Meloni intervista Del Debbio

giovedì 1 ottobre 2015


La sorpresa, ad Atreju 2015, l’annuale kermesse dei giovani di destra, è l’uomo, anzi la donna che morde il cane. Momento clou, l’intervista in diretta di Paolo Del Debbio alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Invece è la bionda Giorgia a fare tifo da stadio (Paolo, Paolo, sindaco di Milano) per il conduttore di “Quinta Colonna”. Ad incalzare il giornalista perché scenda in politica e si candidi pure a sindaco di Roma. Proprio lei che mesi fa si era proposta per il Campidoglio.

Atreju, titolo che non dice nulla ai più, nacque nel 1998 sotto il Governo Prodi e il sindaco Rutelli. Giorgia Meloni, neoleader della costola giovanile di Alleanza Nazionale, nata 4 anni prima, si inventò una festa tutta romana per i ragazzi del Fronte orfani del Movimento sociale, proprio come il senza-famiglia Atreju nella “Storia infinita” di Michael Ende. Dalla cassa di risonanza di Atreju, la piccola bionda bruciò le tappe: come deputata e vicepresidente della Camera dei deputati più giovane, la risposta di Gianfranco Fini alle deputate berluschine.

Nel decennio magico del potere, Atreju è una kermesse nazionale da 5 giornate all’ombra del Colosseo, organizzata dal giovane ministro della Repubblica, che ha ottenuto per il decennale del suo evento un dicastero per i giovani. Tutti leggono Ende, anche il grande capo milanese che si presenta in camicia nera ai giovani della destra  non lasciando dubbi su chi sia il capo più fascista (in senso buono). Negli anni del crollo, Atreju continua tra diaspore e rimpianto per  le vittorie sprecate alla Provincia, al Comune ed alla Regione. Poi Giorgia è la prima a spaccare il Pdl alla ricerca di una nuova leadership, magari femmina e bionda come lei o la La Pen del Fronte Nazionale francese.

Intreccia intese con Crosetto, Fitto, Tosi. L’ex dominus destro delle finanze, Giulio Tremonti, inviso a tutti, la segue. Il tempo passa senza le primarie invocate. La piccola peste romanaccia appare ritoccata a boccoli tra Marylin e la Biagini, ma è stretta da fratelli e famigli di un nuovo Msi senza sbocco. Il leghista Salvini le sottrae la Le Pen e CasaPound. Fitto e Tosi perdono le uniche primarie che contino: le elezioni. Atreju, 18 anni dopo, si svolge per 3 giorni al Foro Italico in una ex fabbrica, perché il sindaco Ignazio Marino che aveva definito Giorgia “la destra con cui voglio dialogare”, ora la vuole nelle fogne e per dispetto non concede l’area dietro il Colosseo.

A 38 anni, la Meloni che chiede famiglie numerose agli italiani senza avere né marito né figli, vorrebbe un palcoscenico, di un programma, un partito più grande, oltre il 4 per cento che ha, che non è né poco né tanto. Dovrebbe cogliere l’importanza delle tecnologie, del digitale, delle filiere dell’eccellenza nel mondo, ma è il suo mondo di appartenenza che la tiene ferma all’agricoltura (che impiega l’uno per cento del lavoro) o al turismo come ristorazione di massa. Come Fini (non come Storace), la Meloni ha abiurato da tempo al fascismo senza potersi scrollare di dosso il nero non per caso. La sua voce roca da Masaniella è superata da altre grida antieuro. L’accusa a voce spiegata a Berlusconi di non aver formato una nuova classe dirigente è un autogol. Il pensiero corre subito al giornalista Mediaset Giovanni Toti, vincente in Liguria. L’occhio vede il pacioso Del Debbio capace di far rendere in politica la tivù del dolore. A naso, si capisce che gli eredi di Martino e di Pecorella saranno Porro e Giordano. Non-fascisti, milanesi, aziendalisti, i giornalisti Mediaset sono l’ideale per i fascisti romani di partito. Forse Giorgia Meloni potrebbe pensare a trasformare Atreju in un programma culturale televisivo.


di Giuseppe Mele