Renzi Mr. Butterfly?

sabato 8 agosto 2015


Ricordate la storia della farfalla (butterfly) e dell’uragano? Insomma, in base alla teoria delle catastrofi, basta un battito della prima per scatenare il finimondo. Un po’ come recita un proverbio arabo: “È l'ultima pagliuzza che spezza la schiena al cammello”. Ecco, quando esploderà come un uragano la protesta dei contribuenti, a forza di metter tasse (dichiarate e occulte) e di lasciare irrisolti i grandi nodi del Paese, come immigrazione, spesa pubblica, sicurezza e crescita economica? Il Governo naviga a vista, o ha una strategia che noi non conosciamo per portarci in salvo da questa interminabile crisi (etica, economica e sociale)? Diciamo che, a quel che è dato di vedere, si guarda all’orizzonte del 2018 senza sapere bene come arrivarci, ma aiutati in questo da due fattori determinanti.

Il primo si chiama “Podemos” all’amatriciana, rappresentato dal duo protestario Grillo-Salvini, che praticano la politica urlata lanciando anatemi e proposte demagogiche destinate a perforare il guscio di questa esile barca nazionale dove si affollano sessanta milioni di infelici esistenze. Se si dovesse andare alle elezioni anticipate (vedremo di seguito come sia, di fatto, impossibile) vincerebbero loro di sicuro, relegando all’opposizione per un altro mezzo secolo questa (pseudo?) sinistra pasticciona e incapace. Il tutto corroborato negativamente dall’assenza di una vera alternativa moderata, storicamente a trazione democristiana e rivitalizzata sotto altre spoglie dai precedenti Governi Berlusconi. Pur di durare, Renzi-Butterfly pare intenzionato ad operare un volo acrobatico invertendo la direzione di marcia dell’uomo solo al comando, per tornare alla politica degli accordi bipartisan, meglio conosciuta con il nome di “Patto del Nazareno” (e relativa numerazione: prima “uno”, poi “due”, ecc.).

Certo, un accordo trasversale destra-sinistra si giustifica, da sempre, quando si tratti di metter mano a regole comuni, come la Costituzione e le leggi elettorali (che, strano a dirsi, si fanno con legge ordinaria!). E la riforma del nuovo Senato delle Autonomie è una di queste, tanto più che la fronda della sinistra Pd (come vedete, l’Italia della politica non dimentica né recede dagli antichi riti delle faide democristiane di un tempo!) rischia di far mancare i numeri in Parlamento per la sua approvazione. Ma, ovviamente, il soccorso azzurro (o “verdiniano” chiaro, non saprei) avrebbe costi politici assai elevati e, quasi certamente, provocherebbe la temuta spaccatura del Partito democratico tra renziani e oppositori.

Poi c’è anche la posizione del Quirinale, il cui titolare è piuttosto esperto in materia elettorale e non firmerebbe mai lo scioglimento anticipato delle Camere, ben sapendo che i cittadini andrebbero a votare i due rami del Parlamento con leggi dagli opposti princìpi (proporzionale puro per il Senato, Italicum per la Camera). E non è solo il presidente Mattarella a temere lo scontato caos conseguente, a parte le prevedibili fibrillazioni di Bruxelles, per il tanto temuto successo degli antieuropeisti italiani. Quindi, paradossalmente, l’orizzonte di Matteo Renzi rimane fermo al 2018. Il segretario del Pd spera di durare anche oltre quella data, qualora i cittadini diano un voto plebiscitario alla sua riforma della Costituzione in occasione del referendum confermativo. Ma, ripeto, incombe sempre su di lui quel rischio di un battito di ali di troppo. Uomo avvisato...

 


di Maurizio Bonanni