mercoledì 15 luglio 2015
Referendum come vuoti a perdere. Gettati così, a caso, nella discarica della Storia recente dell’Ue e del suo “gioiello finanziario”, l’Euro, il cui signoraggio - come tutti hanno potuto verificare - ha una netta matrice teutonica. Questo perché a ridosso delle riunificazione delle due Germanie e del crollo dell’Urss, una Francia terrorizzata e altri Paesi europei - che portavano ancora i segni dell’occupazione nazista - vollero legare per l’eternità la Germania all’Europa (continentale e mediterranea) in un patto d’acciaio di mutua alleanza, sancito dall’abbandono del marco e dalla creazione della moneta unica. A posteriori, a me sembra che fu un gesto politico insensato, dettato sull’onda dell’emotività e non della ragione, in quanto responsabile di aver messo assieme economie fortemente eterogenee, senza prima aver manifatturato - sul piano prettamente economico - i necessari nuovi Trattati per l’Unione fiscale, bancaria e di bilancio.
La recente lezione sulla fobia franco-italiana della Grexit funziona come perfetto metro di paragone di quello che si delineò come lo spettro del “Quarto Reich” sul finire del secolo scorso. Ed è sempre la Francia, oggi come ieri, la Nazione-pivot di quella ossessione anti-prussiana. E non importa se a pagare molto caro il terzo salvataggio consecutivo della Grecia saranno anche i contribuenti francesi che, al contrario dei tedeschi - attraverso il Bundestag - “non” saranno interpellati a dire la loro sull’accordo tra l’Euro-Unione e la Grecia. Perché una cosa è ormai chiara a tutti: l’Euro non è “irreversibile”. Dall’Unione monetaria si può uscire unilateralmente, o esserne cacciati. Ma l’Europa alla tedesca ha colto l’occasione della Grexit per effettuare una sorta di giro di boa dell’austerity, finalizzando i soccorsi finanziari alla Grecia “anche” agli investimenti produttivi, per il rilancio economico del Paese guidato dalla crescita, nel tempo, dell’economia reale.
La durezza apparente di Frau Merkel si scioglie in questa ammissione implicita, che non si possono schiacciare le economie più deboli sul rispetto inflessibile dei vincoli di bilancio e del Fiscal compact (che non consente alcun margine di manovra per il deficit spending degli Stati aderenti all’Euromoneta). Già... Ma in campo ci sono altri due attori imprevedibili. Il primo è Syriza e il suo premier Alexis Tsipras, novello Odysseus che parte dalla sua Itaca ideologica per sfidare gli dèi della finanza internazionale, credendo di piegarne le volontà, in forza del mandato popolare (coinvolti 3,5 milioni di elettori greci che equivalgono all’uno per cento dell’intera popolazione della zona euro!) ricevuto. Il secondo è rappresentato dal Parlamento e dal popolo greco, chiamato a pronunciarsi sul nuovo, durissimo piano di austerity proposto dall’Europa.
E questo dopo aver detto “no” al referendum, che Tsipras ha contrabbandato con la minaccia di un’uscita unilaterale della Grecia dall’Euro. Ma per il premier greco tornare allo stesso tavolo con gli interlocutori di prima, convinto che la vittoria netta del “no” avrebbe indotto la Germania e i suoi alleati nordici a più miti consigli (come il condono parziale del debito!), si è rivelata una disfatta. Perché, ora, Odysseus torna a Itaca con il suo popolo della sinistra in rivolta, diviso, inferocito e frammentato. Quindi, per far passare le misure draconiane di Merkel & Company, non gli restano che due vie d’uscita: fare un nuovo governo d’unità nazionale o tornare alle urne. In entrambi i casi il fallimento della Grecia sarà solo temporaneamente rinviato. E alla fine della giostra sarà peggio, molto peggio per i greci.
L’unica speranza reale è che questa specie di Odissea (fuori-dentro l’Euro) duri il tempo necessario per pianificare il ritorno alla valuta nazionale, assistito da una sorta di doppia circolazione monetaria. Del resto, saranno le fortissime turbolenze delle classi sociali economicamente svantaggiate ad imporre ai politici greci un ritorno alla valuta nazionale, pur di non perdere i privilegi che derivano da un’amministrazione pubblica borbonica e dai sussidi generosamente erogati dallo Stato greco, a spese dei creditori internazionali. Tra un anno, quindi, “avanti il prossimo!”. E non potrà che essere l’Italia!
di Maurizio Bonanni