Quando tutti si chiamano fuori

venerdì 19 giugno 2015


Se l’Italia piange, la Francia non ride. Mentre il governo italico e gli ierofanti della solidarietà tout court sostengono ciecamente ogni sbarco, quello francese, timidamente, si guarda intorno, cercando il momento opportuno per fare il passo indietro. Hollande il socialista, assediato dai cittadini stanchi, stremati dalla recessione e dalla mancanza di occupazione, e dalla destra nazionalista, rifiuta la proposta del sindaco di Parigi di approntare un campo profughi nella Ville Lumière. Piuttosto la gendarmeria si stringe a coorte, respingendo con forza e senza prudenza le orde di disperati che si ammassano sulle frontiere, tra l’Italia e il Paese d’Oltralpe.

L’Italia si trova da sola a gestire la crisi delle immigrazioni, tra promesse europee e imbarazzi nostrani. La differenza tra i migranti politici e quelli economici è l’ultima giustificazione che spera una nuova forma di accettazione popolare. I Paesi africani in guerra sono pochi, rispetto a quelli in pace, se di pace si puo’ parlare con miniere, campi, coltivazioni, fabbriche gestite da aziende occidentali che estraggono le materie prime per fabbricare la nostra ex agiatezza, in cambio di una manciata di disprezzo. Il colonialismo non ha mai cessato di esistere. Le ragioni vanno ricercate nello squilibrio tra i due grandi blocchi, quello occidentale e quello terzomondista, che vede da secoli francesi, americani, tedeschi, inglesi e ora anche cinesi “a casa propria”.

Si dirà: Campanella, cosa ci vuoi dire? Vuoi farci la morale dei cattivi sopraffattori nella povera, vecchia Africa? E i loro governi non hanno responsabilità? E noi cittadini cosa possiamo comunque fare? No signori, qui ogni morale é finita. Il desiderio di avere ragione non ha più posto in una società sorda, distaccata, che lascia soli i suoi uomini più attivi e morti i suoi uomini migliori.

Quante volte pavoneggiare piacque agli intellettuali, che novellavano sui vecchi saggi dei filosofi e dei giuristi. Ogni moto di indignazione è ormai inutile, come è inutile per un medico operare un paziente in fin di vita. Si dirà piuttosto ai familiari di portarlo al mare, fargli respirare aria pura, distrarlo, prima della fine inesorabile. Così siamo noi.

I nostri disertori politici schiacciano, prevaricano, coprono ogni possibile soluzione, temporeggiano, vaneggiano nelle loro retoriche sciatte, deprimenti, vuote, certi del disinteresse di un popolo di formiche il quale, al massimo, sa urlare negli scioperi del venerdì, che fan da ponte alla domenica dell’assidua gente.

Il carosello degli africani pezzenti, tra la ragion di Stato e quella delle ex plebi borghesi, é l’ultima putredine di una società oramai quasi totalmente decomposta. Che non ci spaventino i terroristi alle porte. Non c’è rischio che qui finisca tutto perché arriva l’Isis; ma arriva l’Isis perché é finita.


di Danilo Campanella