La lettera allo Stato di un ergastolano

giovedì 24 dicembre 2015


In una nazione dove era in vigore l’ergastolo (o la pena di morte) c’era un uomo. Aveva una moglie e due bambini. Dopo aver fatto scelte sbagliate... veniva condannato al massimo della pena.

Dopo poco succede che la moglie si ammala gravemente, lui chiede ed ottiene un permesso per poter stare vicino alla moglie negli ultimi giorni di vita, ma non sa che la notte appena trascorsa la giovane moglie muore. Entrando in casa, trova la moglie sul letto, si avvicina, si siede ed è pieno di dolore. Mentre è assorto nella sua sofferenza entra nella camera il bambino di 12 anni. L’uomo di fronte all’immagine del figlio che vede la propria mamma morta sul letto si spezza il cuore dal dolore. Allora fa l’unica cosa ovvia, cerca di rincuorare il bambino con le parole: “Sii forte, mamma ora è in cielo...” ecc.. Mentre parlava così il bambino gli mise la mano sulla bocca per farlo tacere e gli disse: “Babbo, mamma è morta, tu hai l’ergastolo, io che faccio?”.

Notato cos’ha fatto il bambino? Ha associato l’ergastolo alla morte. Pensava: la mamma è morta e il papà non uscirà più. Concludo con due affermazioni e una domanda. L’uomo sono io, il bambino è mio figlio ma la nazione mi sa dire cosa deve fare il mio bambino?

 

 

 


di Redazione