Processo all’innocenza

sabato 20 giugno 2015


“Qualcuno doveva averla calunniata perché senza aver fatto niente di male”, una mattina è stata simbolicamente arrestata e limitata la sua capacità di agire. L’incubo ha inizio quando si è sentita accusata di aver abbandonato il proprio figlio in un circolo sportivo privato, nel quale madre e figlio sono iscritti, conosciuti da tutti, amati, protetti e rispettati. Sono così stati condannati a morire di privazioni e sofferenze, madre e figlio, giudicati incapaci di capire la superficialità e l’indifferenza delle ragioni degli altri.

Il padre del bambino, sottoposto al regime di incontri protetti, per essere stato riconosciuto un violento oppressore, persecutore, che ha devastato la vita del figlio e della madre, ha stipendiato per oltre due anni una potente agenzia investigativa privata, che avrebbe dovuto provare l’infame accusa di abbandono di minore, appunto in un circolo privato, dove il bambino gode del privilegio di essere una stella polare del tennis, osannato dai suoi coetanei, dai genitori di questi, dagli istruttori, dal personale tutto, oltre ad essere vigilato a volte anche da due babysitter, atteso che la madre è persona responsabile ed vigile, cercando di prevenire ogni possibile pericolo. Peraltro, l’addebito si tinge di incomprensibile antinomia, attesa l’ulteriore accusa di avere essa madre un rapporto simbiotico con il figlio.

Non c’è da meravigliarsi, quindi, se il mondo è pieno di opinioni errate ed effimere e così empie da causare danni irreparabili, immolati all’altare del bene (del bambino)” (Francesco Guicciardini 1483-1540). Giudizi mortificanti che si ammantano di un mistero che resta inaccessibile ad ogni sforzo volto a capire, ogni tentativo resta vano, qualsiasi traccia appare irrilevante. Quali sono le accuse rivolte alla mite madre che difende il suo piccolo, che ha sopportato per anni umiliazioni, offese; che ha subìto maltrattamenti, ingiurie, violenze e privazioni; che ha denunciato senza essere ascoltata; che ha tentato di difendersi per non finire come tante vittime di un odio violento che lascia una lunga striscia di sangue? Alla mite madre è stata diagnosticata la sindrome di Munchausen da un pediatra che ha certificato la manifestazione clinica con il suffragio di una telefonata e che è stato sanzionato con censura dall’Ordine dei medici. Alla madre del bambino, bello come una lacrima, è stata diagnosticata la sindrome da alienazione parentale (o Pas, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome) dal procuratore del suo ex marito: questa difesa ritiene che tale atteggiamento sia da considerare e valutare all’interno di una patologia più ampia di cui soffre la stessa signora; della finta malattia del piccolo (è intollerante al glutine) ne fa lo strumento per giustificare nell’ambiente sociale il forzato allontanamento dal padre (madre e figlio sono stati traumatizzati dalle violente aggressioni del buon padre di famiglia) - la nostra convinzione che sia, oltreché pericolosa per la crescita del piccolo, malata essa stessa - la madre considera il figlio un prolungamento di sé, con una palese inversione dei ruoli, in quanto il bambino viene da lei percepito in funzione dei propri bisogni e non viceversa - Ella utilizza lo strumento della celiachia, appurata essere inesistente, al fine di mascherare l’esercizio della Pas.

La madre si è limitata responsabilmente a prendere atto di alcune certificazioni mediche né si è arrogata il compito di stilare una graduatoria di merito sui medici. L’ulteriore accusa rivolta alla reproba è di quelle che lasciano il segno: “dimostra una volta di più (la dichiarante prima non c’era, non sa nulla) che la signora non è in grado di rielaborare il proprio vissuto coniugale-separativo, che continua ad attribuire al figlio (anche con l’italiano andiamo male – non attribuire, semmai riversare) i suoi propri motivi di rancore e paura nei confronti del marito e che è convinta che un cattivo coniuge non possa essere un buon padre”. Hanno ridotto le vette della psicologia a pettegolezzi da salone coiffeur, infangando la scienza dell’anima, la nobile scienza che ha disvelato la vera natura dell’uomo. Il consulente a volte detiene un potere inaccessibile e prevalente ai fini del decidere, incomprensibile ai destinatari delle sentenze, sovente ingiusto per i perseguitati: è emerso che la signora manifesta, con il suo atteggiamento e con gli argomenti che riporta, un palese scetticismo sull’efficacia del percorso intrapreso, che sembra subire in forza del decreto del T.M. più che accettarlo come una opportunità personale di crescita e sostegno alla propria genitorialità, non avendo ancora maturato consapevolezza delle proprie inadeguatezze genitoriali e del pregiudizio che con alcuni suoi comportamenti causa al figlio.

Non sono servite 236 dichiarazioni di madre, di padri, di personaggi di un certo prestigio a convincere consulenti, esperti dotati di fede privilegiata, di un dominio ingiustificato a recedere dalla menzogna invereconda, dall’offesa al bene supremo del minore, alla reputazione della dignità delle persone. Anche il Pm chiamato al compito della obbligatorietà della azione penale si è convinto che la denunciante (la parte offesa) ha un pessimo rapporto con il figlio. Ha incomprensibilmente debordato dal confine di competenza dei gravi reati segnalati (artt. 572, 612 bis, 615 bis) e ha stigmatizzato pesantemente la mite madre per aver sporto le denunce, segnalando il grave comportamento al T.M. per aggravare la posizione della reproba quasi a delegittimarne il diritto-dovere a ricorrere alla magistratura competente. Tale superamento dei limiti funzionali non può che essere letto come una operazione contro una donna indifesa e soprattutto contro un bambino da tempo torturato per violenza privata ed assistita, che rischia di finire in un lager di casa-famiglia.

Una complessiva operazione salvifica per tutelare un presunto e violento stalker, condizionato da un odio profondo, rimasto al momento impunito (un procedimento penale è ancora in fase di indagine dal 7 settembre del 2012 ad oggi – due anni e 10 mesi senza alcuna lamentela), con grave pericolo per l’incolumità di madre e figlio, che da oltre 4 anni subiscono torture e privazioni. Si vuole silenziare la voce degli oppressi? Delle vittime che chiedono giustizia? Si vuole colpire la parte offesa che ha solo la limitata facoltà di ipotizzare un reato? L’indomabile oppressore della odiata ex moglie (la vuole annientare e per questo agisce da anni per toglierle definitivamente il figlio – questa è la nostra versione e non la verità scritta nei Vangeli!) con esiti devastanti sul minore (che peraltro è suo figlio), non pago delle plurime condotte aggressive e delle azioni giudiziarie intraprese, avendo raccolto il doloroso risultato di far vivere madre e figlio in condizioni di ansie, paure, terrore, con drammatiche modifiche delle condizioni di vita giornaliere (madre e figlio vivono come braccati in attesa sempre di esiti nefasti) ha condotto un’ennesima azione punitiva e destabilizzante per figlio e madre, accusata di aver abbandonato il suo affetto più caro in un circolo privato, dove per entrare occorre aver un badge.

Sostiene interrogatori, cerca avvocati e testimoni soltanto per riuscire a giustificare il suo delitto di “esistere”. Cinque anni di guerra non dichiarata hanno lasciato molte ferite e molte sofferenze, nonché dilapidato le poche ricchezze. Le cinquanta sfumature dei diritti e dei doveri, oltre a non essere più idonee a definire le reciproche posizioni giuridiche, non garantiscono nella sostanza la salute e l’incolumità del minore e della madre e possono rilevarsi deludenti e deficitarie a causa di un altalenante margine di rischio. Così il piccolo e la madre possono conoscere l’essenza del reale, dissipare ogni illusione, ogni consolazione ingannatrice. Le tenebre delle accuse, quel funzionamento perverso di traballanti regole e procedure, provocano il senso di colpa per cui qualsiasi comportamento diventa pericoloso e lo rende compartecipe del gioco universale della necessità, della ingiustizia, della menzogna. L’innocente si trova preso dal funzionamento del diabolico sistema giudicante, cui si accompagna una evoluzione interiore che gli causa il senso di colpa. Il funzionamento complesso e inesorabile della legge, che all’uomo non è dato conoscere e che rende assurda e tragica la vita, segna l’inevitabile fallimento di ogni difesa, la solitudine, l’impossibilità di stabilire un rapporto di adesione con il mondo che lo circonda, impossibilità di realizzarsi in una dimensione autentica.

Club esclusivi dove si pratica l’inquisizione, dove l’annuncio della buona novella, della redenzione, concesso dalla misericordia uno spazio di ascolto è vinto dall’astinenza a rimettere i propri peccati, da quel campionario di ovvietà, luoghi comuni difficilmente riscontrabili in altri contesti scientifici lontani dalla cosiddetta psicologia forense (psichiatria, neurologia). Un clima di accuse da nostalgica inquisizione, da decisioni punitive, prive di riscontri oggettivi, per quanto di oggettivo ci possa essere nella valutazione degli psicologi forensi, che sicuramente non fanno bene ai conclamati diritti dei minori, sovente disattesi. Una romantica vaghezza, replicante prassi consolidate di incauti esperti. La madre ed il piccolo verranno portati via senza la minima protesta o resistenza, sfiniti, vinti per sottomettersi ormai solitari al nascente senso di colpa generato da coloro che indebitamente sono convinti di poter giudicare.


di Carlo Priolo