Il pericolo più grande

martedì 5 gennaio 2016


Mentre ci si affanna a dare un senso ai tanto tradizionali, per quanto inutili, discorsi augurali, l’ombra dei mercati finanziari avanza e si fa sempre più minacciosa su tutto e su tutti. Sta interamente lì il problema dei problemi, l’insaziabilità e l’ingovernabilità di una finanza allo stato puro, cioè staccata da tutto, che pone e dispone a suo piacimento al solo fine di speculare spregiudicatamente e senza pietà.

Di fronte all’immensità delle masse finanziarie che, quotidianamente, stabiliscono come e chi colpire la politica è, oramai, del tutto soccombente. Basta un dato, un indicatore o un indice di qualche cosa che muti, in positivo o in negativo, per scatenare effetti dirompenti sui mercati senza che nessuno possa farci niente. Lo abbiamo visto in questi mesi in America e in Europa, e lo vediamo adesso in Cina dove una crescita del 6,5 per cento anziché del 7 per cento, in termini presunti, sta determinando terremoti e disastri su tutti i mercati borsistici. Eppure parliamo di crescite che per noi sono lunari ma l’ingordigia dei raider, sovrani o non che siano, è senza fine e a quei livelli Cappuccetto Rosso non esiste, tanto basta per muovere oceani di vendite o di acquisti o di scommesse tali da far tremare qualsiasi economia e qualsiasi banca centrale. In quel mondo, che purtroppo è diventato il nostro mondo, non valgono più i fondamentali di un Paese, non valgono le scelte politiche e spesso nemmeno quelle monetarie di contrasto.

Del resto la volatilità, le inspiegabili oscillazioni quotidiane e la velocità con la quale le Borse vanno su e giù da un giorno all’altro lo testimoniano plasticamente. La chiamano finanza virtuale ma viene da sorridere a vedere quanto siano reali i risultati che produce. La realtà è che il governo dell’economia da tempo è sfuggito di mano alla politica; tutto si muove in ragione di spread, capital gain e differenziali di lucro possibili. Il semplice profumo del guadagno passa ormai sopra ogni cosa. Lo si vede dalla fatica sempre maggiore che le più grandi banche centrali fanno per riuscire a temperare i mercati, dalla titubanza con la quale gli stessi governatori pongono in essere scelte monetarie, dalla fragilità degli Istituti di credito e, infine, dall’andamento dei processi di accumulazione.

Siamo finiti in un gigantesco cul-de-sac che potrà cessare solamente con qualcosa di devastante; che poi si chiami esplosione di bolla, default di sistema o catastrophic failure, poco conta, la certezza è che, in mancanza di interventi drastici di correzione delle regole finanziarie mondiali, arriveremo a tanto. Del resto non c’è credito che si possa riscuotere da chi possiede solo debito e nel mondo i possessori di debito esponenzialmente crescente sono la quasi totalità, per questo diminuisce la povertà assoluta ma aumenta pericolosamente quella relativa e quando questa supererà una soglia insostenibile scatterà il big bang finanziario del pianeta.

Nessuno sarà più in grado di onorare gli impegni e stampare moneta per tentare di riuscirci, non servirà più. Questa è la drammatica via che stiamo percorrendo, è solo questione di tempo e in mancanza di provvedimenti adeguati e risolutivi non c’è crescita che tenga. Del resto dall’America all’Europa e all’Asia le cifre del debito sono apocalittiche, è da troppo tempo che la finanza gioca e specula solo su questo ed è come se si fosse ribaltata la logica, perché oggi la ricchezza si riproduce sul debito e su questo guadagna. Dunque, quanto potrà durare questo esercizio perverso? Quanto potranno resistere i singoli Paesi o le banche centrali? Non è facile dirlo e senza un’inversione non c’è scampo e questo ci fa capire a che punto siamo arrivati.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca