sabato 14 novembre 2015
Alle ore 20 e 20 di giovedì, a Milano, di fronte al ristorante kosher Carmel, Nathan Graff, un israeliano di origine afgana (riconoscibile come ebreo perché portava la kippah), è stato accoltellato da uno sconosciuto. Colpito da ben nove coltellate, è sopravvissuto all’agguato ed è ricoverato in ospedale. Fortunatamente era in compagnia e l’ambulanza è stata chiamata immediatamente. L’aggressore si è invece dileguato nel buio. Questo è quanto sappiamo, finora: mentre questo articolo viene scritto e va in stampa la caccia all’uomo è ancora in corso. Dunque non possiamo anticipare il movente, né l’identità dell’attentatore.
Un agguato di questo tipo, però, non passa inosservato e non lascia indifferenti, perché è avvenuto con le stesse modalità dei continui attentati col coltello in cui sono colpiti gli ebrei in Israele. E’ stata una scena della “terza Intifadah” copiata e incollata a Milano. E la paura si è diffusa da subito nella grande comunità ebraica milanese. Prima ancora che la notizia uscisse sui quotidiani online, era in corso il passaparola delle telefonate, degli sms e dei messaggi mandati sui social network. “Hanno accoltellato un ebreo. Sì, anche qui, a Milano”, la voce si è sparsa con la rapidità di un incendio estivo, in questa strana tarda estate di novembre.
In attesa di saperne di più, in attesa di conoscere l’identità dell’aggressore e il suo movente, abbiamo comunque vissuto, sulla nostra pelle e nelle nostre vie, quel che in Israele è ormai vita quotidiana. Quando sentiamo parlare di “Intifadah dei coltelli” ci vien quasi da sorridere, perché nell’era del nucleare e delle armi intelligenti, il coltello è l’arma più sfigata. Ma dobbiamo solo provare sulla nostra pelle cosa vuol dire andare in giro per strada con la paura di essere colpiti a tradimento da una pugnalata. Una volta provata questa esperienza, che in Israele sta provocando la desertificazione di mezzi pubblici, locali e centri commerciali, non vedremo più il coltello come un’arma “sfigata”.
Eppure anche ieri, nel pieno del terrore per l’accoltellamento di Milano, c’erano i soliti che commentavano: “ben gli sta”. Senza attendere ulteriori informazioni, c’era il solito coro che: “ben gli sta, agli ebrei, loro che ai sassi rispondono con le bombe”, “ben gli sta, agli ebrei, psicopatici e paranoici, così imparano a sterminare i palestinesi”, e poi giù a far distinguo, quello fra sionismo ed ebraismo, quindi anche quello fra anti-sionismo (“legittimo”, anzi “doveroso”) e anti-semitismo. Non si capisce cosa ci sia di legittimo nel pugnalare un ebreo a Milano, cosa c’entri questo con il “sionismo” o con la “politica del governo Netanyahu”, cioè con le giustificazioni tipiche di chi odia Israele. Ma anche in queste pugnalate dell’altro-ieri sera, c’è già qualche titolista, qualche giornalista, che inizia a far distinguo. C’è già chi parla della vittima dell’aggressione come di un “ebreo ortodosso”, o di un “ebreo ultra-ortodosso”. Leggasi: un “fanatico”. Dunque leggi fra le righe “tutto sommato se lo doveva aspettare”. Negli articoli leggi che è un ebreo israeliano. E leggi ancora fra le righe: “è un sionista, quindi pugnalarlo è stato un atto di anti-sionismo, non di anti- semitismo”, dunque: “legittimo”.
Questi sono i distinguo, i mezzi toni, le sfumature grazie alle quali stiamo importando il terrorismo islamico senza nemmeno rendercene conto. Può anche darsi che il fatto di sangue di giovedì, a Milano, non c’entri nulla con Hamas o altri gruppi jihadisti (ma viene anche difficile pensare che proprio non c’entri niente con la terza Intifadah). Ma se manca la consapevolezza che esiste un odio ideologico e religioso contro gli ebrei, l’Intifadah la vedremo veramente scoppiare dentro le nostre città.
di Stefano Magni