Sarkozy-Merkel-Napolitano: rispondere delle politiche sbagliate

domenica 1 novembre 2015


Attraverso le testimonianze dell’allora presidente della Commissione europea Barroso e dell’allora capo del governo spagnolo Zapatero è stato confermato quanto già scritto nel 2014 dall’ex segretario del Tesoro statunitense Geithner in “Stress Test. Reflections on Financial Crises”, e cioè che all’apice della crisi dell’euro Merkel e Sarkozy si adoperarono per commissariare l’Italia utilizzando la mancata erogazione del prestito da ottanta miliardi di euro del Fondo monetario internazionale. Napolitano fu, per l’Italia, il tramite e lo strumento di attuazione in Italia del disegno antidemocratico di Merkel/Sarkozy.

Un passaggio, oltre che drammatico, in totale violazione dei sistemi democratici, dato che si è destituito un governo legittimamente eletto dal popolo sovrano di uno Stato membro, l’Italia, per mettere e imporre chi volevano altri, procedendo difatti Napolitano con i governi mai eletti: (1) Napolitano/Monti; (2) Napolitano/Letta e, oggi (3), Napolitano/Renzi. Lo stesso Geithner ha aggiunto, nel libro, che il progetto è stato quello di fare cadere Silvio Berlusconi e di coinvolgere nell’operazione Barack Obama, chiamatosi fuori. Oggi Berlusconi va a riannodare visivamente le fila del rapporto con i Popolari europei e non fa menzione del “processo politico” che ha messo fuorigioco la democrazia in Italia per mano tedesca-francese. Berlusconi, come gli altri vertici degli Stati nazionali, deve fare attenzione a riprendere le fila del discorso politico antidemocraticamente troncato, non con Merkel che dovrà prima o poi rendere conto del vero e proprio colpo di Stato, il golpe del 2011, così come Sarkozy e Napolitano, ma con i vertici veri dell’Europa, essendo Merkel affatto a capo dell’Europa ma unicamente solo di uno degli Stati nazionali facenti parte dell’Ue, specificamente la Germania.

Bisogna anche tenere presente che, al momento, è indifferente spendere parole contro (come ha fatto la Merkel) o a favore (come ha fatto Berlusconi) di Vladimir Putin, perché quest’ultimo fa e sta già facendo molto bene da solo. Putin ha infatti architettato e sta attuando un piano strategico, militare e diplomatico, con cui neutralizzare di fatto l’Isis e i ribelli jihadisti, legittimare la Siria di Assad e costringere al negoziato politico l’Occidente privo da tempo di bussola. Specificamente Putin ha fisicamente salvato l’alleato siriano, “ripulendolo” successivamente dall’aura di demonizzazione scaricatagli addosso da Obama, d’intesa con la Francia di Hollande, il Regno Unito di Cameron, la Turchia di Erdogan, l’Arabia Saudita ed il Qatar. Ricevuto da capo di Stato, Putin ha fatto anche dire ad Assad di essere pronto a destituire se stesso, lasciando spazio alle elezioni in Siria. Testualmente, Assad ha affermato che “dopo la sconfitta dei terroristi deve seguire una fase politica ed i siriani dovranno scegliere da sé il loro destino”. Si ricordi che ad Assad era impedito di uscire dal proprio Paese per sanzioni impostegli da Europa e Stati Uniti e l’altro giorno era nei saloni russi da capo di Stato a colloquio con l’altro capo di Stato, della Russia.

Contemporaneamente allo smacco rivolto all’Occidente delle sanzioni dell’Europa tedesca, Putin ha mandato il messaggio, sempre all’Occidente, consistente nell’invito, da cogliere, a farsi avanti ed a negoziare insieme. E allo stesso tempo ha rivolto, tramite le parole che preparano la transizione di Assad, un messaggio alle monarchie sunnite impegnate a finanziare, armare ed addestrare le milizie jihadiste, perché rivedano le proprie posizioni unitamente al Qatar, alla Turchia ed alla Arabia Saudita. Putin ha anche telefonato a Erdogan, a compensazione del fatto di avere da ultimo teso la mano al movimento curdo Ypg che ha collaborato con l’esercito siriano contro l’Isis saldando un fronte curdo-siriano per la pacificazione della Siria.

In tali passaggi si deve avere sempre ben presente il caso della Libia, quale esempio di drammatica mala gestione politica da parte dell’allora premier francese Sarkozy, insieme a Merkel della Germania europea e Napolitano per l’Italia, oltre ad Hillary Clinton per gli Stati Uniti, chiamata in questi giorni a risponderne. La scellerata guerra alla Libia è all’origine del caos immigrazione; oggi in Libia sventola la bandiera nera dell’Isis e da lì partono i barconi della morte. Non risulta ancora fatta valere responsabilità alcuna in capo ai responsabili Sarkozy, Merkel, Napolitano e Hillary Clinton (all’epoca ex sottosegretario di Stato degli Stati Uniti). Quest’ultima è stata chiamata dalla speciale commissione parlamentare a rispondere dell’uccisione, l’11 settembre del 2012, di quattro americani, tra cui l’ambasciatore statunitense Chris Stevens, durante l’attacco al consolato Usa nella città libica Bengasi. “Impariamo dagli errori e andiamo avanti”, ha chiesto la moglie di Bill Clinton invocando l’unità e chiedendo al Congresso di “lavorare insieme”. Con buona pace dello scatafascio causato in Libia e dei morti di cui è l’oggettiva responsabile. “Vi assicuro che quella tragedia è stata per me enormemente penosa, ho perso molto più sonno di tutti voi messi insieme”, ha osservato la Clinton. Non immagina quanto sonno hanno perso, per sempre, i morti ammazzati per la sua incapacità politica, responsabile e imputabile di aver forzato allora, in qualità di segretario di Stato, la mano a Obama e Biden i quali, dalle ricostruzioni, sembra non intendessero intervenire in Libia contro Gheddafi. Un segretario di Stato conduce la politica estera del Paese illustrando opzioni ed opportunità al presidente il quale poi decide, così come ha fatto Obama allora per gli Stati Uniti. In questo caso specifico le accuse alla Clinton sono di non aver ordinato un aumento della protezione dell’ambasciatore e degli altri americani a Bengasi, nonostante le insistenti richieste dello stesso ambasciatore Stevens.

Le visioni di politica estera dell’ex segretario di Stato e la sua riferita convinzione che gli Usa debbano “continuare a svolgere un ruolo-guida anche in luoghi molto pericolosi perché non può esistere l’opzione di un ritiro degli Stati Uniti dal mondo” non potrà tuttavia muovere che dalla ricostruzione effettiva della realtà, disastri o successi che siano.


di Francesca Romana Fantetti