martedì 21 luglio 2015
Prima di passare al giudizio personale sulle dichiarazioni di Matteo Renzi, che può essere di un tipo o di un altro, si può con certezza affermare che se questa volta il Premier bucasse in tutto o in parte gli impegni solennemente presi con gli italiani non gli resterebbe che fuggire nel più sperduto posto del mondo. Detto ciò torniamo alle tasse, parola che da sempre i comunisti, post-comunisti e cattocomunisti del centrosinistra, hanno interpretato nel significato più becero, antieconomico, vessatorio, ipocrita e ingiusto che la scienza delle finanze immaginasse.
Le tasse, si sa, nascono per redistribuire la ricchezza e non per abbatterla, per partecipare allo sviluppo del Paese, per offrire all’uso collettivo servizi di qualità e di sostegno ai più deboli. In questo senso fu stabilito il criterio di proporzionalità che, in quanto tale, detiene un quantum di esattezza indiscutibile. Già da qui la storia della nostra politica economica inizia a mentire perché da sempre ha inteso la proporzionalità in senso incrementale delle aliquote anziché nella logica autentica che, a parità di percentuale, porta chi ha di più a versare di più. Va da se, infatti, che usare il metodo delle aliquote progressive come clava contro la produzione di ricchezza, non può portare nel tempo ad altro che non sia, per un verso l’impoverimento e per l’altro l’eliminazione di ogni stimolo a produrla.
Inutile dire che nei Paesi liberaldemocratici sia, infatti, logico aiutare e stimolare la produzione della ricchezza per poi tassarla nel momento in cui si manifesta. Non solo, da noi, da un certo punto in poi, è invalso il metodo dell’applicazione di patrimoniali (vietate per altro dalla costituzione), sempre perché nell’ideologia cattocomunista, il sacrificio onesto di una vita di lavoro, se trasformato in un bene tangibile a garanzia della famiglia (casa, terreni e risparmi) diventa automaticamente una vergogna sociale da colpire senza ritegno con le imposte.
Inoltre, in Italia, la pratica del sistema di riscossione è diventata nel tempo una vera e propria persecuzione spregiudicata che, in barba al principio della reciprocità del diritto, colpisce senza vergogna aziende e famiglie, a testimonianza del fatto che quando in un Paese inizia questo gioco al massacro evidentemente il sistema sta saltando del tutto. A tal fine, per la riscossione si sono costituiti organismi ad hoc, anche perché da noi ogni occasione è buona per distribuire stipendi, poltrone e incarichi (spesa pubblica) dotandoli di leggi in grado di schiacciare incivilmente ogni diritto alla parità e alla difesa del cittadino.
Tutto ciò, peraltro, contro la più elementare logica della spontanea reazione umana di fronte all’impotenza e all’ossessione fiscale. Il filo dell’assurdità di tale situazione sta poi nel fatto che la morsa fiscale italiana sia andata stringendosi da quando i politici e la classe dirigente iniziarono a constatare l’espansione del debito pubblico (parliamo di decenni), più si espandeva e più si tartassava. Ma la vergogna delle vergogne è stato il fatto che, volendo la politica fare un muro di protezione su se stessa, si sia giustificata ogni scelta con la scusa di combattere l’evasione.
Il fatto incredibile è che il male italiano, il suo debito e la spesa fuori controllo non nascano dall’evasione (che certo va contrastata) ma da decenni e decenni di ipocrisia politica, disonestà politica, amoralità politica, dissipazione politica, scandali della politica, truffe e regali della politica. È stata la classe dirigente a creare l’inferno che viviamo e per nascondersi, come sempre vigliaccamente, ha scaricato tutto sulle spalle della gente. Per questo siamo arrivati fin qua, tasse ovunque, centrali e locali, casa, risparmi addizionali, balzelli, accise, bolli, imposte nascoste, concessioni governative, passi carrabili, frigoriferi, bulloni e ogni respiro, persino l’ultimo della vita è stato massacrato di tasse.
Solo da noi si è inseguito il debito con la follia impositiva anziché con l’eliminazione degli sperperi e delle ruberie di Stato. Tutto ciò ovviamente, essendo il contrario del giusto e del logico, ha portato il Paese all’impoverimento più profondo e all’odio totale verso la politica e verso l’amministrazione fiscale, inoltre è diminuito il Pil, i consumi e gli investimenti. Del resto solo menti confuse potevano pensare che uccidendo di tasse, ad esempio la casa o il mercato immobiliare (che è tra i più importanti), potesse giovarsene, infatti, è crollato e i proprietari sono infuriati con il fisco. Solo una mente distorta poteva pensare che, terrorizzando, inondando e perseguitando gli italiani di cartelle si sarebbe ottenuto il paradiso, infatti, il contenzioso è esploso, le liti anche, i rateizzi pure ed in più, grazie alla follia delle multe e delle sanzioni, siamo prossimi al collasso e alla rivolta fiscale.
In un Paese normale le cartelle a milioni non dovrebbero esserci perché, se succede, vuol dire che lo Stato considera ladro il cittadino ed il cittadino lo pensa dello Stato ed è proprio così che ci si avvia alla guerra e all’ammutinamento fiscale. Mettiamoci in testa che al punto in cui siamo, senza una sanatoria capace di azzerare in modo equo e definitivo il passato di tutti, non se ne esce e ogni riduzione, seppure benedetta, non darà i risultati che potrebbe dare se fosse accompagnata da una totale pacificazione fiscale. Oggi in Italia pacificare, trovando finalmente il coraggio per battere l’ipocrisia dei falsi moralismi fiscali, significa dare un turbo all’economia di 2 o 3 punti di Pil, restituire fiducia nel sistema e voglia di partecipazione al successo comune.
Oltretutto, per la politica fare un sanatoria sarebbe l’unico modo per chiedere scusa all’Italia per gli scandali e le ruberie che l’hanno devastata, l’unico modo per chiedere scusa di aver preso così tanto in cambio di servizi da terzo mondo, l’unico modo per poter proporre in modo credibile un nuovo patto fiscale, sociale e fiduciario con i contribuenti. Del resto si è fatta per i “ricconi”, che hanno trafugato milioni di euro in Svizzera, con quale ipocrisia la si può negare a chi sta morendo per trenta, quaranta mila euro? Ecco perché tornando a Renzi e le sue promesse ci sorgono dubbi, non solo per le note attitudini del Premier, ma anche per i vizi di un sistema politico istituzionale che perde il pelo ma non l’abitudine.
Infatti, qualcuno dello stesso partito, ipocritamente, già inizia a dire che le tasse non si possono ridurre, ovviamente hanno paura di vedere seccare i loro orticelli elettorali, qualcuno teme di avere meno denaro da spendere per le parrocchie personali, altri ancora solo perché non sono all’altezza di capire. Staremo a vedere, certo è che Renzi una cosa l’ha capita, con il popolo non si può scherzare troppo, né tirare la corda più di tanto, lo insegna la Grecia, la storia e più attualmente i sondaggi e i focolai d’intemperanza che si accendono dal Nord al Sud. La gente è stufa ed esasperata, ha mandato e manda segnali forti e chiari, fare finta di non sentirli e non vederli significa, per davvero, istigarla alla rivolta definitiva, altroché Matteo Salvini, Beppe Grillo o Giorgia Meloni che sia.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca