mercoledì 2 dicembre 2015
Nel 1915, esattamente un secolo fa, la rivista Noi e il mondo offriva un quadro edificante della convivenza pacifica fra l’islam e il cristianesimo, di cui i musulmani venivano rappresentati addirittura come i migliori custodi, anzi, il titolo dell’articolo, a firma di Francesco Bianco, recitava testualmente: “La guardia della culla del Cristo non può essere affidata a mani migliori di quelle dei mussulmani”.
“I mussulmani”, scriveva il giornalista, “si son fatti essi i custodi di Terra Santa; perché - al contrario di quello che è la grossolana credenza delle folle europee - i mussulmani hanno la venerazione dei luoghi primi e delle reliquie del cristianesimo. Per essi Gesù è un Profeta, anzi il più grande Profeta, dopo Maometto; ed il suo insegnamento, le tradizioni, i ricordi della sua vita, i luoghi e le persone che l’hanno circondato in terra, sono per ogni mussulmano oggetto di venerazione. Nell’azzurra Moschea di Ornar - a Gerusalemme - sono inscritti versetti del Vangelo; e la tomba della Madonna è un luogo di culto per i mussulmani. Gerusalemme stessa è una città santa dell’Islamismo e, dopo Mecca e Medina, è quella che ha il culto più devoto di ogni fedele maomettano. La Terra Santa - e Gerusalemme particolarmente - è restata nei secoli l’Arca di tutte le religioni, il Tempio di tutti i culti, l’Altare di tutti riti. E lo è stato in pace - e qui è il meraviglioso - per la vigilanza dei mussulmani. Sotto l’oppressione comune le gelosie, le diffidenze, le rabbie dei sacerdoti di culti e di riti differenti si sono mansuefatte e placate. Quei medesimi monaci ortodossi che hanno coperto di conventi il monte Athos - disertato da ogni altra popolazione - vivono a Gerusalemme religiosamente in pace. I rabbini intolleranti della Sinagoga sopportano tranquilli la convivenza coi sacerdoti cristiani, i preti armeni salmodiano nello stesso tempio con quelli copti e con quelli ortodossi; verso lo stesso luogo di adorazione si avviano pregando, senza molestarsi, il sacerdote cattolico ed il pastore protestante. E così Gerusalemme, pacificata ed oppressa dai Turchi, esala al Cielo la preghiera di tutte le religioni, nata nel cuore di uomini di tutte le razze e di tutte le civiltà”.
La cultura araba è millenaria e notevole per quel che ha prodotto nel mondo e per gl’influssi che ha esercitato nel corso dei secoli sul pensiero e sulla storia dell’Occidente. L’Italia ha avuto con essa un rapporto diretto durante il dominio arabo- islamico instauratosi nel medioevo in Sicilia, dove molte città sono la testimonianza vivente di questa sorta di colonizzazione dell’Isola. In quel periodo l’incontro fra le due culture fu quanto mai proficuo. Anche il connubio fra la popolazione araba e quella ebraica fu molto produttivo per la filosofia e la cultura in generale: basti pensare ad Averroè (ricordato da Dante nel canto IV dell’Inferno fra le anime del Limbo: “Averoìs, che ‘l gran comento feo”), il cui contributo alla cultura di ogni Paese fu notevole per le traduzioni e i commenti che fece delle opere di Aristotele allora quasi dimenticate. Dai numeri ai logaritmi, dall’astronomia all’architettura, gli arabi hanno dato molto all’Occidente. Nel Medioevo gli europei trassero da quella cultura, che allora era dominante, notevoli vantaggi per gli insegnamenti dei suoi maestri. L’Islam nacque nel VII secolo d.C. dal corrompimento della religione di Abramo degenerata nel culto degli idoli diffusosi nell’Arabia centrale con l’introduzione di divinità pagane. La predicazione di Maometto fu quindi improntata al ripristino dell’antico ordine che era stato turbato. In quel pullulare di idoli (alla Mecca predominava il culto di Hubal, famoso per il suo oracolo) Maometto si adoperò per restituire ad Allah la prerogativa di primo e unico Dio, accanto al quale, dopo che Abramo e Ismaele ne avevano fatto unico oggetto di culto dedicandogli il tempio della Mecca, gli Arabi, influenzati dai popoli vicini (Caldei, Greci e Romani), avevano aggiunto altre divinità. Una forma di superstizione, dominata da un proliferare di pietre ritenute sacre (i betili), che si credeva proteggessero gli esseri umani dalla collera divina, facendo da intermediari, così come gli astri, gli aeroliti, gli alberi e le sorgenti dei fiumi, che con un loro linguaggio simbolico instauravano rapporti fra gli uomini e Allàh. Fu contro queste usanze che operò Maometto, in particolare contro il culto degli astri e delle pietre ‘sacre’, incontrando l’opposizione e il disprezzo dei politeisti per i quali la Mecca era una fonte di ricchezza che essi avrebbero perduto se avessero seguito il suo insegnamento.
Nella sua predicazione Maometto trovò un appoggio in colei che sarebbe diventata la sua prima moglie, Khadigia, una donna aristocratica molto ricca, la cui famiglia era contraria all’idolatria e portata a un ascetismo di ispirazione cristiana. Un giorno, mentre Maometto accompagnava uno dei suoi zii durante un viaggio in Siria un monaco vide su una spalla di lui una macchia che interpretò come una sorta di unzione divina, segno della profezia. Quando poi Maometto cominciò ad avere le visioni la moglie, per calmarlo, poiché egli temeva di essere preda di una possessione diabolica, consultò un cugino, Waraqa, che in base ai sintomi esposti dalla donna concluse che Maometto era un ispirato, degno di stare accanto ai grandi profeti d’Israele. Maometto stesso fece una descrizione della sua vocazione profetica che stranamente richiama quella di Geremia e di Ezechiele:
“Egli (l’arcangelo Gabriele) mi si accostò mentre dormivo. Teneva in mano un feltro ricamato che avvolgeva un libro: ‘Recita!’, mi ordinò. E io: ‘Non recito!’, risposi. Allora mi schiacciò il libro sulla bocca e sulle nari così forte che stavo per soffocare. Ho creduto per un istante che si trattasse della Morte”. Quell’apparizione si ripeté ancora finché un giorno Maometto, lasciata la grotta e giunto in mezzo alla montagna, udì una voce proveniente dal cielo che per due volte gli disse: “O Muhammad! Tu sei l’apostolo di Allàh e io sono Gabriele”. Egli alzò la testa verso il cielo e vide l’angelo nell’aspetto di un uomo.
Maometto ebbe frequenti contatti con ebrei e cristiani e ne fu influenzato. Dall’inizio del VII secolo cristiani ed ebrei si accompagnavano agli Arabi nelle carovane che percorrevano le strade della Siria, della Palestina, dell’Iraq e dell’Egitto e molto probabilmente Maometto ne fece parte quando fu al servizio di Khadigia, prima di sposarla. Si spiega così il motivo per cui Maometto instaurò un monoteismo arabo basato sulla religione biblica, ma adeguato alle esigenze e alle aspirazioni degli Arabi, restii a sottomettersi sia alle numerose prescrizioni rituali degli ebrei sia alle sottili distinzioni teologiche dei cristiani. Maometto respingeva le pretese degli uni e degli altri di essere loro i detentori della vera e perfetta religione e di arrogarsi essi soli il dono della profezia. Così, mentre gli ebrei avevano chiuso l’elenco dei profeti con Zaccaria e i cristiani con Gesù, Maometto si proclamò l’ultimo portavoce di Dio e il sigillo della profezia. Il suo fu dunque il completamento di Mosè e di Gesù e un ritorno al monoteismo originario, distorto dagli errori di interpretazione e dalle aggiunte degli ebrei e dei cristiani.
Alle origini l’Islam era molto influenzato dall’ebraismo, solo nel periodo di Medina se ne distaccherà, ma non del tutto perché molte analogie con la Bibbia sono rimaste. Fra esse le clausole del patto che garantiva la protezione di Maometto, sottoscritto da dodici esponenti che ricordano i dodici apostoli: “Non affiancare a Dio altre divinità; non rubare; non commettere adulterio; non uccidere la tua prole; non calunniare…”. E’ evidente l’affinità di questo passo col Decalogo. E quando in un secondo incontro venne rinnovato il patto di protezione e anche allora furono eletti dodici preposti (cfr. Esodo, XVIII, 25-6) Maometto disse loro: “Voi rappresenterete per le vostre genti dei garanti, come lo furono gli apostoli di Gesù, figlio di Maria, e io, da parte mia, lo sono per la mia gente”.
Molte sono le cose in comune fra i musulmani e i cristiani, a cominciare dai nomi e dagli attributi divini: ‘Al-Adhim’ = ‘Il Sublime’; ‘E-loìm’ = ‘L’Onnipotente’; ‘Ar- Rahman’ = ‘Il Misericordioso’… Alcuni passi della Bibbia sono analoghi a quelli del Corano: “Non fate agli altri quel che non volete sia fatto a voi”, “Desidera per i tuoi fratelli quel che desideri per te”; “Ama il prossimo tuo come te stesso”, “Gli uomini si amino fra loro”; “Non suonare la tromba quando fai l’elemosina: la tua sinistra non sappia ciò che fa la destra”, “Chi fa la carità la tenga segreta sì che la sua mano sinistra non sappia quanto ha speso la destra”; “Dio non giudica dalle apparenze esteriori”, “Dio non guarda le vostre facce ma il vostro cuore”; “Perdona i tuoi fratelli”. “La più bella azione è perdonare e dimenticare”; “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”, “Pregate con cuore puro e vedrete la verità come in uno specchio”… “Maometto”, ha scritto Toufic Fahd, professore emerito d’islamologia e letteratura araba all’Università di Strasburgo, “è stato uno dei maggiori riformatori dell’umanità. Attorno a un Dio unico, più trascendente del ‘Padre’ della Trinità cristiana, ma più clemente e misericordioso dello Yahweh di Mosè, egli ha saputo raccogliere le sparse schiere degli Arabi, fornendo loro un nuovo ideale e unificandoli con i legami di una nuova fraternità destinata a spandersi e ad affermarsi in tutti i continenti. L’occidente cristiano lo ha giudicato sulla base di un’etica che non era quella del suo ambiente né quella del suo tempo. Maometto non ha fatto altro che ricondurre all’ovile del Dio degli Ebrei e dei cristiani il grande gregge dei figli di Ismaele, che né il proselitismo ebraico né le missioni cristiane erano riusciti a distogliere da un’idolatria divenuta anacronistica”.
Oggi tutte le religioni hanno qualcosa di anacronistico, che era tipico della mentalità di una volta ma che non si addice a quella del nostro tempo. Così non sono più accettabili certi aspetti e comportamenti umani di Dio, quali si trovano nel Corano e nella Bibbia, ma anche in altri testi sacri. È su questi aspetti che i musulmani e i cristiani devono soffermarsi e meditare, instaurando un dialogo costruttivo e portatore di tolleranza e di pace.
di Mario Scaffidi Abbate