giovedì 10 settembre 2015
Nel tempo della comunicazione globale, in cui tutto si conosce mentre accade, vi sono immagini che rimangono scolpite nell’immaginario collettivo per la loro capacità di raccontare un fenomeno inedito e mai visto nella storia, almeno non in queste proporzioni e misure, come quello della immigrazione di massa.
La prima immagine, pubblicata nei giorni scorsi sulle principali testate giornalistiche del mondo, ritrae un uomo che si è rannicchiato e nascosto nel vano motore di una autovettura, a Ceuta enclave spagnola nel Marocco, nel nord Africa ai confini tra il territorio Marocchino e la regione Spagnola di Melilla, nel tentativo di oltrepassare la frontiera e entrare nel modo libero, alla ricerca di libertà e benessere. La seconda immagine, non meno significativa e didascalica, raffigura uomini in preda alla agitazione e dai volti atteggiati a paura e timore, fermi nella stazione di Budapest, che evoca l’impero austroungarico multietnico per la sua composizione che riuniva popoli diversi, mentre mostrano ai gendarmi ungheresi il biglietto ferroviario acquistato, per raggiungere la Germania e dai quali paventano di essere fermati e trattenuti.
Queste due immagini, più di tante analisi geopolitiche e di carattere generale, dimostrano che la comunità europea e quella internazionale si trovano a fronteggiare la sfida rappresentata dal fenomeno migratorio, che è destinato ad assumere forme e dimensioni mai viste in precedenza ed in passato. Si è detto giustamente che questa novità così rilevante, che spiega la dimensione che possiede il fenomeno migratorio nel nostro tempo, è legata in modo evidente con la globalizzazione economica e con la facilità con cui avvengono sia i movimenti delle persone e sia la circolazione delle merci e dei capitali. Un primo effetto di grande rilevanza la sfida della immigrazione lo ha prodotto nella politica Europea.
La Cancelliere Angela Maerkel ha dovuto riconoscere che lo spirito Europeo, fondato sui valori umanitari e sui diritti umani universali, impone al suo Paese ed ai membri della U.E. di riconoscere il diritto di asilo a chi si trovi nelle condizioni di essere un rifugiato politico, poiché fugge da un Paese in guerra e in cui è minacciato e messo in discussione il diritto alla vita. Questa posizione della Merkel, per i più avveduti commentatori di politica internazionale, costituisce una svolta fondamentale, giacché si ha una metamorfosi del ruolo geopolitico della Germania dentro l’Europa, da potenza economica che imponeva fino a ieri l’ortodossia della austerità economica, a Paese che si candida a esercitare la leaderschip morale nel vecchio continente, per fronteggiare la emergenza umana legata al fenomeno inedito e complesso della immigrazione.
Oramai è evidente che vi è la necessità di assicurare una politica Europea univoca e condivisa dai Paesi della Unione Europea per gestire questo fenomeno epocale e destinato a ripresentarsi e riproporsi ancora nei prossimi decenni e anni, sia perché vi sono dislivelli demografici evidenti e notevoli tra il Nord e il Sud del mondo, sia perché i tassi di natalità sono diversi nei paesi ricchi e avanzati del vecchio continente, dove si fanno sempre meno figli, e quelli dei Paesi in via di sviluppo, dai quali gli immigrati sono costretti a fuggire per la povertà diffusa. Occorre tenere presente alcuni dati, che spesso vengono colpevolmente ignorati, dando luogo a interpretazioni errate del fenomeno della immigrazione, come quello che nel nostro tempo vi sono sia i migranti che provengono dall’Africa Sub-Sahariana, in cui si trovano Paesi come il Ciad, la Somalia, la Nigeria, il Sudan, paesi dove i migranti fuggono dalla miseria e non solo dai conflitti bellici, e quelli che invece sono costretti a lasciare i loro paesi di origine per la guerra permanente in cui sono precipitati, il Medio Oriente, la Siria, i Balcani.
Di fronte alla sfida rappresentata dal fenomeno migratorio in Europa stanno emergendo posizioni politiche e atteggiamenti culturali diversi e fra di loro inconciliabili. Il premier Ungherese Orban, ed altri Paesi collocati nei Balcani, si mostrano riluttanti ad attuare una politica di accoglienza verso gli immigrati, tanto che in Ungheria ai confini con la Serbi, e precisamente nella regione della Vojvodina, sta per essere edificato ed eretto un muro, per impedire l’ingresso agli stranieri alla ricerca del diritto di asilo. Ciò significa, e questo fatto non ha soltanto un valore simbolico, che in Europa, a distanza dalla caduta del muro di Berlino avvenuta nel 1989, che sembrava destinato a riunire il vecchio continente, la sfida migratoria provoca divisioni e la necessità di tracciare nuovi confini politici.
Questo fatto si spiega con la presenza del fattore della paura, che può creare un contesto politico nel quale verrà offuscato e indeboliti lo spirito Europeo, fondato sui diritti umani universali fin dall’epoca della rivoluzione Francese, il quale, come ha ammesso Angela Merkel, impone di riconoscere il diritto d’asilo a chi ne possieda i requisiti prescritti dal diritto internazionale. Tuttavia, e su questo punto è stata ammirevole per nettezza e chiarezza la posizione sostenuta dal nostro Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, un diritto d’asilo Europeo sul piano giuridico ancora non esiste. Le stesse norme di Dublino, che disciplinano questa delicata materia, prevedono che sia il Paese in cui giunge il migrante a decidere se accordare o meno il diritto di Asilo, a discrezione, di conseguenza, di ogni singolo paese della U.E..
Pertanto, pur tracciando una netta linea di demarcazione tra quanti richiedono il diritto d’asilo, per ché fuggono da Paesi in preda alla violenza bellica, e quanti invece sono spinti ad abbandonare la propria patria per ragioni di ordine economico, il diritto d’asilo Europeo dovrà essere riconosciuto e disciplinato da una nuova normativa comunitaria. Allo stato ogni Paese, rispetto alla concessione del diritto d’asilo a coloro che lo richiedono, si muove in modo autonomo e a propria discrezione. Occorre tenere presente che negli ultimi anni è cresciuto il numero delle persone che fuggono dalla guerra: erano 43,7 milioni nel 2010, sono diventate 59,5 milioni nel 2015.
E’ cresciuto anche il numero delle persone in fuga ogni giorno, attualmente calcolato in 42.500 persone. Certo, se si vuole porre un argine al fenomeno biblico e epocale della immigrazione, come Papa Francesco non si stanca di ripetere, e come farà, secondo alcune previsioni trapelate negli ambienti vaticani, nei prossimi giorni, quando parlerà di fronte al Congresso degli Usa e nella sede dell’Onu, occorre creare condizioni di sviluppo economico e tecnologico nel Paesi in via di sviluppo, sicché il diritto ad una vita libera, serena e dignitosa sia riconosciuto laddove nel nostro tempo vi è soltanto miseria e una condizione di guerra permanente.
di Giuseppe Talarico