giovedì 19 novembre 2015
Ci hanno raccontato che non dovremmo avere paura. Il terrorismo si nutre di paura, vive per generare paura, punta a togliere a tutti noi la tranquillità e la banalità del quotidiano. Se non avremo paura, loro non vinceranno. O almeno così dicono.
In astratto è probabilmente vero, ma guardandosi attorno siamo propensi a pensare il contrario. Questo è esattamente il momento in cui è lecito avere paura. Non è la prima volta che l’Occidente finisce sotto attacco: era già successo nel 2001 a New York, nel 2004 a Madrid, nel 2005 a Londra. È certo, però, che mai come oggi l’Occidente appare debole. I suoi pilastri tradizionali sono radicalmente mutati rispetto a dieci anni fa e il mondo occidentale sembra privo di riferimenti certi a cui appellarsi.
Gli Stati Uniti non sono quelli di George W. Bush. Il suo successore avrebbe potuto rappresentare una straordinaria occasione di riaffermazione, su basi nuove, della centralità americana nel mondo. Il fatto di essere il primo presidente afroamericano della più grande democrazia mondiale rappresentava da sola la testimonianza più autentica del “sogno americano”.
Barack Obama ha invece scelto di utilizzare i suoi primi quattro anni a Pennsylvania Avenue per scusarsi con il mondo intero – e quello medio-orientale in particolare – dando il via a quel “leading from behind” che passerà alla storia per il più grande piano di disimpegno geopolitico degli Stati Uniti dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il risultato delle primavere arabe seguite con distacco e del disastroso intervento (sempre “da dietro”) in Libia sono sotto gli occhi di tutti. E il futuro non offre scenari migliori: a sostituire Obama potrebbe essere Hillary Clinton (che nei primi quattro anni dell’Amministrazione Obama è stata Segretario di Stato e quindi interprete autentica di quel disastro) o uno a scelta tra Donald Trump e Ben Carson che, pur primeggiando nei sondaggi, sembrano avere un’idea piuttosto vaga del concetto di “politica estera”.
L’altro grande pilastro occidentale, quello valoriale, è ormai sbiadito. La Chiesa Cattolica che fu del militante anti-comunista Giovanni Paolo II non c’è più e dopo la parentesi di Joseph Ratzinger si è aperta un’era nuova. Il teologo tedesco non sarà stato un sopraffino intrattenitore ma sapeva quel che diceva, fronteggiava il pericolo jihadista con le armi della ragione e della fede abbinata alla ragione. E non si vergognava (Ratisbona docet) ad affermarlo, con grave scorno per i ginostrada di casa nostra. Purtroppo ha scelto di ritirarsi a vita privata, lasciandoci tutti un po’ orfani e in balìa di Papa Francesco, persona probabilmente straordinaria e parroco dalle qualità umane notevoli, ma assolutamente inadatto ad affrontare il tornante epocale su cui la storia ha posizionato l’Occidente. Bergoglio è intimamente convinto che il problema della nostra società sia il capitalismo o al limite i figli che a tavola usano il cellulare invece di parlare con i genitori: cosa forse risolvibile se quei figli potranno continuare a pranzare in pace in famiglia ma il tutto perde un po’ di senso se, mentre predichi il distacco dall’iPhone, il mondo salta per aria al ritmo di un kalashnikov impazzito nel centro di Parigi.
Non è colpa sua, sia chiaro, non lo fa per menefreghismo ma le sue dichiarazioni dopo gli attentati in Francia (“davvero non capisco”) rendono molto più di qualsiasi dotta analisi sul tema: non capisce e occorre farsene una ragione, magari rileggendosi Ratzinger a Ratisbona e mordendosi la lingua per non averlo difeso a sufficienza.
In questo deserto l’Europa avrebbe potuto giocare un ruolo fondamentale, ma ha scelto di occuparsi di vicende decisamente più serie e di trasformarsi in un gigantesco bollinificio. Così, tutte le merci prodotte da aziende israeliane nei territori occupati avranno un bel bollino identificativo che ci permetterà di comprarne il doppio di quante ce ne servono, un po’ per sfregio un po’ per anti-conformismo.
Non sfuggiamo dall’autocritica, perché questo blog si chiama “Right Nation” e le parole sono importanti. La destra italiana sul tema non tocca palla. Urla, ma non dice; sbraita ma non propone. E quando passa dalla pars destruens a quella costruens lo fa solo per ricordarci che la soluzione unica a tutto si chiama Vladimir Putin. Ma se la risposta è sempre e solo un adorante coro putiniano a noi sorge il dubbio che dev’essere sbagliata la domanda.
(*) Articolo tratto da Rightnation
di Andrea Mancia e Simone Bressan