venerdì 13 novembre 2015
Il problema dell’Italia è che per risolvere davvero i problemi, non serve la moderazione ma la determinatezza, il coraggio e la forza di resistere alla contrapposizione di gruppi, lobby e enclave di potere che, per decenni, hanno vissuto sullo statalismo e l’utilizzo improprio della spesa pubblica.
Del resto lo stesso Keynes, se tornasse in vita e si mettesse a spulciare l’applicazione italiana delle sue teorie, impallidirebbe. Il grande economista, infatti, non solo non prevedeva la disonestà, la corruzione e il clientelismo, ma dava per scontato che la spesa pubblica si trasformasse in occupazione utile, infrastrutture efficienti, servizi adeguati al benessere collettivo, insomma, esattamente il contrario di ciò che è stato fatto da noi. In Italia, l’abnorme crescita dell’impiego statale è stata utilizzata come ammortizzatore clientelare, gli investimenti per opere pubbliche come fonte di corruzione e finanziamento illecito, la moltiplicazione degli apparati erogatori di servizi come sacche di potere per la distribuzione di favori e di privilegi in conto politico.
Il risultato di questa devianza, che sta tutta in capo al cattocomunismo più becero, è esattamente quello che vediamo, un welfare sbilanciato e chiaramente insostenibile, un apparato pubblico e burocratico gigantesco, costoso, inutile e dannoso, infrastrutture e cattedrali nel deserto da paese in via di sviluppo, servizi pessimi e soprattutto un debito ciclopico frutto di sperperi e ruberie. Insomma, un utilizzo delle risorse statali e cioè dei nostri soldi, che grida vendetta e vergogna al cospetto del keynesismo autentico. Per questo inorridiamo sentendo quei paladini di sinistra, cattocomunisti, postcomunisti e filosofi pseudoilluminati, quando pontificano sulla necessità di un certo tipo di politiche economiche. Quei personaggi, infatti, sono gli stessi che più o meno da decenni hanno sfruttato il keynesismo ad uso proprio, personale e partitico, modificandolo geneticamente ad uso esclusivo dei progetti di potere, di comando e di governo.
Come se non bastasse, quei benpensanti sono gli stessi che tuonano a favore della moderazione, quando qualcuno afferma che per estirpare i virus che hanno infettato il sistema paese ci vuole determinatezza, forza e coraggio, insomma un medico con gli attributi e non un medico pietoso. Del resto, che l’ipocrisia di una certa politica abbia devastato l’Italia è sotto gli occhi di tutti, basta scorrere i conti, analizzare la qualità dei servizi, l’efficienza dei carrozzoni pubblici, il funzionamento della giustizia e della burocrazia, per farsene un’idea. Pensare dunque, che per raddrizzare un albero così storto basti la moderazione, il cerchiobottismo e il buonismo fasullo, è l’ennesimo tentativo di imbroglio ai danni di tutti. Per rimettere in sesto l’Italia serve di prendere il toro per le corna ben sapendo che questo scalcerà e di brutto, reagirà per conservare i privilegi, proteggere le parrocchiette con tutta la sua energia, salvaguardare le rendite di posizione con i muscoli, insomma, un toro che per matarlo, altroché moderazione serve.
Per questo noi diciamo che per salvare il Paese da una deriva che resiste e resisterà al di là dei minimi indicatori di crescita che oggi vengono spacciati per trionfi, serve davvero qualchecosa di nuovo. Del resto, da più parti è stata invocata una terapia d’urto, il bisogno di un elettrochoc per scuotere il Paese, di un’azione non autoritaria ma autorevole, non dispotica ma determinata, non ipocrita ma franca, leale e democraticamente inflessibile, insomma thatcheriana e dunque tutt’altro che pericolosa. Basterebbe per questo chiedere agli inglesi se per loro Lady Margaret fosse fascista, razzista, totalitaria o rischiosamente troppo a destra, piuttosto che un Premier con gli attributi politici senza i quali l’Inghilterra avrebbe rischiato di finire nel baratro. Ecco perché da noi servirebbe altrettanto, cioè quell’alternativa liberale e democratica, forte e onesta, laica e repubblicana, che mai è stata fatta nascere per salvaguardare la gramigna cattocomunista e l’ipocrisia di una sinistra assetata di potere.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca