giovedì 23 luglio 2015
Un’Agenzia nazionale autonoma ed indipendente per tutelare i diritti umani nel nostro Paese. In conformità con la strategia delle Nazioni Unite, che nella protezione dei diritti civili individua uno dei suoi pilastri insieme alla pace ed alla sicurezza. Si tratta di un progetto che in realtà giace in Parlamento da qualche anno e attualmente è all’esame come proposta di legge nella Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama e che durante il convegno intitolato “Proteggiamo e promuoviamo i diritti umani. La creazione di un’istituzione nazionale indipendente”, tenutosi alla Farnesina, promosso dal Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (Cidu) e moderato dall’ambasciatore Gian Ludovico De Martino, è stato rilanciato e discusso da un qualificato gruppo di specialisti italiani ed europei insieme a rappresentanti del mondo dell’associazionismo, che da sempre si occupa della tutela delle garanzie.
Crisma centrale dell’istituzione, almeno sul piano della progettualità ed emerso da subito dalle parole del ministro Paolo Gentiloni, dovrebbe essere il tratto dell’indipendenza. “È importante che nasca con una fortissima caratteristica di indipendenza un’agenzia per la salvaguardia dei diritti umani: serve anche a noi che stiamo al Governo”, ha esordito Gentiloni nella convinzione che “l’equilibrio tra pace, sicurezza e diritti umani è mobile specialmente in questa nostra regione, il Mediterraneo e il Medio Oriente, che oggi affronta nuove sfide. E se dobbiamo riconoscere che la politica è fatta di negoziato, realismo e compromesso, non possiamo trattare i diritti umani come un lusso d’altri tempi, perché le due cose vanno di pari passo”.
È indubbio che l’Italia, sebbene l’accelerazione sia dovuta alle recenti e ripetute sferzate che ci sono arrivate dalla Cedu, appaia progressivamente più pronta e sensibile ad accogliere le sollecitazioni sul tema dei diritti e delle garanzie. E che sia quantomeno formalmente matura ad accogliere gli imperativi, le norme e i princìpi giuridici internazionali che il Diritto internazionale ci chiede di rispettare. Come ha puntualizzato il senatore Riccardo Mazzoni, vicepresidente della Commissione straordinaria per la Tutela e la promozione dei Diritti umani del Senato, le misure che ogni singolo Stato deve assumere in termini di istituzioni preposte alla tutela dei diritti, si sono affermate e consolidate lungo un percorso cui hanno partecipato vari organi delle Nazioni Unite e avviato nel 1978, su richiesta dell’Assemblea generale, con un seminario sulle istituzioni nazionali e locali per la protezione dei diritti umani e successivamente quando, nel 1991, furono adottati i cosiddetti Principi di Parigi cui veniva affidato il compito di esporre in modo sistematico i criteri che dovrebbero informare queste istituzioni di tutela. Per giungere infine alla Conferenza di Vienna del 1993, in cui si ribadiva il ruolo giocato dalle istituzioni nazionali per la promozione e la tutela dei diritti umani soprattutto sotto il profilo della loro funzione di consulenza alle autorità competenti, del ruolo nella riparazione delle violazioni e nella diffusione dell’informazione e di educazione sui diritti umani.
Insomma, quello che si è giocato a livello internazionale e che ha avuto inevitabili ricadute sul piano nazionale è un vero e proprio cambio di metodo che si sostanzia nel passaggio dalla protezione di diritti umani in termini di garanzie successive alla violazione e affidate alle strutture giurisdizionali preposte ad accertare fatti colpevoli e condanne oltre che all’indennizzo delle vittime, alla sollecitazione degli organismi internazionali di attrezzare i sistemi nazionali e locali con strutture specializzate indirizzate a proteggere i diritti umani in via preventiva. Proprio questo è lo spirito e la direttrice che il segretario generale dell’Ennhri, Debbie Kohner, ci ha sollecitato a prendere ed in cui si muoverebbe l’agenzia italiana. Superfluo ripetere che l’attenzione da parte degli organismi internazionali è già molto alta sul fronte di emergenze come le mutilazioni femminili, la moratoria sulla pena di morte, i matrimoni precoci e la libertà di culto, solo per citarne alcuni; tuttavia nel nostro Paese sia dal punto di vista culturale che di sistema e di azione politica ancora viviamo una pericolosa arretratezza. Dal generale terreno giurisprudenziale, all’immigrazione, dalle discriminazioni generazionali, alle garanzie nelle unioni civili al sistema dell’esecuzione penale. Ad attenderci, dunque, sotto lo sguardo dell’Onu, la vittoria o la perdita di un’altissima posta in palio. Quella, come detto dal presidente del Comitato Permanente sui Diritti Umani della Camera, Mario Marazziti, “di evitare che la tutela dei diritti umani sia ancora un lusso”.
La sfida non è rinviabile e obiettivamente, come ha giustamente denunciato Emma Bonino su quelli che preferisce definire diritti civili, “in questi anni in Italia non hanno vissuto tempi felici. Ma mi auguro che stia tornando quell’attenzione che ha aperto in Italia una grande stagione di riforme, e che la politica si sbrighi perché non si può sempre aspettare che sia la società civile ad esercitare pressione senza mai ottenere nulla”. Apparentemente non resterebbe che stabilire, ci si augura con la maggiore velocità possibile, se a correttivo delle infinite smagliature presentate dal nostro sistema, questa nuova istituzione richiestaci dall’Europa debba essere un organo monocratico identificabile con quello del Garante (ed è bene ricordare che quello dei detenuti ancora non è stato creato), oppure un organo collegiale. Purché in entrambi i casi siano rispettati i requisiti di indipendenza del garante stesso e dei commissari dallo Stato e dal Governo. Per quanto la nuova attenzione politica sembri certificare l’archiviazione di quella svogliatezza parlamentare che troppo spesso in passato ha puntato sulla mancanza di fondi per crearsi un alibi all’immobilismo, e nonostante la certezza, come ha spiegato Marazziti, che “tutti i ddl in materia al momento in Parlamento si muovono aderendo al testo di Parigi”, la partita si fa tuttavia insidiosa e complicata. La volontà di operare verso un’istituzione affrancata dalla politica e dai giochi di potere e che coinvolga la società civile - ha spiegato con la consueta stringatezza il radicale Marco Perduca che del precedente ddl sui diritti umani in altra legislatura ha visto e curato genesi e percorso - non potrà mai avere esito virtuoso “se prima non si mette mano ad un processo di selezione, che tuttora non esiste, dei candidati, siano essi giudici della Corte Costituzionale, del Csm, o i commissari chiamati ad occuparsi dell’agenzia nazionale per i diritti umani. Ecco semplicemente perché fallì e il rischio vero è che ci si trovi di fronte al solito problema all’italiana, senza contare che andrebbe previsto e istituito un vero procedimento di consegna delle relazioni alle commissioni competenti al fine di garantire un effettivo controllo dei casi di violazione effettiva dei diritti”.
Sarebbe auspicabile il ricorso ad un minimo di ragionevolezza che detti la tabella di marcia su un’iniziativa così fondamentale. L’esigenza di chiarire e stabilire specchiati criteri di selezione va affrontata prima del pur necessario coinvolgimento della società civile nella costituzione di quello che sarà il futuro, indipendente ed autonomo organo di tutela dei diritti e della garanzie individuali nel nostro Paese. Di quest’organismo l’Italia ha estremo bisogno, purché non si risolva nel consueto carrozzone su cui si riversano gli appetiti di troppi, alla stregua delle mille e inutili Authority esposte alle solite lottizzazioni.
di Barbara Alessandrini