martedì 15 dicembre 2015
Le lezioni ci sono. Eccome. Metti che si voti il ballottaggio in Francia mentre da noi, alla Leopolda,Renzi celebri i suoi trionfi. Uno dice,che lezioni ci giungono così lontane, da destra e sinistra, in Francia e in Italia?
La prima è che sia Matteo che Marina volevano fortemente la corona d'alloro della vittoria, del trionfo, appunto. Benchè il primo giocasse in casa senza elezioni e l'altra fosse reduce da un successone al primo turno, entrambi accarezzavano l'idea della pressoché definitiva elevazione al trono. Non è andata così,come ben sappiamo in Francia, ma con un'avvertenza: che Marine c'è, esiste, è nelle istituzioni, nei consigli comunali, regionali ecc con un'opposizione dura, frontale e diffusa non soltanto nei gangli istituzionali ma nella società francese, fra gli strati sociali, trasversalmente. Forse si era montata la testa parlando, dopo il successo primiero,di suicidio collettivo degli altri. Forse. Del resto,chi non le pronosticava una replay vittorioso, un'avanzata travolgente se non esondante, addirittura, fuori dai confini, magari in Italia chez Salvini?
Ci permettemmo di scrivere il nostro distinguo, la nostra tradizionale controtendenza avvertendo che Sarkozy, sì proprio lui, quel presuntuoso pasticcione,avrebbe potuto mietere non poche presidenze regionali a spese delle Le Pen. E vabbè. Adesso, tocca alla Francia repubblicana, conservatrice e pure socialista (messa male) di riflettere sulla realtà nuova e non sui vecchi schemi, di pensare Paese,com'è diventato e come curarlo, come offrire un'altra visione, un'altra Europa, un'altra sicurezza.
Un'impresa, che peraltro anche il centro destra italiano dovrebbe immaginare proprio vedendo i risultati francesi che confermano, sia pure con le distinzioni di fondo, che senza un'area di centro, laica, liberale, riformista, innovativa e, soprattutto, moderna, non si va da nessuna parte,neanche e soprattutto in Italia ha spesso risordato il nostro direttore. Ma stiamo divagando. L'altra lezione riguarda la Leopolda renziana che ha mostrato la proverbiale festosità giovanile dietro la quale, tuttavia, erano visibili le crepe della crisi del settimo anno di un'iniziativa che non sarebbe dovuta autorappresentarsi come prima, non foss'altro per il ruolo governativo del suo Leader il cui partito diventa sempre più simile a quello dei vecchi socialdemocratici saragattiani definiti spregiativamente governativi al oltranza.
Ma il punto dolente, il difetto di fondo non stava e non sta nell'azzoppamento,sia pure lieve della Boschi con un chiaro riferimento al suo capo di governo. Quello è soltanto il lato scoperto della questione, che è più seria, se non grave. Non tanto o non solo perchè riguarda migliaia di risparmiatori (benchè da 100 mila siano ora ridotti a 10 mila e forse a mille secondo Bankitalia, chissà) ma perchè si tratta del primo errore, vistoso e imperdonabile, da parte del ministro competente che si era accontentato del Salvabanche (pessimo nome per un decreto) dimenticandosi del Salvarisparmiatori.
Poteva benissimo aggiungere un miliardo in più da parte del fondo apposito delle Banche e si sarebbe messa una toppa concreta evitando le sacrosante reazioni degli imbrogliati dalle "banchette" fallite. E che anche Renzi non abbia immediatamente afferrato il senso pòlitico collegato alla drammatica vicenda, imponendo a Padoan un decreto ben diverso, costituisce il suo primo, vero, significativo errore politico che aveva invece individuato immantinente Silvio Berlusconi, avvertendo i rischi di una deflagrazione di default bancari in seguito alla sfiducia generatasi come una tragica sequenza di effetto Domino. Speriamo di no.
Questo è stato ed è il segnale più chiaro di una battuta d'arresto che getta un'ombra sulla Leopolda. Alla quale ha fatto male, come ha acutamente rilevato Mattia Feltri, quel giochino sui "giornali cattivi" che neanche al peggiore e primigenio grillismo era stato perdonato. Figuriamoci al Premier in carica. Chissà chi è stato quel genio della Leopolda che ha avuto l'idea di rottamare anche chi fa i titoli peggiori. Servirà la lezione?
di Paolo Pillitteri