I “Fanfacomunisti” dell’Etruria...

giovedì 24 dicembre 2015


Parlare di “cattocomunisti” oggi, dopo l’unificazione tra gli ex democristiani (salvati dalle acque di Mani asseritamente Pulite come Mosè) e comunisti reduci dalle patrie, anzi, dalle “internazionali” battaglie della Grande Armata disfatta proprio là sulle gelate steppe della Patria del Socialismo Reale, può apparire espressione di accanimento archeologico nella politica, come ieri, quando D.C. e P.C.I. si “fronteggiavano” in nome dell’appartenenza a due mondi diversi, parlare di “cattocomunisti” sembrava doversi qualificare come manifestazione di una farneticazione strumentale di marca decisamente neofascista.

Questo sarebbe incontestabile sul piano di una analisi storica di una “normalità” europea forzatamente appiccicata all’Italia. Ma l’Italia è il Paese degli equivoci e delle contraddizioni elevate a normalità. Miscele incredibilmente trangugiabili dalla gente vengono ammannite nel nostro Paese, per lo più da cialtroni affaristi della politica e concetti altrove chiari sulla loro immanenza da noi vengono stravolti ed applicati “praticamente” a confezioni truffaldine di largo consumo. Cattocomunismo? Per non contribuire ad equivoci finendo anche noi per “adeguarci”, sia pure lessicalmente all’andazzo imbroglioncello, è preferibile parlare di “fanfacomunismo”. Salvo a trovare un termine migliore che elimini anche qualche equivoco grossolano possibile con la conservazione della seconda parte di questa denominazione composita. Fanfacomunismo: che non vuol dire, come pure si potrebbe pensare, comunismo fanfarone. Le fanfaronate in nome e per conto del comunismo sono state consumate fino (quasi) all’esaurimento degli inesauribili fondi di bottega da attivisti ed intellettuali già da anni. Fanfacomunismo non viene direttamente da Fanfani Amintore, l’uomo della “svolta” di Sinistra della D.C. Una svolta, sorretta dal suo giovanile impegno per il corporativismo (che il fascismo gabellava, senza neanche troppa convinzione, come sua teoria sociale a copertura di altro e, soprattutto, del vuoto). Una svolta, quella fanfaniana, che si è risolta, in sostanza, nell’abbandono di qualche residuato liberale degasperiano e sturziano e nella creazione di una pletorica macchina del potere fondata sull’abuso del medesimo.

Non starò a fare disquisizioni sul “continuum” tra Fanfani e Renzi. Un po’ per il rispetto dovuto al Defunto, un po’ per mia naturale repulsione per le questioni di teorizzazioni ideologiche quasi sempre false ed ipocrite. Ma anche perché c’è di meglio (cioè di più facile) per sostenere il riferimento a questo cognome: Fanfani. Io non dico infatti Amintorefanfancomunismo, che, tra l’altro sembrerebbe uno scioglilingua. Mi limito a Fanfani cognome. Empiricamente si trova il nesso con gli eredi e tra gli eredi (anche se, certo, tutt’altro che “universali”) del comunismo ed eredi o, comunque, congiunti, di Amintore, quindi anch’essi Fanfani a titolo originario là di Arezzo.

Arezzo, l’Etruria è la terra del fanfacomunismo. Terra d’origine e di radici elettoral-clientelari (ma forse il termine è addirittura superato) della nuova generazione degli innovatori-rottamatori che un po’ abusivamente si rifanno a Leopoldo (sono “quelli della Leopolda”) che era granduca di Toscana e non d’Etruria (il regno d’Etruria lo creò e rapidamente lo disfece Napoleone) termini geograficamente non coincidenti e politicamente opposti. Leopoldo ed il Granducato di Toscana furono, nell’ancien régime, quelli che si distinsero per tolleranza e relativo, anche se prudente, riformismo (abolirono la pena di morte…) mentre la congrega degli attuali Lucumoni d’Etruria è oggi il “regno” delle tendenze “monocratiche” di un riformismo parolaio sconsideratamente rottamatorio. E d’altro. L’altro che, oggi, il nome d’Etruria evoca automaticamente. Mi dispiace per i Lucumoni veri, per gli autori delle splendide cose di cui ci hanno lasciato traccia. Oggi saccheggiate da pseudolucumoni “tombaroli”. Ma per chi non è versato nello studio della storia, non c’è pericolo di perdersi in ingiustificate esaltazioni dell’Etruria. Guardiamo al presente e, magari, concentriamoci su Arezzo.

Luogo d’origine ed epicentro di genìe di Boschi, Fanfani, Renzi, Verdini, di una grande tribù, o clan etruschi, la cui essenza, i cui legami, le cui gesta pregresse ed attuali dobbiamo limitarci, per ora almeno, ad intuirle (salvo qualche particolare esilarante, ad esempio, della vita universitaria di qualche (allora) lucumoncino) perché l’etrusco è tuttora lingua misteriosa, ma non, come si crede, del tutto indecifrabile. Sciascia parlava di “Sicilia come metafora”.

Giudizio acutissimo, di cui i fatti stanno dimostrando la saggezza. Ma ci sono altre metafore in questa Italia dalle tante “diversità” regionali che, poi, tanto diverse non sono. Ché, anzi, ciascuna di esse è, si può dire, una metafora. Una metafora è oggi l’Etruria. Ci sono Etrurie che stanno venendo fuori qua e là un po’ in tutta Italia. Tutta Italia, in questa era (facendo congiuri) renziana, trova la sua metafora nell’Etruria. Per chi sa capire, al di là della barriera linguistica, la realtà etrusca, c’è da aprire bene gli occhi, per non fare tutti la fine di certi ingenui pensionati.


di Mauro Mellini