Le immunità parlamentari

martedì 3 novembre 2015


Il consigliere del Senato Giampiero Buonomo ha appena pubblicato con l’editore Rubettino il libro “Lo scudo di cartone” sulle immunità dei deputati e dei senatori. È un saggio ben documentato, anche dal punto di vista comparativo, sulle prerogative delle quali godono i parlamentari a protezione della loro posizione e funzione di rappresentanti della nazione. Il libro, nella sua complessità, evidenzia tutti gli aspetti problematici della questione, che non a caso costituisce il maggior punto di frizione nel rapporto tra politica e magistratura. Il popolo, dopo “Mani pulite”, ha percepito le immunità come un odioso privilegio, a mano a mano che copriva di discredito la classe politica, indistintamente nel suo insieme.

Orbene, le immunità parlamentari sono bensì un privilegio in senso tecnico-giuridico, ma non in senso volgarmente ignobile e ingiustificatamente discriminatorio verso il cittadino comune. Un maestro di libertà del rango di Francesco Ruffini ha spiegato che il privilegio è perfettamente compatibile con il principio d’uguaglianza, allorché corrisponda alla specialissima natura del soggetto “privilegiato”. Com’è, appunto, il caso dei membri del Parlamento, che richiedono una protezione ben maggiore di quella che pure assicura l’autogoverno della magistratura. Anche la dottrina più autorevole indulge qui ad accarezzare la coda di paglia dei parlamentari e la testa del risentimento dei cittadini, sostenendo che le immunità non sono un privilegio delle persone ma una prerogativa delle Camere, come se si potesse preservare queste senza salvaguardare quelle.

E per conseguenza questa dottrina, con la medesima logica, afferma che alle immunità il parlamentare non può rinunciare perché servono a proteggere non lui ma l’istituzione incarnante la sovranità popolare, mentre l’impossibilità di rinunciarvi (salvo il caso più irreale che improbabile del voto decisivo del rinunciante!) dipende invece dal fatto che il parlamentare non ne dispone. Sull’onda dell’indignazione popolare, il Parlamento cancellò nel 1993 l’autorizzazione a procedere, vera corazza protettiva di deputati e senatori, e li lasciò con uno “scudo di cartone” al braccio, come Buonomo sottolinea mediante la felicissima metafora. Infatti, le altre immunità processuali (arresti, corrispondenza, perquisizioni, intercettazioni, ecc.), pur toccando, massimamente nell’arresto, la stessa libertà personale, sono pur sempre una protezione settoriale, non generale come quella che preservava il parlamentare dal processo penale, sottraendolo, durante il mandato, alla stessa pretesa punitiva dello Stato.

Quanto all’immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni, neppure essa se la passa troppo bene, sballottata com’è tra la sanzione parlamentare, l’opposizione dei magistrati, la decisione dei giudici costituzionali. Le immunità sono divenute dunque un garbuglio da sbrogliare in diritto e in fatto. Il libro di Buonomo è di grande aiuto a riguardo. Peccato che l’improvvida, profonda, revisione costituzionale “in fieri” non abbia colto l’occasione di riformarle alla luce dell’esperienza maturata e della ragione giuridica, raffreddando, se non spegnendo, quanto a questo, il conflitto tra politica e giustizia che tanti deprecano ma, sembra, soltanto a parole.


di Pietro Di Muccio de Quattro