Lavoro ai migranti, tasse per gli italiani

mercoledì 9 settembre 2015


Le parole di Angela Merkel piacciono a Papa Francesco ma alimentano la guerra tra poveri. Soprattutto non piacciono a disoccupati e sottoccupati di tutta l’Unione europea. I più acerrimi avversari si rivelano, oltre agli ungheresi, anche i polacchi, i greci, i serbi, i romeni ed i bulgari che, in tema di lavoro, non condividono che l’Ue debba armare strumenti giuridici utili a permettere un rapido inserimento lavorativo dei nuovi migranti. Il modello a cui si dovrebbe ispirare la direttiva dell’Unione, trae spunto dalla recente iniziativa della Merkel che “garantisce ai profughi che avranno ottenuto asilo, corsi di tedesco e formazione professionale per entrare rapidamente nel mercato del lavoro tedesco”. Dall’Ue fanno notare che la distribuzione dei migranti può avere un senso compiuto solo con una rapida collocazione lavorativa degli stessi nei Paesi membri. L’iniziativa viene respinta al mittente dal Regno Unito, che evidenzia come una simile iniziativa non possa che alimentare campagne d’odio e disparità. Di fatto l’Ue chiede che, entro dicembre, il 60% dei 120 mila rifugiati venga non solo ricollocato ma, soprattutto, occupato lavorativamente con regolari contratti di lavoro, evitando forme di sfruttamento.

Le stime dell’Onu parlano di cinque milioni di profughi già in viaggio per Europa. Ed il segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, ha caldeggiato che l’Ue debba “trovare presto un approccio comune per condividere equamente le responsabilità”: ovvero accoglienza, lavoro e casa per i profughi. A Strasburgo, dove la Commissione europea è al lavoro proprio sulle proposte di Merkel e Ban Ki Moon, s’esclude categoricamente la creazione di campi profughi e si caldeggia la soluzione di alloggi in linea con le caratteristiche residenziali dei paesi dell’Ue, una collocazione lavorativa che perlopiù corrisponda a studi e professioni dei richiedenti asilo, nonché sgravi fiscali ed aiuti alle imprese che li assumeranno. All’Italia toccherà ricollocare sul suo territorio circa cinquanta mila richiedenti asilo. Ma la patata bollente sarà tutta del governo e della politica in genere, cui toccherà convincere gli italiani indigenti e senza casa che l’Ue ci obbliga ad un corridoio preferenziale per i migranti. Il Consiglio straordinario degli Affari interni, presieduto dallo stesso Juncker, sa già che Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Ungheria, oltre a non gradire lo schema di redistribuzione (quello per quote vincolanti) non accetteranno mai che i rispettivi disoccupati autoctoni vengano scavalcati dai migranti nelle graduatorie. Intanto il Regno Unito ha escogitato la linea più scaltra, decidendo d’ospitare solo i rifugiati siriani, e non più di venti mila entro il 2020: evidentemente Cameron vuole evitare uno scontro sociale alla vigilia del referendum sull’Ue. Anche in Grecia è trasversale il fronte politico di chi non gradirebbe cedere il posto ai migranti.

In nome del politically correct sembra che nessuno voglia appellare come vile quest’Unione europea, che preferisce assicurare casa e lavoro ai migranti piuttosto che affrontare militarmente il problema della Libia e del Medio Oriente in mano all’Isis. Pur di non dichiarare guerra preferiscono la pacifica invasione. Ed ogni scusa è buona per non ammettere che, cinquecento anno dopo Lepanto, ormai l’Europa è dei maomettani. In Italia già impazzano in rete gli imprenditori che offrono lavoro ed alloggio ai migranti, e chissà quanti curriculum di disoccupati italiani hanno cestinato dall’inizio della crisi. “I disoccupati italiani sono radicalmente razzisti” avrebbe osservato una imprenditrice, e pare che Renzi convenga e concordi. E non meravigliamoci se non spunti la modifica al Job Act in grado di garantire una sorta di porto franco ai consorzi d’imprese che occupino solo migranti.


di Ruggiero Capone