Sesso e carcere

venerdì 6 novembre 2015


Il diritto all’affettività ed alla sessualità dei carcerati. Ne parlarono per primi Moana Pozzi e il Partito dell’Amore. Erano i primi Anni Novanta e si stava uscendo, grazie a Riccardo Schicchi e all’esperienza di Diva Futura, da un lungo periodo di censure, di divieti e di pruderie culminati nel reato di “violazione del comune senso del pudore”. Il diritto all’affettività ed alla sessualità dei carcerati. Perché anche loro sono donne e uomini, non già bestie da soma, per quanto male possano avere commesso. Perché la sessualità e l’amore sono l’esatto opposto della violenza. Sono rieducazione e redenzione, alla faccia dei bempensanti o, meglio, dei malpensanti.

I giornali l’hanno presentata come una proposta sulle “stanze dell’amore” in carcere, quella dell’onorevole padovano Alessandro Zan. In realtà lui ha subito smentito e così si sono assopiti anche i nostri entusiasmi: mai una buona volta che la politica italiana compia una scelta di civiltà! “Niente a che fare con il sesso, la proposta di legge vuole solo aumentare i colloqui famigliari con chi ha un caro dietro le sbarre – ha spiegato infatti il deputato del Partito Democratico - Oggi i colloqui avvengono in stanzoni grandi alla presenza di altre persone. Non è giusto per la privacy, per i figli, ma anche per il coniuge, che non hanno commesso nulla e hanno il diritto di avere con il loro caro un rapporto riservato. Al massimo ci potrà essere un bacio, ma la notizia delle stanze dell’amore è travisata e esagerata”. Al massimo un bacio, ma non un amplesso. L’amplesso è vietato ai detenuti. Aberrazione.

La sessualità è quindi preclusa, castrata al detenuto che, ancora una volta, è trattato da bestia da soma o, da angelo asessuato... Lucifero non ancora redento. Persino un leghista, tale Nicola Molteni, altro deputato di questo triste Parlamento da noi tutti mantenuto, si era affrettato a dichiarare scandalizzato che questa legge avrebbe portato nientemeno che i “bordelli in carcere”. Magari lo avesse fatto, diciamo noi! Che male può fare un detenuto o una detenuta che compiano un atto d’amore con la/il propria/o compagna/o? O che male fa un detenuto che, dopo mesi d’astinenza, copula con una prostituta o, eventualmente, con un prostituto, a seconda delle preferenze? A questo i politicanti sembrano non pensare. Sembra quasi che la politica sia avulsa dai bisogni delle persone, perché di questo si tratta. I detenuti sono, prima di tutto, delle persone. Che, oltre a necessitare di spazi adeguati, di ore d’aria e di privacy con i propri familiari, necessitano anche di scopare.

La stessa Costituzione repubblicana stabilisce, all’Articolo 27, che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il diritto all’affettività ed alla sessualità in carcere è pertanto diritto costituzionale e proibirlo o impedirlo equivale a compiere un trattamento contrario al senso d’umanità. Perché la sessualità e l’affettività sono, checché ne possano pensare i ben-mal-pensanti, l’aspetto fondante dell’umanità.


di Luca Bagatin