Un aforisma, un commento

martedì 17 novembre 2015


“Da qualche anno è di moda accusare un partito avversario, o un suo leader, di populismo. La verità è che gli unici partiti non populisti sono quelli che raccolgono meno dell’uno per cento di voti”.

L’origine del populismo risiede nell’ideologia di movimenti politici assai lontani nel tempo e nello spazio. Si va dal giacobinismo al movimento contadino russo della fine del secolo XIX, fino alle prassi novecentesca del rapporto diretto fra un dittatore e il popolo. Il tutto distribuito equanimemente fra destra e sinistra.

Ciononostante, nella polemica politica attuale, in Italia, l’appellativo “populista” sembra essere riservato a chi fa politica da destra ed allude ad una forma di comunicazione politica semplicistica, povera di idee ma ricca di suggestione perché stimola chi ascolta o legge su punti sicuramente condivisi da parte di larghe massi di elettori. Tutto ciò, per chi è di sinistra, basta e avanza per qualificare sprezzantemente i supposti populisti come pericolosa espressione, appunto, della destra. In parte tutto questo è vero ma non riguarda solo la destra.

Infatti, in qualsiasi democrazia attuale, a farla da padrone è il “consenso”, che consiste esattamente nell’adesione, da parte degli elettori, ad un programma o comunque ad una serie di proposte. Così, la “pancia” è al centro di qualsiasi programma politico e il sussiegoso ed altezzoso atteggiamento intellettuale che spesso la sinistra assume, non cambia di un millimetro la situazione. Non si possono conquistare milioni di voti, a sinistra come a destra, con disquisizioni di filosofia politica né con l’appello alla più rigorosa razionalità. Questo è, o era, l’ideale o l’obiettivo ultimo della democrazia, ma la realtà è ancora oggi un’altra cosa. Sfido chiunque a citare passi di un programma politico di qualsivoglia partito in cui termini come “dovere”, “sacrificio”, “pazienza”, “fatica” e simili ricorrano più dei loro opposti che invariabilmente prospettano un perenne allargamento dei diritti assieme ad un’altrettanta costante eclissi dei doveri ed un benessere pronto dietro l’angolo, senza alcun impegno fattivo di lungo periodo, senza rischio e senza alcun costo aggiuntivo. I motivi per cui un partito politico si dimostra incapace di superare l’un per cento dei suffragi sono molti e spesso di non facile spiegazione, ma impostare una campagna elettorale sui doveri e sui sacrifici sarebbe un modo sicuro di rimanere sotto quella soglia. La propaganda politica, insomma, non può non mirare alla pancia della gente perché gli elettorati di tutto il mondo aspettano dai loro rappresentanti soluzioni e non problemi, certezze e non rischi, prosperità e non sacrifici.

Uno slogan come la famosa sentenza di Winston Churchill, “non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore”, può valere solo a due condizioni: che vi sia una guerra e che vi siano uomini come lui. Ma, in fondo, in molte altre circostanze anche solo la seconda basterebbe.


di Massimo Negrotti