delle operazioni oggetto delle fatture, quindi né sulle cessioni di opere d’arte alla società proprietaria di questa Villa o alle altre ventidue società del gruppo, né sui servizi intellettuali, il Brainworking e l’Artbanking, la formazione, la consulenza, né sui lavori di restauro nella Villa San Carlo Borromeo.
Quindi i marescialli non hanno quantificato né valutato i lavori di restauro, non hanno quantificato né valutato le grafiche d’arte, i libri e le opere d’arte. Non hanno fatto nessun inventario e nessuna perizia. Dicono: “Noi siamo partiti da un altro punto di vista”. Qual è questo punto di vista? “Una volta dimostrato che le società sono riconducibili a un unico dominus, non abbiamo più bisogno di fare nessun controllo”: basta un unico dominus, quindi il guru, lo stregone, perché tutto sia stregato. Quindi, non è che le fatture siano false perché le operazioni sono inesistenti. No! Le operazioni sono inesistenti perché le fatture sono false. E perché le fatture sono false? Perché le ha prodotte il fattucchiere. Il demonismo è il volto necrofilo dell’erotismo. I marescialli compiono una falsificazione costante della realtà. Facciamo l’esempio dell’associazione svizzera che si chiama “Le Chiffre de la parole”. Ho riletto, ancora ieri, la deposizione del maresciallo che dice la ragione per cui, per lui, questa associazione non esiste.
Lui riferisce un dato assolutamente falso: siccome il dominus ha firmato, per conto di questa associazione, acquisizioni di società da parte di questa associazione, allora questa associazione non esiste. Ma io non ho mai firmato nulla per conto di un’associazione che ha un suo presidente, che firma i documenti. Io non avrei nessun titolo. È una cosa del tutto inventata per dire che l’associazione non esiste. Ma il maresciallo non ha allegato nessun documento. Dov’è questo documento per cui io avrei firmato, per conto di un’associazione svizzera, che ha un altro presidente, un acquisto di una società? Non viene prodotto. Poi i marescialli prendono anche un altro pretesto. Si riferiscono al Dpr 633/72 che riguarda l’Iva, in particolare all’articolo 21, comma 7, dove si parla di presunte fatture per operazioni inesistenti, oggettivamente inesistenti. In questo processo, l’oggettività è data dalla “dimostrazione” di un unico dominus. Quindi, questa “oggettività” è la loro “soggettività”: cioè il fantasma dell’Altro si forma sul fantasma di sé.
Il fantasma dell’Altro è fantasma di padronanza. Un unico dominus. E che cosa hanno fatto i marescialli? Hanno fatto da padroni che hanno distrutto tutto. Ora, rispetto all’articolo 21, comma 7, del Dpr 633/72, intervengono una sentenza della Corte di giustizia europea, la n. 111/2014, e alcune sentenze della Cassazione – fra cui una importantissima del 27 maggio 2015, la n. 10939. Queste sentenze dicono, in breve, che, se chi riceve una fattura presunta inesistente non può detrarre l’Iva perché non ha sostenuto un costo, chi ha emesso questa fattura presunta inesistente non è tenuto a pagare l’Iva perché non ha incassato nulla. Inoltre i marescialli ammettono che le varie operazioni erano tutte contabilizzate. È stata fatta un’analisi da parte di un nostro perito, che ha deposto anche in dibattimento. La conclusione del perito è stata che, se fosse vero il postulato dei marescialli, allora tutta questa costruzione sarebbe stata fatta apposta per pagare più tasse. Se si tolgono queste fatture per operazioni presunte inesistenti dai marescialli, il risultato è che si è pagata molta più Iva, perché tutte le società avevano un utile dal 5 al 10%, prima degli ammortamenti. Tutte le società.
Nessuna in perdita. Gli stessi marescialli ammettono che non c’era nessuna società “cartiera”. Anzi, addirittura la presidentessa dice: “Noi non l’abbiamo mai detto”. Curioso che lei dica così, quando l’accusa era fatta dal pubblico ministero e dai marescialli, quindi come se lei fosse partecipe all’accusa. “Noi non abbiamo mai detto che le opere d’arte erano inesistenti”. E ci sono vari interventi, durante il processo, nel dibattimento, da parte della presidentessa che sono in questo modo: “Non l’abbiamo mai detto!”. Il pubblico ministero dice “Noi”, includendo i marescialli. La presidentessa dice “Noi”, includendo pubblico ministero e marescialli. Nessun giudice terzo. La presidentessa, il pubblico ministero (la procuratrice) e i marescialli hanno un unico fantasma, un unico pregiudizio, un unico postulato. Hanno, nei loro interventi, una comune ideologia. Quindi è una falsificazione della realtà. È un processo politico senza prove. Infatti i marescialli non hanno bisogno di prove. Hanno detto che non hanno controllato per avere le prove, non hanno controllato l’effettività delle operazioni esposte in fattura.
Ma c’è un’altra accusa: questo è un gruppo e quindi è un’associazione a delinquere. Ma se è un gruppo, allora le compensazioni infragruppo sono ammesse! Ma poi i marescialli dicono: “No, non è un gruppo”. I marescialli non notano nemmeno che cinque società, le più importanti, hanno come socio una medesima fondazione che le controlla al 99,9%. Queste cinque società sono un gruppo anche nel senso tecnico del termine. Le nostre società sono un gruppo rispetto alla direttiva europea del 28 novembre 2006, n. 112, art. 11, comma 1, che è recepita in Italia dall’articolo 13 della Legge n. 23 dell’11 marzo 2014. Il maresciallo diceva: “Questa è una legge europea, noi non c’entriamo”. E invece no! È una direttiva recepita anche in Italia. Questa direttiva dice: “Previa consultazione del comitato consultivo dell’imposta del valore aggiunto in sede del nominato comitato Iva, ogni Stato membro può considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici e organizzativi".
Il nostro è un gruppo di questa natura. Se è così, il postulato decade. Decade sia per le sentenze della Cassazione, che dicono che il principio di neutralità è da applicare in pieno – al di là della presunzione dei marescialli sulla esistenza o non esistenza delle operazioni delle fatture –, sia perché è anche un gruppo secondo la direttiva europea del 28 novembre 2006, n. 112, e quindi, in Italia, secondo l’articolo 13 della Legge n. 23 dell’11 marzo 2014. È un processo politico. È una sentenza politica. Altro che “al di là di ogni ragionevole dubbio”! Qui, il dubbio è abolito ancor prima. Perché il pregiudizio punta direttamente alla condanna, direttamente alla pena. Fin dal primo giorno, il 18 novembre 2008. I marescialli in questo processo hanno creato il personaggio con cui litigare. Io non sono questo personaggio, che appartiene interamente a chi l’ha creato. I marescialli e questo personaggio sono litiganti. E cosa c’è tra litiganti? L’idea di padronanza, l’idea di morte.
La cultura, l’arte, la ricerca, l’impresa, la scienza, i dispositivi intellettuali sono negati dalla casta. La casta dei funzionari e dei professionisti della morte. Il processo è un processo ingiusto. Qual è l’ideologia, sia nel primo processo sia in questo? All’epoca del primo processo c’era anche l’ideologia luogocomunista, l’ideologia del luogo comune. C’è anche adesso, ma si è tramutata. Siamo nell’epoca del purismo finanziario europeo, seguìto alla crisi del 2007-2008. Questo processo incomincia con una verifica fiscale il 18 novembre 2008. È un “processo esemplare” che deve affermare il purismo finanziario, l’austerity per ogni impresa. Questo purismo va a colpire l’impresa intellettuale. Colpisce anche altre imprese, ma questa in modo esemplare. Questa deve essere una “condanna esemplare”.
La condanna per il primo processo, in cui mi erano stati attribuiti quasi tutti i reati del codice penale, era stata di quattro anni e due mesi. Qual è, fondamentalmente, l’ideologia? Lo dicevo allora e lo dico anche adesso: è l’ideologia dell’invidia. Ciò che resta delle grandi ideologie, della postideologia, è l’ideologia dell’invidia. Il motore dello psicodramma sociale, come diceva Sciascia, è l’invidia. L’ideologia dell’invidia fonda l’istituto della vendetta. È sempre l’idea di padronanza, che per il padrone è la vendetta e per lo schiavo è la rivendicazione. L’ideologia dell’invidia fonda l’istituto della vendetta, da cui procedono l’istituto del ricatto e del riscatto, l’istituto della colpa e l’istituto della pena.
L’adagio “Deus mortem non fecit”, rispetto all’ideologia dell’invidia, si trasforma in “Deus mortem fecit”. L’idea di padronanza è l’idea di morte, l’idea di soluzione finale, l’idea di salvezza, l’idea di circolarità. Qual è il cogito dell’invidia? “Io, l’uroboro”. Con la coincidenza fra l’io e il fallo. Viene stabilito un sistema ideologico falloforico, una parata falloforica, una sceneggiata falloforica. L’esemplarità è propria di questa falloforia. Falloforia. Uroboro o fallo. Uroboro, quindi il colpo di coda. È l’ideologia del colpo di coda: il serpente divora la propria coda e quindi fa cerchio. Il cerchio è il segno della salvezza. I salvatori devono incenerire tutto e rigenerare tutto. I salvatori: i professionisti e i funzionari della morte, quindi della salvezza. La malattia mentale è una creatura gnostica.
Non esiste. Se esistesse sarebbe l’invidia. E Freud la stigmatizza con il Penisneid. Un mattino alla Villa San Carlo Borromeo, all’inizio di un congresso, Bella Achmadulina dice: “Ieri sera sono stata nel giardino, ho ammirato la luna, una luna meravigliosa, le lucciole. Un chiarore invadeva il giardino, si vedevano le piante, i fiori, in piena notte. Guardavo la villa, sono entrata, guardavo le opere, i libri sui banchi, le sale, ammiravo tanta bellezza, il paesaggio, il cielo, la luna, la villa, le opere, la cultura, l’arte, il nostro congresso. Tutto questo è ricchezza intellettuale”. Bella Achmadulina aggiunge: “Soltanto gl’imbecilli invidiano la ricchezza”. L’invidia sorge dall’abolizione dell’io, dello sguardo, sicché l’io, lo sguardo, diventa Uroboro. Il soggetto dell’invidia si fa Uroboro. San Tommaso definisce tristitia l’invidia. I funzionari e i professionisti della morte, l’esercito della salvezza, gl’istituti della salvezza sono animati e sorretti dall’invidia. Dalla tristitia. Sono uomini e donne tristi, in una doppia accezione: tristo e triste. Questa è la casta.
La casta si fonda sul luogo comune proprio di questa ideologia. È una casta demonologica. La casta che Bella Achmadulina potrebbe chiamare “la casta degli imbecilli”. L’Europa, nei prossimi cinquant’anni, ha ancora una scommessa da vincere: ancora la scommessa intellettuale, la scommessa della carta intellettuale, dell’impresa intellettuale, la scommessa della parola con il suo dispositivo intellettuale. Quello che Machiavelli chiama il cervello. Questo processo è politico: si rivolge contro questa scommessa, contro l’impresa intellettuale, contro la cultura, contro l’arte, contro la ricerca scientifica, contro il dispositivo intellettuale, il dispositivo della parola, contro la libertà della parola.
di Armando Verdiglione