Alla ricerca del moderato perduto

giovedì 6 agosto 2015


In tempi recenti la differenza “ideologica” tra partiti di centro, destra e sinistra si è dissolta. Oggi difficilmente un cittadino europeo potrà compiutamente definirsi confessionalmente impegnato in questo, o quel partito politico. L’inizio di questa dissoluzione è avvenuta con la fine del secondo conflitto bellico mondiale quando, sia in Europa orientale che in quella occidentale, i partiti nazionalisti, conservatori e di centro, rispettivamente appartenenti alle istanze del pensiero di destra, liberale e cristiano, sono stati travolti dall’ondata socialista, la cui bandiera era portata avanti dall’Unione Sovietica. Se i partiti cattolici avevano ancora qualcosa da dire con l’idea di “terza via”, ossia una mediazione filosofico-politica tra socialismo e liberismo, i partiti che oggi definiremmo di centrodestra erano umiliati dalle conseguenze della Seconda guerra mondiale. Da quel momento le forze socialiste, in particolare quelle comuniste potranno far leva sul sentimento antifascista e libertario che logicamente pervadeva il contesto non soltanto europeo, ma anche occidentale: la sinistra diventava a pieno titolo la portavoce non soltanto dei suoi concetti ideologici, ma anche di tutte le dinamiche proprie della vita del cittadino: istruzione, sanità, urbanistica … Il pensiero moderato, appartenente ad un’ampia categoria pensante, ma che potremmo definire come promotore di un’idea antistatalista di matrice liberale e con apertura confessionale, stava timidamente leccandosi le ferite per portare avanti quella che sarebbe stata una futura, nuova rivoluzione libertaria, che avrebbe dovuto rifondare il Welfare State, nato tra il XIX e il XX secolo. In quel tempo l’idea dei poveri come meno fortunati, impose la tassazione per tutti, in modo da incentivare gli aiuti e i sussidi ai meno abbienti; un tale modello riporta allo Stato gran parte dei suoi antichi poteri. Per mezzo di un fisco pesante e politiche interventiste, si delinea un modello di Stato che deve migliorare la vita degli uomini, in particolare di quelli meno ricchi e fortunati. Queste idee politiche, di ispirazione socialista e cristiana, re-interpretano i concetti di libertà, uguaglianza e fraternità, portando a identificare, per esempio, l’uguaglianza delle opportunità con l’uguaglianza dei risultati (ognuno ha diritto a tutto).

Lo Stato si espande, si ingrandisce, si burocratizza e, di conseguenza, si appesantisce. Verso al fine del XX secolo statisti quali Margareth Thatcher e Ronald Reagan, ispirati dal filosofo Milton Friedman, capiscono il problema e cominciano a diminuire, attraverso interventi governativi, la pressione fiscale restituendo nuove opportunità alla libera impresa. Reagan e la Thatcher, assieme a Valéry Giscard d’Estaign furono i primi grandi statisti di centrodestra del dopoguerra, impegnati a rompere con gli schemi conformisti del consenso popolare e tentando strade nuove. Il tentativo di una rivoluzione intellettuale e politica, che ribaltasse la prassi dell’interventismo pubblico verso una nuova visione social-politica, è riassumibile nella tesi della Thatcher secondo cui non esiste la società, ma soltanto gli individui e le famiglie. Contro il “troppo Stato”, si assisterà a un breve ritorno al liberismo, anche se prevarrà infine il welfarismo: gli statisti non riuscirono a convincere la società che uno Stato più snello è anche più dinamico. Nonostante i grandi risultati sociali in nome e per conto della libertà e dell’uguaglianza, oggi non viviamo più nell’Europa vittoriana: pensare che tutto debba essere affidato allo stato non è soltanto vetusto, ma è anche rifiutato dalla mentalità comune, disillusa dalle “sinistre” che, seppure con una forte identità ideologica alle spalle, non hanno più nulla da dire. La sinistra ha perso il suo mordente sulle masse da quando, alla fine degli anni Sessanta, non vide emergere nella Nuova sinistra (così si faceva chiamare) i connotati di quella che sarebbe più propriamente diventata l’ala Radicale. Essi non pensavano più collettivamente, ma agivano collettivamente per portare avanti sentimenti ed esigenze singole; ne è prova il fatto che le manifestazioni per il cambiamento degli orari universitari divenne più importante di quello per gli orari delle fabbriche; il diritto allo studio più di quello al lavoro; il diritto alla manifestazione di una diversa identità sessuale più di quello razziale. Tra il 1960 e il 1970 si sentì parlare più di sesso e di droga che di proletariato, e le manifestazioni contro la Guerra del Vietnam divennero un unicum del tutto accidentale. Da allora si aprì una prospettiva, per il mondo moderato, che non è ancora stata propriamente colta. La sfida dei moderati europei sarà quella di discostarsi dalle etichette di destra e centro-destra, senza cadere in quelle anglosassoni di “conservatori”, per dare spazio a un partito o a un movimento di matrice popolare e libertaria, che non sia soltanto un partito antagonista ai “rossi”, ma un vero e proprio partito di programma di cui l’uomo di domani, che è già in formazione, potrà sentirsi parte attiva.


di Danilo Campanella