Giulietti, niente Fnsi

mercoledì 14 ottobre 2015


Niente Beppe Giulietti. E niente presidente della Fnsi. Lo psicodramma del sindacalista più longevo dei giornalisti (leader all’Usigrai, a Corso Vittorio a Roma, ad articolo 21, nella corrente di sinistra di Autonomia e solidarietà, parlamentare del Pd per 5 volte) si è consumato nell’aula intitolata a Walter Tobagi, quando soltanto 36 consiglieri nazionali si sono presentati all’appello del presidente Stefano Tallia per votare il successore di Santo della Volpe, recentemente scomparso. Mancanza del numero legale, rinvio del Consiglio a data da destinarsi. Non prima comunque di 2-3 settimane per permettere al segretario della Fnsi il pugliese Raffaele Lorusso di fare un giro di ricognizione del possibile candidato alla presidenza. Cosa succede ai vertici della Federazione nazionale della stampa? Perché il pletorico consiglio non riesce ad eleggere il presidente?

Le motivazioni partono da lontano. Tutti i sindacati sono in crisi d’identità e quello dei giornalisti non sfugge a questa legge impietosa. Troppe vertenze non risolte, eccessivo numero di licenziamenti, cassa integrati, prepensionati, precari, sfruttati come non si verifica da decenni. Dietro il quadro di un mondo dell’editoria in crisi profonda con calo delle vendite dei quotidiani e dei settimanali nonostante l’iniezione del digitale, ancora in discesa gli introiti della pubblicità. Editori che pensano più ad altri settori che all’informazione. Lotte senza quartiere nel campo televisivo e radiofonico. Questo tipo di problematiche che interessano la stragrande dei giornalisti italiani (solo poco più di 16mila unità contrattualizzati a fronte di circa 8mila posizioni pensionistiche) era al secondo punto dell’ordine del giorno del Consiglio nazionale. Ma la mancanza del numero legale sul primo punto (elezione del presidente) ha fatto slittare l’approfondimento e la discussione su questi argomenti.

Come nei partiti, anche nel sindacato dei giornalisti vengono prima le posizioni di potere. E si torna così al Congresso di Chianciano, quando vennero eletti Santo Della Volpe (presidente) e il pugliese Raffaele Lorusso (segretario generale) al posto del non più candidabile Franco Siddi. Allora si concretizzò una maggioranza scaturita dalla confluenza di più gruppi ma sempre interni alla stessa area politica di sinistra.

A Chianciano come ora a Roma il gran rifiuto del laico Giuseppe Giulietti. Non ci sono le condizioni politiche “per una mia candidatura” disse allora e ha ripetuto a Roma. Come mai? A Giulietti non bastava essere stato chiamato dalla maggioranza. Voleva di più. “Avevo legato la mia disponibilità - ha scritto Giulietti in una lettera ai consiglieri resa nota la mattina delle votazioni - ad accettare la candidatura alla presidenza all’esistenza di un vasto consenso, interno ed esterno alla maggioranza”.

Costatato che così non era, Giulietti ha ritirato la disponibilità. Stop. Questa volta forse per sempre. “Non andrò ai giardinetti, ma ho tanti progetti politici e professionali”, ha commentato dopo la verifica che nel Coordinamento di Fiuggi non c’era unanimità sul suo nome e sul ruolo di presidente da lui delineato il giorno prima quando aveva parlato dei presidenti del passato assieme al direttore generale Giancarlo Tartaglia, presenti Vittorio Roidi, Roberto Natale, Franco Siddi.

Era stato applaudito e osannato. Sembrava un’investitura e invece durante la riunione notturna i distinguo, le critiche, le divisioni sono aumentate. A mettere i bastoni sul percorso di Giulietti, sponsorizzato soprattutto dal due Lorusso e Giovanni Negri ex della Lombarda, soprattutto l’ex segretario di Stamparomana Paolo Butturini uno dei giornalisti più critici del contratto firmato nel giugno del 2014 e il leader sindacale delle Marche Giovanni Rossi. Saltati Giulietti, ritiratosi il segretario della Subalpina Stefano Tallia il gruppone dei delegati del sindacato Rai opera per portare alla presidenza Alessandra Mancuso che lavora agli Speciali del Tg1. Il no “al re dei sindacalisti dei giornalisti” degli ultimi 30 anni è venuto comunque dal Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Umbria, parte della Romana.

Tutto da rifare, una sconfitta per gli 80 consiglieri che si richiamano alla maggioranza del congresso di Chianciano. L’unità sindacale è un bene prezioso ma occorre che sia sostenuta da idee e da progetti all’altezza della drammatica situazione che vive l’editoria.


di Sergio Menicucci