In fondo a destra

sabato 18 luglio 2015


Continuano i preliminari nel centrodestra: tutti dicono di voler cambiare profondamente le cose ma gli auspici restano chiacchiere da ombrellone o buoni propositi da kermesse politica estiva. Berlusconi annuncia una rivoluzione al giorno ma brancola nel buio, sospeso tra la ostinata pretesa che il suo faccione basti al centrodestra e la pia illusione di poter imporre una classe dirigente di cooptati ad un elettorato ormai allo sbando.

Salvini invece fa il proprio mestiere egregiamente anche se - e Tsipras ne è un fulgido esempio - l’esperienza insegna che le promesse radicali prospettate in campagna elettorale molto spesso sono difficili da mantenere quando si va al Governo. Adesso anche la destra è entrata in “fase amarcord” e sogna una “reunion” all’insegna della vecchia Alleanza Nazionale e degli antichi valori (disattesi ormai da un pezzo). Bisogna ammettere che, almeno a parere di chi scrive, non fu sbagliato entrare in un contenitore più grande come il PDL (anzi) ma l’errore capitale fu quello di non portare i valori della destra in quel contenitore.

Quei valori la classe dirigente di AN li aveva mollati già da un pezzo e non riuscì quindi a contaminare il PDL. E’ evidente che quella, più che fusione, fu una resa (liberatoria) di Alleanza Nazionale di cui Berlusconi si limitò meramente a prendere atto non avendo alcuna colpa rispetto al suicidio collettivo post missino. Adesso quegli stessi colonnelli vorrebbero resuscitare Alleanza Nazionale (o qualcosa di simile) facendo finta di non capire che, giovanilismo o no, chi si è macchiato del suicidio di un’intera area politica non ha la statura morale per propugnare la rinascita di un bel niente. Inutile agitare la bandiera del nuovismo, la destra non ha bisogno di giovani ma di gente capace e presentabile.

Premesso che alla domanda se in Italia sia più utile un Partito di destra o un centrodestra maggioritario (in cui la destra sia determinante) ognuno ha la propria risposta, la cosa utile è forse comprendere cosa manchi alla destra oggi per farsi spazio nel Paese. Ad una classe dirigente credibile di cui si parlava poco prima, forse io aggiungerei che alla destra manca un modello filosofico da proporre alla società. Non si possono sempre tirare fuori i vecchi arnesi dell’ordine, della disciplina, dei valori tradizionali, della famiglia, del no alla droga, della sicurezza, dell’immigrazione da stoppare a cannonate, dei campi rom che vanno abbattuti, dei matrimoni gay che non sia mai e menate simili.

Questi slogan hanno sinceramente un po’ rotto perché ci sono dei temi che necessitano di approcci strutturati e innovativi che vadano oltre le frasi forti, magari urlate a mo’ di esibizionismo muscolare in pantaloni alla zuava e stivaloni. La destra se vuole vivere ha due alternative: quella velleitaria (alla Le Pen), romanticamente dura e pura ma condannata all’opposizione perpetua, o quella moderna che parte dal presupposto che in questa epoca si sta di qua o di là contaminando e facendosi contaminare. La classe dirigente della destra deve crescere sia nella capacità di avere visione politica sia nelle tecnicalità amministrative ma forse, più di tutti, è l’elettorato di destra a necessitare di un vero salto di qualità.

In ciò il popolo della destra non ha certo trovato una classe dirigente in grado di condurlo verso la maturazione e per questo è rimasto spesso (senza generalizzare ovviamente) arrogante, incapace di reggere il confronto, arroccato sui propri dogmi ed a tratti plateale. Mettiamo in chiaro una cosa: quell’area politica mi appartiene per cui non vi è da parte mia un intento denigratorio. Chi conosce quel mondo però sa benissimo che se si prendono dieci persone di destra e le si mettono in una stanza per fare un Partito, usciranno dopo ore di litigi e con undici Partiti e venti scissioni.

Questo perché l’elettore di destra è quello che te lo spiega lui come stanno le cose perché tu non ci hai capito una mazza, è quello che “tuona contro” dicendo il triplo di ciò che pensa realmente, è quello che, se non sei d’accordo con lui, si alza e se ne va e ti ci manda pure, è quello che poi alla fine il problema non se lo studia perché tanto la soluzione è facile: li metti in galera e butti la chiave, li prendi di peso e li accompagni al confino, “je tagli le mano” a sti corrotti, pianti un casino che la metà basta e il problema è risolto, quello è compagno per cui gli sono ostile, io c’ho ragione perché quando tu avevi i calzoncini corti io già attaccavo i manifesti, io sto più a destra di te per cui tu sei democristiano...

Dite che è una parodia? Per confutare quanto detto sarebbe troppo facile bollarla come una volgare esagerazione ma, in fondo in fondo, chi bazzica l’ambiente sa benissimo di cosa parlo. Per crescere, la destra (soprattutto il popolo della destra) deve smettere di essere incazzosamente “contro” cominciando ad essere a favore di qualcosa, facendosi venire dei dubbi e dotandosi di quello che, chi ha studiato, chiama “ascolto attivo”. Ciò per questioni di sopravvivenza, perché in fondo a destra ci sia il futuro e non il bagno come nelle migliori delle tradizioni.


di Vito Massimano