venerdì 11 settembre 2015
Esistono diverse scuole di pensiero per capire quale debba essere il ruolo della stampa e della libera informazione in una democrazia liberale e in una società aperta al riconoscimento del valore del pluralismo culturale. Vi è chi predilige un giornalismo, che proprio perché è immune e scevro da ogni logica militante, si limita con rigore ed equanimità a valutare i fatti e ad offrire una lettura e interpretazione critica della realtà. Diversamente vi è chi crede che in una democrazia la stampa debba avere una funzione etica e per questo motivo mirare a moralizzare la vita pubblica, ignorando che l’informazione non può né deve sostituirsi ai tribunali, nei quali si amministra la giustizia secondo le regole dello stato di diritto, né divenire la sede in cui stabilire filosoficamente ciò che è giusto e ingiusto e discernere il lecito dall’illecito.
Un episodio, accaduto nei giorni scorsi, ha reso ancora più evidente questa distinzione, che per i liberali è fondamentale, tra i modi diversi di concepire il ruolo e la funzione della libera informazione in una democrazia liberale e occidentale. Da oramai sei anni, dopo la pausa estiva, il quotidiano Il Fatto Quotidiano, promuove una festa nazionale, nel corso della quale, sul palco della Versiliana a Pitrasanta si alternano esponenti del mondo del giornalismo e della cultura per trattare i principali temi che sono al centro del confronto pubblico nel nostro Paese. L’altra sera era previsto il confronto pubblico, sempre a Pietrasanta e sul palco della Versiliana, tra il direttore del Fatto, Marco Travaglio, e il sindaco dello stesso comune, dove l’evento culturale si tiene, Massimo Mallegni.
Massimo Mallegni, pur essendo un sindaco eletto a Pietrasanta nelle liste di Forza Italia, da politico tollerante e rispettoso del pluralismo culturale, ha riconfermato la manifestazione promossa dal Fatto Quotidiano, mettendo a disposizione il palco della Versiliana, i microfoni, gli impianti tecnici, e concedendo al giornale un finanziamento di quindicimila euro, come avevano fatto i suoi predecessori, in passato alla guida del comune di Pietrasanta. Marco Travaglio, che aveva rassicurato il sindaco Massimo Mallegni promettendogli una conversazione e un confronto aperto sui temi politici di attualità, all’ultimo momento si è rifiutato di salire sul palco della Versiliana, adducendo come motivazione del suo gesto, grave, arrogante e inammissibile, la circostanza che Marco Malleggiani ha dovuto subire gli effetti della legge Severino.
Travaglio, uomo puro e moralmente al di sopra di ogni sospetto, depositario di una superiore moralità in virtù della quale può emettere giudizi sommari e definitivi sul conto del prossimo, non può avere un confronto con un uomo politico, a cui è stata applicata la legge Severino, discussa e, a giudizio di un giurista come Luigi Pellegrino, discutibile in più di un suo aspetto. Ora si da il caso che Massimo Mallegni nel 2006, per l’accusa di un reato non particolarmente grave, l’abuso di ufficio, si è fatto 39 giorni di carcere, prima di essere giudicato. Ha subito una condanna nel 2012, per un reato ad oggi che risulta prescritto. In seguito, nei diversi gradi di giudizio è stato assolto dalle accuse che gli erano state mosse e rivolte. Rieletto alla carica di sindaco di Pietrasanta, per effetto delle disposizioni e norme contenute nella legge Severino, è stato sospeso dalla carica.
La sospensione in seguito, come è avvenuto sia per il caso De Magistris sia per De Luca, è stata annullata e il sindaco è stato reintegrato nella carica pubblica, in attesa del giudizio di appello che si terrà il prossimo 10 settembre. Questi sono i fatti che riguardano la persona e la figura pubblica di Massimo Mallegni. Questa vicenda dimostra che la legge Severino, che pure è stata concepita e elaborata con la dichiarata volontà di impedire che nella vita pubblica persone che siano state condannate per reati gravi contro la pubblica amministrazione possano ricoprire cariche istituzionali, sovente, proprio perché non distingue tra i diversi reati, la loro gravità e le varie imputazioni penali, spesso produce un conflitto evidente tra il principio di legalità e la legittimità democratica, che impone di consentire a chi sia stato eletto ad una carica dal popolo sovrano di esercitarla, fino alla conclusione del suo mandato elettorale.
Travaglio, rifiutandosi di avere una conversazione pubblica con un politico come il sindaco Massimo Mallegni, che ha dimostrato di essere un vero liberale quando ha riconfermato la festa del Fatto sul palco della Versilaina a Pietrasanta, ancora una volta dimostra di ignorare, come gli fece osservare in un suo memorabile articolo pubblicato sul Corriere della Sera Piero Ostellino, l’habeas Corpus, un cardine del sistema anglosassone, per il quale è il giudice naturale che deve valutare la responsabilità penale di un cittadino, e qualora ve ne siano gli elementi di legge, privarlo della libertà personale. Ma Travaglio, da sempre, è abituato nel suo lavoro giornalistico e nella sua attività di scrittore di libri, che trasudano moralismo, giustizialismo e una idea della legalità che evoca i metodi della sacra inquisizione, ad individuare nella vita pubblica un nemico per additarlo al pubblico ludibrio.
Marco Travaglio è convinto, e per averne conferma è sufficiente sfogliare i suoi libri, che gli atti di una procura, prima ancora che si sia tenuto un processo per dimostrare la responsabilità penale di un cittadino e un politico indagato, siano sempre basati sulla verità e su prove che escludono il dubbio circa la colpevolezza e l’innocenza di chi sia imputato in un processo penale. Una volta, all’epoca della indagine sui famosi e oramai dimenticati furbetti del quartierino, Stefano Ricucci e Giampiero Fiorani che tentarono la scalata al Corriere della Sera, mi è accaduto di ascoltare un conferenza di Marco Travaglio, che si tenne nel giardino della casa delle letterature a Roma a Piazza dell’Orologi, un luogo frequentato dai grandi intellettuali italiani e internazionali. Ricordo che provai una impressione di fastidio e di grande sgradevolezza nell’ascoltare la disinvoltura con cui Marco Travaglio esprimeva giudizi netti e perentori su persone indagate, dando per certo e scontato che fossero dei criminali responsabili delle peggiori malefatte.
Ero turbato e sconcertato poiché accanto a Travaglio era seduto, ostentando un atteggiamento spocchioso e inutilmente altero Paolo Flores D’Archais, il marchese romano, direttore di Micromega e interprete autentico del giustizialismo declinato negli ambienti di una certa sinistra italiana, che impassibile taceva e annuiva in segno di approvazione. Ricordo che per puro caso sedeva accanto a me Renzo Foa, un giornalista di valore e un vero galantuomo, in passato direttore de L’unità e in seguito editorialista de il Giornale. Renzo Foa, avendo colto il mio evidente disagio al cospetto delle parole in libertà pronunciate da Travaglio, fece una dichiarazione che è rimasta inscritta e scolpita nella mia mente: siamo passati dall’epoca in cui nella sinistra italiana vi era l’intellettuale organico al partito, il Nuovo Principe secondo la lezione di Antonio Gramsci, al tempo presente, mediocre e triste, per il quale vi sono gli intellettuali organici alle procure politicizzate.
Dei libri di Travaglio, basati sulla demonizzazione e la sistematica denigrazione di alcuni politici, indagati e poi assolti, non rimarrà niente in futuro, tanto più che in essi non vi è la minima idea e proposta per favorire una seria e reale azione di moralizzazione della vita pubblica. Come notava Bruno Forte, teologo e filosofo nel suo articolo di domenica scorsa sul Sole 24 ore, ogni persona merita rispetto per la sua dignità umana. Travaglio ancora deve comprendere il valore di questo principio morale.
di Giuseppe Talarico