venerdì 19 giugno 2015
È di qualche giorno fa la notizia che a Treviso un magistrato si è astenuto dall’emettere una sentenza, sollevando la questione di legittimità costituzionale sulla nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati. L’avvocato Valerio Spigarelli (nella foto), ex presidente dell’Unione Camere Penali italiane, ci chiarisce perché considera “paradossale la(non) decisione” del giudice che ha tutta l’aria di nascere da un uso strumentale delle sue funzioni ed in aperta polemica con la recente legge sulla responsabilità civile dei magistrati.
Il magistrato in questione nel motivare la sua decisione ha spiegato che la valutazione nel caso di specie “è difficile e rischiosa in ordine alla correttezza del giudizio” e che “la nuova normativa (sulla responsabilità civile, ndr) mina il cuore dell’attività giurisdizionale perché il giudice sarà portato alla decisione meno rischiosa”. Nonostante l’approvazione della legge e i ricorsi contro i magistrati siano un numero esiguo, questa decisione apre la strada ad iniziative e contenziosi pretestuosi e strumentali da parte della magistratura, col rischio di paralizzare ulteriormente il sistema giudiziario? È possibile un diniego di giurisdizione? Questo rifiuto non equivale a quello, impensabile, che un qualsiasi altro professionista, un chirurgo o un manager, potrebbe porre all’assunzione di responsabilità di un’operazione o di una decisione delicata e rischiosa? Eppure queste figure professionali possono andare nel penale...
“Non conosco il caso nel dettaglio, ma certo pare una (non)decisione paradossale. La legge sulla responsabilità civile non obbliga al conformismo giudiziario ma censura i casi, gravi, di scarsa diligenza, di incuria, di sciatteria e di ignoranza professionale. La qual cosa è da sempre accettata per quanto concerne altre figure professionali, anche quelle, come notai ed avvocati, che hanno a che fare con la valutazione giuridica degli elementi sottoposti al loro vaglio. Non mi pare che la magistratura italiana abbia mai avuto dubbi di costituzionalità in tema. I giudici che hanno timore a prendere decisioni dovrebbero cambiare mestiere”.
Anche considerando che nella legge sulla responsabilità civile dei magistrati il dolo e la riformulazione della colpa grave è piuttosto restrittiva e appunto contrae molto le possibilità di ravvisarla ai danni del magistrato...
“La legge è fin troppo equilibrata, tanto che istituisce un doppio binario di verifica: l’uno nei confronti dello Stato, che è direttamente responsabile nei confronti del cittadino danneggiato dalla malpractice del magistrato, l’altro in sede di rivalsa nei confronti del singolo magistrato, persona fisica per il quale è richiesto qualcosa in più, cioè l’inescusabilità. In più la misura del risarcimento non copre certo l’entità del danno eventualmente inflitto e risarcito dallo Stato. Tutti sanno che gli effetti della legge non saranno rivoluzionari, tanto che le assicurazioni professionali dei magistrati sono aumentate di pochi spiccioli e questa è la migliore conferma del fatto che quelli che parlano di cupio dissolvi della indipendenza dei magistrati lo fanno in maniera strumentale. E tra questi i vertici dell’Anm, che continuano a parlare di incostituzionalità della legge solo per governare una base che da sempre è abituata alla più totale irresponsabilità professionale dal punto di vista civile e dunque, ovviamente, non digerisce il cambiamento. La sensazione, peraltro, è che in effetti il testo uscito dal Parlamento era il frutto anche dell’interlocuzione con il sindacato dei magistrati, i cui vertici hanno poi dovuto alzare il livello perché scavalcati dalla rivolta interna e dalla pressione di MI. E non è solo una sensazione: se non ricordo male il ministro Andrea Orlando contestò all’Anm di fare due parti in commedia al riguardo, o sbaglio?”.
Dall’Anm non arrivano commenti al singolo provvedimento giudiziario. Ma Sabelli conferma i dubbi di legittimità costituzionale espressi nel parere rassegnato alla Commissione giustizia alla Camera mesi fa...
“Il punto che non va giù alla magistratura associata è la scomparsa del filtro preliminare, che era la vera e propria Fossa delle Marianne dei ricorsi dei cittadini. Non è vero che senza filtro di ammissibilità siamo al di fuori della Costituzione, come confermano fior di costituzionalisti, uno per tutti Cesare Mirabelli, quest’idea poggia su alcune decisioni della Consulta che però vanno lette anche in relazione al sistema che avevano di fronte. Peraltro la selezione preliminare cui alludeva la Corte, a quell’epoca riguardava le richieste realmente platealmente implausibili, temerarie, o sfornite di requisiti formali, non certo quel pre-grado preliminare di giudizio che era divenuto il filtro e che la magistratura associata vorrebbe reintrodurre”.
Con questo precedente che succede, sul filo del paradosso, il filtro occorrerà metterlo ai ricorsi dei magistrati alla Corte Costituzionale?
“È una idea paradossale ma non troppo. Se si pensa a come, fin dai tempi di discussione della legge, è stata preannunciata la sollevazione di dubbi di costituzionalità, e come questa si stia proponendo anche a fronte ai numeri dei ricorsi in questi primi mesi applicazione, che non paiono certo alluvionali come paventava la magistratura, il sospetto che attraverso l’incidente di costituzionalità si coltivi semplicemente il riflesso negativo avverso ad una legge non condivisa è forte. Del resto non è mica una novità. Anche con il codice del 1988 avvenne la stessa cosa: l’accusatorio non piaceva alla maggioranza della magistratura e piovvero decine di eccezioni di incostituzionalità, sia prima che dopo la modifica del 111”.
Non ritiene che all’Avvocatura spetti un intervento su una questione così delicata? È immaginabile un esposto? Non è ora che faccia sentire la propria voce, una presa di posizione politica?
“La cosa fondamentale che ritengo, su questa materia, è che chi finisce un mandato rappresentativo deve evitare di fare la patetica figura del nostalgico, anche perché ogni tempo in politica è diverso. E siccome ho smesso la carica di presidente dell’Unione delle Camere Penali da meno di un anno la domanda penso che vada posta a chi ha responsabilità oggi”.
In generale, dopo i toni dialoganti contro il populismo penale e le disponibilità al confronto dimostrati non solo dal ministro Orlando ma anche dal presidente dell’Anm Sabelli e cui ha dato credito, forse ingenuamente, buona parte dell’associazionismo dell’avvocatura penale, lei pensa sia ravvisabile in quanto accaduto un primo segnale di nuovo inasprimento delle posizioni e del potere condizionante anche in sede legislativa della magistratura? Teniamo presente in agenda che ci sono ancora una serie di provvedimenti sul cpp e pp e l’obiettivo sembrerebbe quello di arrivare a sentenze esecutive, pochi appelli (tranne quelli che l’accusa può chiedere in caso di assoluzione in primo grado) e possibilmente zero Cassazione, insomma una contrazione progressiva della difesa e dei diritti dell’imputato a vantaggio dell’accusa.
“Il rischio del populismo penale è altissimo, e alcune leggi che sono state già introdotte, come quella sulla corruzione, ovvero che saranno introdotte a breve, come l’omicidio stradale, lo rendono evidente. Quanto alle norme sul processo, il Parlamento discuterà a breve un pacchetto in cui ci sono cose buone, frutto del lavoro fatto tempo fa in alcune commissione ministeriali, e cose assai discutibili. Il momento è importantissimo, chi ha tela tesserà, e sono sicuro che l’avvocatura penale farà la sua parte. Dialogare con le istituzioni per una associazione di avvocati è naturale, protestare quando sono violati i diritti fondamentali, anche attraverso una regressione del sistema giudiziario, pure”.
di Barbara Alessandrini