martedì 15 dicembre 2015
Si sono fatte molte analisi sullecause che hanno portano il Front National di Marine Le Pen a vincere il primo turno delle elezioni regionali. Il secondo turno sarà presumibilmente un’altra storia, tenuto conto che gran parte dell’elettorato socialista confluirà sui candidati della destra repubblicana, in base alla «chiamata alle armi» da fine della Repubblica, fatta venerdì sera dal Primo Ministro Manuel Valls.
In ogni caso, anche l’esito finale delle regionali francesi si presta a utili riflessioni, considerato che l’«Italicum» mostra evidenti analogie con il doppio turno «alla francese», con la variabile, non secondaria, che da noi, semmai, la chiamata alla desistenza potrebbe riguardare la destra e non la sinistra.
Su questo punto perché non aprire sull’Opinione delle libertà un dibattito sui possibili scenari che l’introduzione del doppio turno italiano causerà? Del resto, da sempre, le vicende francesi sono cugine delle vicende politiche italiane. Per adesso è di maggior interesse riflettere ancora sul successo elettorale del Front di domenica scorsa, che resta tale, perché in ogni caso Marine Le Pen continuerà a raccogliere, di qui in avanti, il diffuso senso di disgusto che l’elettorato francese nutre verso l’Europa.
Testualmente, nel programma del Front National si legge: «L’Unione europea, asservita al suo debito e all’euro, è uno strumento al servizio di un’ideologia ultraliberale mondialista e degli interessi del settore finanziario. Quest’ultimo vede la crisi come una formidabile occasione, di fronte alla crisi dei mercati, per conseguire la dissoluzione degli Stati-nazione, dentro un federalismo che intende mettere nelle mani di esperti non eletti il destino dei popoli».
Sull’attuale condizione dell’Europa la critica è radicale, senza compromessi. Prospetta il regresso totale verso un modello confederale, al ribasso, anche rispetto al modello della vecchia CEE, che colloca la destra lepenista in un ruolo di totale emarginazione, per autoesclusione dal concerto del sistema storico dei partiti europei. Questa strada è pericolosa e perdente, per la Francia come per l’Italia. Tuttavia, proprio con queste premesse, le critiche sull’attuale condizione dell’integrazione europea non possono che essere impietose, per l’assenza di nobili ragioni politiche, o ideologiche, su cui sostenere l’integrazione.
La mancata percezione da parte dell’opinione pubblica europea dei fattori unificanti dell’Europa è la principale causa della debolezza del sistema. È vero che l’U E, per definizione, è il luogo laico del rispetto delle culture, delle tradizioni, dei popoli e delle identità nazionali, in una parola delle diversità, ma, o i popoli europei percepiscono la comunanza del proprio destino, oppure l’Europa non esiste. Ha ragione Marine Le Pen quando osserva che l’Europa risulta essere uno strumento al servizio di «un’ideologia ultraliberale mondialista e degli interessi del settore finanziario». Questo è quello che la gente coglie, quando osserva che l’Europa non è in grado di elaborare una strategia difensiva comune per fronteggiare, ad esempio, l’espansione dell’integralismo islamico.
Non si può contrastare l’antieuropeismo del Front National contrapponendogli un’europeismo inesistente o invisibile. Le minacce alla sicurezza europea non sono affrontate dall’Europa ma dagli Stati nazionali in ordine sparso. Come può Hollande contrastare il nazionalismo lepenista dichiarando autonomamente guerra all’Isis senza il concerto europeo, con una alleanza che vede, per giunta, la Russia in prima fila? Così agendo non fa che sottolineare che l’Europa è un’entità evanescente, dominata, come dice Marine Le Pen, da un’ideologia ultraliberale mondialista e dai soli interessi del settore finanziario.
In verità l’Europa un’identità ce l’ha. È ben descritta nel Preambolo del Trattato di Lisbona, che rigetta tutte le «dolorose esperienze» storiche che hanno diviso nel secolo scorso l’Europa. Il messaggio è chiaro. L’Europa boccia ogni forma di totalitarismo, sia nazista, fascista o comunista, ma anche islamista quando mette le vesti del totalitarismo, ivi compreso il totalitarismo «mondialista degli interessi della finanza».
di Guido Guidi