La trappola eversiva di Di Matteo & Co.

mercoledì 9 dicembre 2015


Non c’è solo l’attentato con le armi e gli esplosivi. Non c’è solo Isis e non ci sono state solo le Brigate Rosse. “Menti raffinatissime”, anche se appartenenti a personaggi tutt’altro che raffinati nell’esercizio dei loro compiti legali, hanno complottato e complottano contro le istituzioni dello Stato, contro il Presidente della Repubblica e contro altri servitori fedeli dello Stato. Hanno complottato e complottano per travolgerli in catastrofiche baggianate appositamente studiate, per ridicolizzarli e “sputtanarli” quando non riescano a farli oggetto di accuse sconclusionate ed inverosimili.

Ciò era intuibile da tempo. Da tempo invocazioni e minacce di “tirar dentro” addirittura il capo dello Stato nella farsesca “solidarietà” a Nino Di Matteo, preteso oggetto di una assolutamente inconcepibile (per le “prove” addotte e per il ridicolo della “scoperta”) condanna a morte pronunciata da un obsoleto, isolato e detenuto sorvegliatissimo quale l’ex capo di Cosa Nostra, Totò Riina.

Non si era badato al ridicolo ed al grottesco per suscitare clamore sulle “minacce di morte” nei confronti di Di Matteo, erede del primariato nella gestione del processo, in sé anch’esso eversivo e baggiano, della cosiddetta “trattativa Stato-Mafia”, per presunti “tentativi di subire le minacce di Cosa Nostra”. La lettera di Loris D’Ambrosio a Giorgio Napolitano chiaramente denunciava e provava l’intento eversivo di quel processo e della banda palermitana. Non si era badato a limiti di decenza con arroganti intimazioni, persino al Presidente della Repubblica, perché andasse a “rendere omaggio” al “condannato a morte Di Matteo”.

Di tutto ciò avevo elementi per crearmi una personale convinzione, oltre che dell’assurdità di questo conclamato-invocato attentato creato per finalità sconciamente apologetiche, anche degli intendimenti dei falsari. Oggi, grazie al lavoro di un giornalista paziente e coraggioso, alla convinzione soggettiva dedotta con criteri logici da palesi assurdità di tutta questa storia, si aggiunge la prova documentale di autentici ed impudenti falsi con i quali è stata costruita la panzana della “condanna a morte” del magistrato Di Matteo. E con ciò vengono alla luce, complicità spudorate, compiacenze inquietanti ed una vastità del complotto sconcertanti. Come sconcertante è la vicenda di un ministro della Repubblica che, necessariamente conscio della taroccatura compiuta per “assicurare” un “redditizio” attentato ad un magistrato, ha voluto “agganciarsi” all’operazione per ricavarne un po’ di attenzione ed una scialba aureola di ipotetico eroismo. Parlo, naturalmente, di Angelino Alfano.

Ma, a prescindere da chi abbia materialmente falsificato i risultati delle intercettazioni nei confronti di Riina, di chi, magari, abbia “secretati” i relativi verbali originali, è certo che una pesante responsabilità di questa incredibile, sconcia commedia ricade sul Procuratore Francesco Lo Voi e sui suoi predecessori, come sul Procuratore generale di Palermo. Se Lo Voi ha inteso il dovere di intervenire subito per avvertire Crocetta che “non c’era” la telefonata per la quale, a suo dire, stava per suicidarsi, di fronte a tutta la bagarre organizzativa sfruttare la falsa notizia e per imporre “l’omaggio” a Di Matteo farsescamente “condannato a morte”, avrebbe dovuto, come minimo, smentire l’esistenza di intercettazioni di conversazioni in cui veramente Riina parlasse di un progetto di attentato, lasciando che la falsa notizia circolasse impunemente anche in un’apposita trasmissione della Rai.

Un discorso a parte dovrebbe essere fatto per Pietro Grasso, Presidente- Commissario liquidatore del Senato, tuttavia, Seconda carica dello Stato che ha espresso a Di Matteo la sua solidarietà per la fantasiosa “condanna a morte”. Da notare che tale gesto è stato stranamente assai poco sottolineato dai fanatici “antimafiosi” palermitani, organizzatori di manifestazioni per imporre l’“attenzione” sul loro idolo. Sembrerebbe che essi abbiano voluto evitare, dato che si tratta di un ex “magistrato antimafia” di quel giro, che cadesse troppo clamorosamente in una trappola tesa per altre prede.

Considerazioni analoghe a quelle fatte per il Procuratore capo di Palermo devono essere espresse per quel che riguarda il Consiglio superiore della magistratura, che deve aver conosciuto la realtà dei fatti, cioè la falsificazione (ché altrimenti si tratterrebbe di negligenza gravissima), e ha tuttavia lasciato farsi insultare dalle frenetiche intimazioni dei fans di Di Matteo senza sentire il dovere di dire al Paese parole di verità. A questo punto è chiaro che lo scandalo comporta responsabilità così vaste che appare difficile immaginare che qualcuno sia in grado di affrontare la questione ed andare a fondo. L’attentato diretto a “smerdare” le Autorità dello Stato, non a caso “parallelo” e complementare al grottesco processo allo Stato reo di trattativa con la mafia (di tentativo, di subirne il ricatto!) rischia in partenza di rimanere impunito. Che almeno non rimanga “secretato” e sconosciuto ai cittadini che non ne sono e non ne vogliono essere complici.


di Mauro Mellini