venerdì 4 dicembre 2015
La Giustizia, manco a dirlo, sta vivendo giorni travagliati. Travagliati - e confusi - sono i giorni che scandiscono il ripetersi di inutili votazioni per l’elezione di tre giudici costituzionali, destinati a coprire i posti vacanti nell’organo di garanzia ed equilibrio dell’intero sistema: quello che, a breve dovrà pronunciarsi sulla efficacia delle decisioni assunte da Corti sovranazionali e che, con grande probabilità, sarà investito del quesito sulla legittimità della nuova legge elettorale. L’incaglio del Parlamento non è - soltanto - uno stallo sui nomi imposti dagli accordi tra i partiti e dalla contestazione sulla conventio ad excludendum in danno del Movimento 5 Stelle. È molto di più, anche se chi governa la baracca (o dovrebbe incalzare il nocchiero) finge di non accorgersene.
Sono giorni difficili sul piano giudiziario. La calendarizzazione delle riforme ai codici che regolano diritto e processo penale cade in un momento nel quale le tensioni si addensano su alcuni giudizi, mafia capitale in primis ma non solo, e sulle relazioni tra organi di giustizia e mondo dell’informazione.
Sono giorni difficili, infine, per i diritti degli accusati, compressi da esigenze di sicurezza e mortificati da iniziative non sufficientemente meditate. Per contrapporre una voce - e non molto di più che una voce - ad una situazione potenzialmente molto pericolosa, noi avvocati penalisti abbiamo deciso di astenerci dalle udienze e di convocare assemblee, incontri, convegni. Vorremmo essere ascoltati da chi decide le sorti del Paese. Vorremmo comunicare una esigenza di normalizzazione che non prevede tagli alla sicurezza dei cittadini, ma ne rafforza i diritti. Vorremmo che finisse la strumentalizzazione della gogna mediatica alla quale sono consegnati gli arrestati senza pregiudicare il diritto ad informare e, soprattutto, a sapere, nel pieno rispetto dei principi costituzionali.
Ma, purtroppo, anche noi viviamo giorni difficili, perché non ci siamo ancora adeguati alle nuove forme di comunicazione semplificata del pensiero e scontiamo troppo spesso il fio di un ingiustificato atteggiamento aristocratico. Dobbiamo scendere a spiegare che cosa sia davvero il diritto di difesa e quali conseguenze dovremmo affrontare se le garanzie di ciascuno di noi subissero una contrazione.
La nostra voce, purtroppo, è flebile e la nostra associazione rischia di farsi trovare impreparata davanti ad eventi che richiedono fermezza, ma anche e soprattutto equilibrio. Insomma: il credito politico che avevamo acquisito negli anni passati tende all’esaurimento. Questo non è un bel segnale: non lo è per noi, che dovremo interrogarci sulle nostre azioni e riformulare i progetti, ma non lo è neppure per voi, che avete tutto da perdere, anche in termini di democrazia, quando l’avvocatura è debole.
di Mauro Anetrini