Tricarico su emergenza Isis, quadro giuridico internazionale e più intelligence umana

venerdì 11 dicembre 2015


La tentazione, ormai attecchita, è quella di rispondere alla minaccia dell’Isis e del terrorismo jihadista con le armi e con misure emergenziali che inghiottono i cardini della civiltà occidentale come la tutela della libertà e dei diritti fondamentali. Che sia frutto o causa della propensione a considerare il contrasto del terrorismo in termini di guerra non ha più molta importanza perché la perdita delle libertà viene sempre più vissuta come un giusto prezzo da pagare alla prevenzione ed alla sicurezza. La erronea definizione di guerra applicata al contrasto di una minaccia che trae forza da un’asimmetria delle forze in campo, è utile a giustificare però il cambio delle regole e l’adozione di misure eccezionali fortemente esposte al pericolo di lasciare un alto margine di pericolosa discrezionalità ad ogni paese in materia di diritti e libertà. È accaduto negli Usa dopo l’attacco alle Torri gemelle. Sta accadendo in Francia con la progressiva contrazione della sfera dei diritti individuali. Siamo di fronte ad una porta girevole di cui, sia la recente idea del governo francese di creare un centro di internamento per schedati sospetti di islamismo radicale (ma anche, e non è un dettaglio, per estremisti di destra e antagonisti di sinistra) sia la minaccia di ricorrere all’atomica di Putin, mostrano per ora due inquietanti lati. Di questa gestione emergenziale “attuata con la polvere da sparo ancora nelle narici” il generale Leonardo Tricarico, ex comandante della Forza aerea alleata della Nato a Vicenza durante il conflitto del Kosovo, consigliere militare del governo D’Alema e di quello Berlusconi, ed ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, tratteggia un quadro complessivo molto cupo. Tanto da imporre una seria riflessione sul necessario rinnovamento degli strumenti tecnici, giuridici ed etici che coinvolgono tutti gli scenari operativi di contrasto alla minaccia jihadista e di regole condivise sul piano internazionale. Considerata soprattutto l’attuale incapacità di risolvere e colmare le asimmetrie nelle operazioni belliche che anche la coalizione più vasta contro l’Isis, con l’attuale frammentazione normativa, ha dimostrato. Una sola certezza: “La dottrina della forza è inadatta agli attuali scenari e alle dinamiche fortemente asimmetriche tra un esercito regolare e forze di diversa natura come sono quelle del terrorismo jihadista e la pigrizia dimostrata dall’Europa nell’attuare un necessario travaso di capacità e nel mettere a sistema conoscenze e strategie, se si escludono le pericolose sortite velleitarie della Francia, seguita ad imporci di ricorrere alla guida statunitense ogni volta che ci troviamo di fronte a situazioni di crisi ingestibili”. Un rischio crescente proprio per la garanzia dei diritti e delle libertà se si considera che anche nei teatri bellici recenti alcune new entries come Siria ed Emirati si tanno accodando velocemente agli Usa nella percentuale di attacchi sferrati senza che vi siano altri leader all’orizzonte e soprattutto senza che vi sia alcun tipo di controllo o vincolo etico di sorta, a cominciare dalla salvaguardia della vita umana dai danni collaterali dell’uso della forza.

La Francia sta pensando ad un centro di internamento preventivo per sospetti islamisti. Le si può rimproverare di ritenersi in guerra e, come già anticipato da Hollande, di adottare misure speciali che in deroga alla Convenzione, appellandosi all’articolo 15 della Cedu, imprimono una svolta autoritaria che comprime le garanzie di libertà e diritti in nome della sicurezza?

“L’idea di un centro di internamento preventivo per i sospetti islamisti e per estremisti di estrema destra e gli antagonisti di sinistra sottoposta al Consiglio di Stato rappresenta, se ancora ve ne fosse necessità, la prova provata che le decisioni sulla gestione degli stati di emergenza vanno prese a freddo. Il rischio di adottare linee scomposte e di comprimere in modo inaccettabile le libertà, altrimenti, è fortissimo. La Francia dovrebbe rinunciare al protagonismo e chiedere, come ho già detto, la solidarietà atlantica convocando il tavolo Nato-Russia, istituito da Berlusconi nel 2002 a Pratica di Mare. Così come si rispose in modo compatto all’appello di Bush dopo la strage delle Twin Towers ora Hollande dovrebbe chiedere di ricambiare con medesimo impegno”.

Dunque attendere una condivisione delle decisioni? L’iniziativa del governo sui centri di internamento colpisce l’articolo 6 della Cedu sul giusto processo. Superfluo interrogarsi sulla discrezionalità che si potrebbe adottare nella raccolta prove, libertà e diritto di difesa e su quanto essa possa essere un precedente per altri Paesi...

“Il problema è serissimo e rischia di allargarsi oltre la Francia. Anche con il presupposto giuridico previsto dalla Cedu è pericoloso lasciare che i singoli paesi possano far saltare i riferimenti dello stato di diritto con l’adozione di legislazioni e misure speciali. Per questo a mio avviso si deve pensare ad adottare un quadro giuridico condiviso a livello europeo limitato allo stato di emergenza, forte di leggi che abbiano durata limitata e sotto il ferreo e rigoroso controllo del parlamento. La temporanea limitazione di alcune libertà a favore della sicurezza collettiva deve passare attraverso meccanismi di bilanciamento e controllo che limitino la libertà di azione dell’esecutivo e del giudiziario. E’ necessario fare sistema intorno a certe questioni emergenziali. Le ingiustizie sono sempre in agguato. O ci scordiamo che la legislazione speciale americana ha prodotto Guantanamo?”.

Se pensiamo che la Francia con la dottrina Mitterand dette asilo politico a chi provenisse da Paesi con legislazioni e quadri giuridici non improntati al rispetto di principi e dei diritti fondamentali, con tacito riferimento all’Italia…

“Allora in Italia era stata adottata legislazione sui pentiti e pochi giorni fa il primo ministro Valls, ha apprezzato il pentitismo, riferendosi ad una struttura per giovani radicalizzati. Il nodo resta, però, quello della condivisione internazionale. E’ evidente a tutti che le singole normative speciali non hanno fermato i recenti attentati. Tutto questo si poteva almeno limitare molto. Prendiamo la procedura sul movimento dei cittadini per via aerea, la PNR (Passengers name record), che soltanto l’ultima riunione del consiglio dei ministri d’Europa ha assunto l’impegno di applicare entro la fine dell’anno, ma giace a Bruxelles dal 2011perché si era incagliata sulle obiezioni a tutela della privacy”.

Decisione tardiva?

“Se applicata prima molti foreign fighters avrebbero avuto vita più difficile, il numero di soggetti pericolosi sarebbe stato scoperto prima dall’intelligence. Ripeto è necessario che la comunità internazionale si sieda e metta a punto un quadro giuridico legislativo condiviso per l’emergenza internazionale. La Cedu si è sempre regolata sulle necessità del momento con protocolli aggiuntivi. Contempliamone uno che riguardi le libertà in tempi di emergenza così che la Corte possa esercitare la vigilanza sul rispetto dei diritti individuali. È pensabile che l’esempio francese non costituisca un precedente cui gli altri paesi possano ispirarsi?”.

L’opinione pubblica però è spaccata tra chi accetta e chi teme la rinuncia alla privacy

“Per conoscere le intenzioni di perniciose di qualcuno non serve devastare la privacy di milioni di persone pescando a strascico negli spazi informatici di tutti. Il risultato è di non riuscire ad intercettare correttamente il messaggio utile. Un manipolo di uomini ben organizzati supportati da profonda conoscenza dell’avversario del terreno, perspicacia, acume analitico, perseveranza e pazienza, aiutati da un uso oculato della tecnologia raggiungono risultati migliori. La conoscenza di bisogni e preoccupazioni della popolazione, che solo un’attività informativa svolta da uomini può fornire, con un ‘Comprehensive approach’, la formazione unitaria della componente civile e militare, è la principale arma per contrastare la natura asimmetrica della propaganda jihadista”.

Quali altri rischi legati a questo scollamento normativo fra singoli Paesi?

“Il ventaglio è immenso e investe molti aspetti. Si pensi a cosa sarebbe potuto accadere se la nostra intelligence avesse dato retta alla segnalazione di quella tunisina sul ragazzo marocchino accusato di aver progettato la strage al Bardo di Tunisia. Rifletto anche sulla mia esperienza, quando fui indagato per le bombe lanciate in Adriatico. Decisi di adottare delle misure su iniziativa personale, nessuno mi dette il via libera. Con quale legittimità giuridica lo feci? Oppure, in Kosovo decisi la chiusura di aerovie, sospesi i servizi pubblici da Foggia alle Tremiti e chiusi l’aeroporto di Bari. Decisioni prese sotto la mia responsabilità personale, in assenza di un quadro normativo per farlo. Avrei dovuto interpellare l’Icao (International Civil Aviation Organisation) mettendo in conto la dilatazione dei tempi burocratica incompatibili con l’emergenza decisionale del conflitto. A maggior ragione oggi che la tentazione di risolvere con le armi una situazione definita di guerra ma che guerra non è, è sempre più forte, è urgente un quadro giuridico comune che regolamenti l’emergenza, questo tipo di emergenza che non è una vera guerra. Il nemico asimmetrico è più sfuggente. Si tratta di avversari dispersi su vasti territori e camuffati nei tessuti urbani, che non sono quelli per cui gli eserciti sono stati addestrati e il contrasto di qualunque forma di criminalità eversiva, organizzata spessissimo per bande non può essere affidata solo alle forze Armate. Si gioca tutto sulla differenza identitaria, entrano in gioco sodalizi cementati da follia religiosa e velleitarie brame di potere e la verità che non ci si deve nascondere è che se si varasse una vera coalizione contro l’Isis ci si troverebbe ancora in serie difficoltà per colmare le asimmetrie. Ecco perché non va lasciato l’arbitrio ai singoli Paesi”.

Un quadro giuridico comune tutelerebbe anche gli aspetti cosiddetti etici degli scontri?

“La domanda da porsi allo stato attuale è se si può uccidere perché si è deciso che un terrorista o presunto tale debba morire senza un regolare processo. La nostra civiltà non ci ha insegnato che solo in un’aula di tribunale domestico o internazionale deve essere trascinato chi si macchia di un delitto contro l’umanità? È un problema di carattere giuridico non da poco che nessuno affronta nella convinzione che ricorrere in modo disinvolto ad un drone o a una cannoniera volante in Afghanistan o Yemen o a Gaza sia un atto legittimo ed equivalga a fare giustizia. Oltretutto l’uso spregiudicato dei droni moltiplica l’odio alimentando le fila dei terroristi di fronte ad interventi indiscriminati. Questo non vuol ovviamente dire che non bisogna utilizzarli, ma farlo in modo regolamentato. Nelle operazioni militari antiterrorismo finora la Nato è rimasto l’ultimo baluardo a difesa di criteri volti a evitare i danni collaterali e salvaguardia vita umana nelle missioni. Nei Balcani le vittime dei bombardamenti furono 430 ma mai per negligenza, indisciplina o trasgressione delle regole di contenimento del danno. Ora i principi umanitari vengono sempre meno rispettati. Lo testimoniano i filmati dopo i bombardamenti (diffusi dai russi) in Siria: impatti delle bombe a grappolo o altre bombe senza unità di guida per assicurare precisione all’impatto. Anche gli Usa non sembrano più molto attenti, come dimostra l’errore sull’ ospedale MSF di Kunduz del 3 ottobre. Si torna a radere al suolo e lo si fa non per carenze sul piano della tecnologia di precisione ma per contenere i costi. Vengono i brividi a pensare cosa potrebbe succedere se l’escalation dell’uso indiscriminato della forza andasse di pari passo con la facilità con cui ci si può dotare di sistemi d’arma sempre più letali e con sempre meno attenzione alla tecnologia che permette l’impatto chirurgico. Come si comporteranno gli altri paesi, Arabia Saudita, Giordania, che stanno rispondendo alla chiamata alle armi? Finora mai nessuno aveva osato parlare del ricorso all’arma nucleare. Ora Putin lo ha fatto”.

Eppure la parola guerra è entrata nelle coscienze per definire il contrasto al terrorismo jihadista.

“Una visione in contrasto con la realtà. Il segmento terrestre sfugge totalmente al controllo, la neutralizzazione degli obiettivi è sempre meno compatibile con i metodi e con i tempi di pianificazione delle missioni. L’uso della forza è sempre meno praticabile e crea difficoltà nell’interazione tra dispositivi militari e gli scenari sul territorio”.

Anche la macchina militare deve essere aggiornata su una nuova condivisa dottrina di impiego delle forze?

“Serve una riflessione istituzionale, che spetta anche agli Stati Maggiori, per scomporre l’attuale puzzle e ricomporlo in un nuovo disegno, più idoneo ai conflitti di oggi ogni pezzo deve incastrarsi ed interagire con gli altri. Prendiamo ad esempio la recente esercitazione Nato in Sardegna, impostata su scenari di confronto simmetrico senza rispondenza alcuna a quelli reali. Non a caso la macchina bellica si è inceppata in Siria mentre le crisi progrediscono avvantaggiando la minaccia terroristica. Non pensabile, ad esempio, contare sulle 48/72 ore dei normali cicli di pianificazione per esaminare, valutare e decidere se le informazioni confermano il punto x come obiettivo valido”.

Quindi?

“Quindi l’altro bandolo matassa è l’Intelligence. L’ostacolo più massiccio per la fluidificazione delle informazioni e il loro utilizzo è la disponibilità a condividere le informazioni che significa cedere un po’ di potere. Seguita a prevalere la regola del baratto. A questo va messo mano. Altro che, come sostiene il premier Renzi, puntare sull’intelligence informatizzata ed elettronica, abusata e di complicata interpretazione. Bisogna puntare sugli uomini, riorientandoli verso il comune avversario con spregiudicatezza pari a quella usata per spiarsi tra paesi alleati. Oggi viger l’ incapacità di fornire un flusso continuo di informazioni proficue sul quadro di battaglia- Ma è possibile farlo. Con traduzioni delle informazioni in coordinate geografiche, foto, segnali laser, video. Si punti su missioni di lunga durata per evitare decisioni estemporanee. Utilizzando piattaforme Istar, satelliti informatori, infiltrati e fidelizzazione dei nemici dei nostri nemici nella consapevolezza di evitare il rischio di far la fine de gli utili idioti in mano alle diverse fazioni. Nei Balcani nel 1999 l’UCK l’esercito di liberazione del Kosovo dette una mano ad individuare gli obiettivi. In Siria sarebbe stato utile individuare i gruppi anti regime anziché introdurre e sponsorizzare gruppi jihadisti per poi affogare nel rompicapo odierno di quale delle parti in causa mettere a fuoco e di chi fidarsi. È ovviamente necessaria una no-fly zone che neutralizzi ogni capacità letale di velivoli. Una straordinaria risorsa per evitare decisioni estemporanee sono infine i droni (che non sono aerei senza pilota e quindi fuori controllo ma con pilota remoto), elicotteri d’attacco, cannoniere volanti, e per certificare gli obiettivi, mezzi per raccolta e distribuzione dati in tempo reale come solo gli F35 sono in grado di fare essendo dei computer volanti”.

Già, gli F35…

“Il loro ingresso sulla scena, ora legato alla limitata capacità operativa dei Marines, comporterà molti vantaggi grazie al software dieci volte più capace di quello degli ultimi caccia in linea. Una vera e propria piattaforma che oltre a mantenere le tradizionali capacità di attacco difesa, ecc., rappresenta un vero centro di fusione delle fonti informative con capacità di intervenire su di esse o di smistarle ad altri utenti del sistema fungendo quindi da sorgente di intelligence. Non sarà certo un difetto tecnico eliminabile il problema ma l’addestramento dei piloti a gestire le sue numerose funzioni. In conclusione potenziare l’intelligence e l’air power con il pilotaggio remoto, uso di forze speciali coordinate ed messe in costante interazione con gli interventi e l’attività aerea. Tessitura di alleanze con combattenti sul terreno da acquisire ad una causa comune guardandosi dal rischio utili idioti. E soprattutto un quadro giuridico normativo internazionale per gestire minacce come quella che ci sovrasta oggi”.


di Barbara Alessandrini