mercoledì 22 luglio 2015
L’arrivo in massa di immigrati dall’Est, etnici ed intellettuali, fu per decenni motivo d’orgoglio per l’Europa occidentale. Negli Anni Settanta era l’unica nota positiva per l’Occidente, in evidente arretramento rispetto all’espansione geostrategica russo-sovietica mai più eguagliata. La soddisfazione ed il compiacimento occidentali erano condivisi da nazionalisti e progressisti moderati, centristi laici e religiosi, accomunati nei diversi motivi dell’antiorientalismo, anticomunismo ed antirussismo.
Gli arrivi che all’epoca crearono una colonia straniera di passaggio a Santa Marinella erano la dimostrazione della superiorità del sistema sociale occidentale. Ed a tutti coloro che arrivavano, volenti e nolenti, veniva pesantemente e continuamente ricordato. Su quella difesa della libera circolazione degli individui, che suonava come accusa alle frontiere blindate dell’Est, poggia tutt’oggi la relativa colonna portante europea, della libera mobilità umana. Oggi quella possibilità la colgono i popoli africani e mediorientali, anch’essi desiderosi a frotte di raggiungere un qualche lembo di terra occidentale. Per motivi non dissimili dagli europei orientali di trent’anni fa. Malgrado l’etichetta di aspiranti della libertà, dall’Est si veniva per vivere meglio, evitare angherie e soprusi, in qualche caso la fame. Lo stesso si può dire per gli immigrati odierni. Il grosso arriva per vivere meglio e più spesso per evitare la fame e gli stenti. L’Europa però non trova nessun motivo d’orgoglio, nessuna soddisfazione. Non ha ramanzine da fare ai nuovi arrivati sulle cattive ideologie dei loro regimi. Si guarda bene dal fare critiche, osservazioni o commenti sui governi del Sud, come faceva su quelli dell’Est. Eppure gli immigrati dei decenni precedenti arrivavano in conduzioni migliori di quelli di oggi. Erano più istruiti, più sani, più educati. Non è difficile trarne la conseguenza che i governi dell’Est da cui fuggivano i vecchi immigrati erano migliori di quelli odierni del Sud. L’Europa non vuole dirlo, addirittura non vuole pensarlo. Le piace immaginare che immigrare con tutte le difficoltà e rischi sia una sorta di globetrotting estremo, una variante da viaggio-vacanza per migranti senza fine, che non partono da nessun posto e non arrivano in nessun luogo. Invece no. Gli immigrati scappano su itinerari precisi che finiscono sempre nell’agognato Occidente.
Se prima la fuga di massa era motivo sufficiente per condannare i regimi dell’Est, oggi lo è per condannare quelli dell’Africa e del Medio Oriente. Se ogni europeo orientale che arrivava era un antisovietico in pectore, ugualmente ogni immigrato oggi è automaticamente un antiterzomondista. L’ideologia antirazzista vorrebbe che il tracollo dei governi africani e arabi passi sotto silenzio; che l’evidente legame tra l’incapacità strutturale del Sud del mondo e l’emigrazione non venga notata. Non si può però negare la realtà. L’Europa dovrebbe tornare ad essere orgogliosa dell’immigrazione. Come fu orgogliosa della sua superiorità sociale sui regimi comunisti, oggi può esserlo dell’evidente primato sui governi terzomondisti.
Cominciare a dirlo ad alta voce, senza falsi pudori, l’indurrà a rispondere all’emigrazione che altro non è se non una richiesta di massa d’aiuto, un grido di dolore cui non si può restare sordi a lungo. Come l’Ovest si è spostato all’Est, il Sud chiede l’arrivo (o il ritorno) del Nord.
di Giuseppe Mele