sabato 19 dicembre 2015
Ex capo e fondatore indiscusso del Partito dei Magistrati, ex leader dell’Antimafia Siciliano (bocciata, di fatto, alle elezioni), ex neogarantista perché candidato di lungo corso alla Corte costituzionale, un po’ per senile “ritorno alle origini”, un po’ per necessità impostagli da un passato non facilmente eludibile, Luciano Violante torna in Sicilia per cercare di dare una mano ai suoi non so se amici e colleghi o ex tali.
In altre parole: quale teste intenzionalmente a carico degli imputati (in particolare del generale Mori, nel processo cosiddetto della “Trattativa Stato-Mafia”), Violante, che sarà escusso domani 18 dicembre, avrebbe dovuto essere anche messo a confronto con il generale Mori. Un confronto un po’ difficile per l’ex, il multiex. Perché Violante aveva sostenuto che nel 1992 Mori aveva insistito per far avere a Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo, padre del “pentito” della mafiosità del padre, divenuto uno degli idoli dell’Antimafia demenziale, un “colloquio privato riservato” evidentemente finalizzato a caldeggiare la “trattativa”.
Senonché il generale Mori è ora in possesso della lettera con la quale proprio in quel momento una richiesta Ciancimino l’aveva fatta, ma per una sua audizione, tutt’altro, quindi, che “riservata” da parte della Commissione Parlamentare Antimafia di cui Violante era presidente. Pare, anzi, che in un primo momento Ciancimino volesse che la sua audizione fosse teletrasmessa rinunziando, poi a tale forma di pubblicità. Altro che segreti maneggi per la trattativa segreta! La Corte di Caltanissetta ha respinto la richiesta del confronto perché inutile ai fini della causa. Cosa che può e non può significare cose diverse, ma che ha evitato a Violante una poco brillante figura.
Ciancimino era in cerca di pubblicità, cercava di “risalire la corrente”. Per caso, per un episodio grottesco di questo personaggio (infinitamente più serio, peraltro, del figlio, icona della “redenzione dalla mafia” e “chiave” delle baggianate del processo per la cosiddetta “trattativa”) ebbi io stesso a constatare questa bramosia del vecchio don Vito di mettersi in mostra. Un giorno si presentò senza alcun preavviso e senza che io mai lo avessi conosciuto, nel mio studio in Roma (qualche tempo prima, mi pare, delle elezioni del 1992) e dopo una serie di “complimenti” e di affermazioni circa una sua antica ammirazione per me (!), mi rivelò la sua disponibilità a presentarsi candidato con il Partito Radicale, chiedendomi di caldeggiare questa sua candidatura.
Io da tempo avevo rotto ogni rapporto con il partito, praticamente cacciato da Marco Pannella perché mi ero dichiarato contrario al suo (del partito) scioglimento (variamente camuffato e reso “relativo”!). Ero però rimasto formalmente nel gruppo parlamentare. Non seppi se ridere o infuriarmi. Gli dissi che aveva “sbagliato sportello”, che non avevo alcun potere né alcuna voglia di occuparmi di candidature alle liste (una o più) che, malgrado la proclamata astinenza elettorale, Pannella avrebbe eugualmente presentato. Né mi andava di discutere proprio con Ciancimino di quella balorda situazione, per me certamente dolorosa ed irritante. Si profuse in affermazioni quali “ma se uno come lei lo vuole, questo ed altro può fare...”.
E poi, vantando di “avere i suoi bravi 70mila voti”, alluse ad attività che in Parlamento avrebbe potuto svolgere, perché non avrebbero potuto impedirgli di parlare (o qualcosa del genere). La tirò per le lunghe più di quanto fossi disposto a tollerare e se ne andò, dicendosi dispiaciuto di non aver ottenuto quanto mi chiedeva.
Commentai con un Collega di studio quella apparizione così imprevedibile, concludendo che, se era venuto da me per “rilanciarsi” in politica, doveva essere ridotto alla disperazione ed avere le idee confuse. Ne scrissi varie volte. Pensare che quell’uomo che, nientemeno, era venuto da me per “rimettersi in politica” fosse, più o meno contemporaneamente, il mediatore del “patto scellerato” del millennio, quale oggi, per interposto figlio, lo si vorrebbe far credere e che la sua ricerca di interlocutori consenta di “ricostruire” le trame astruse di cui sarebbero la prova, i suoi incontri veri o presunti, mi fa ridere. Per modo di dire. Avere magistrati che non hanno di meglio da fare che occuparsi di certe baggianate non è cosa da far stare allegri.
di Mauro Mellini