Bosco della Ficuzza: cimitero di notizie

giovedì 11 giugno 2015


Una volta, quando la mafia non amava i clamori e consumava nel silenzio e nel buio le più terribili delle sue scelleratezze, essa aveva un suo cimitero: senza croci, né targhe, dove i nomi delle vittime dei suoi assassinii eccellenti si perdevano nell’anonimato di sepolture in luoghi inaccessibili, tra il verde intricato ed i dirupi del Bosco della Ficuzza dalle parti di Corleone, che una volta copriva un’area più grande di una provincia e che tuttora, a parte l’orrore che incute, è un’ampia macchia verde sulla terra infuocata dell’isola.

Quando la mafia non doveva usare i cadaveri delle sue vittime per mandare messaggi, raccontare storie (il sasso in bocca, la faccia sfigurata dal colpo di lupara, ecc.), non c’erano funerali e sepolture nei cimiteri: l’ammazzato spariva, come se non fosse mai esistito a dare il segno che “non aveva avuto il diritto di vivere”. C’era dunque una tradizione mafiosa del “sopprimere” anche in spirito, cancellare dal ricordo che si realizzava con una non rintracciabile sepoltura al Bosco della Ficuzza. Oggi l’Antimafia, ereditato dalla mafia il ruolo del “terzo livello” di cui tanto si discuteva qualche decennio fa, ha le sue “soppressioni”, le sue “cancellazioni dalla memoria”. E pratica le sepolture impietose ad un metaforico Bosco della Ficuzza. Non sopprime uomini, ma fatti, avvenimenti e notizie. Ha i suoi “picciotti di mano” nei giornalisti delle sue cosche.

Ed essi hanno un ideale Bosco della Ficuzza in cui fanno sparire notizie, fatti che non piacciono ai loro amici ed amici degli amici. È pensando al Bosco della Ficuzza che si spiega la capacità dell’“informazione” (si fa per dire) siciliana di seppellire e cancellare nel silenzio eventi clamorosi, situazioni che in ogni altra parte del mondo sarebbero contesi da tutti gli organi di informazione. Il collegamento con la mafia c’è. Non solo per l’analogia con la “lupara bianca” che ha stroncato tante vite, ma perché è oggi la mafia dell’antimafia la principale cliente di questi professionisti della disinformazione. La mafia dell’antimafia, che ruota attorno alle stravaganze antimafiose dei supporter della Procura di Palermo, sa come far scomparire non le persone, ma le loro voci, ed i fatti e le situazioni sui quali esse abbiano ad esprimersi. I giornali siciliani, direttamente o indirettamente, sono nelle mani di quei signori industriali “antipizzo”, superantimafia, degli esponenti di quell’industria parassitaria delle istituzioni e delle funzioni pubbliche che sono lo stato maggiore, il terzo livello, di un’antimafia mafiosa. Giornali, quindi, al guinzaglio. E tanti giornalisti, e pennivendoli titolari di siti Internet e di testate on-line sul libro paga dei suddetti signori. Il risultato è assai complesso. Quello dei “Sicindustriali” non è un ente che paga per mecenatismo. Si dichiarano “antipizzo” e lo sono nei confronti di una mafia “estranea” al loro tessuto di interessi. Pagano chi li serve a puntino. Ne volete la prova? La capacità di sopprimere l’informazione, fenomeno esistente non solo in Sicilia e non solo in Italia, raggiunge in Sicilia, specie con riferimento a tutto ciò che riguarda l’apparato vero del potere, la mafia dell’antimafia, gli interessi del “terzo livello”, una perfezione sconcertante, altrove inconcepibile.

Ho scritto (forse troppo poco) del caso Musotto. Questi è uno del corteggio dei magistrati della Procura di Palermo. Organizzatore di convegni di glorificazione di Di Matteo e del suo (e di altri) indefinibile processo contro il tentativo dello Stato di subire il ricatto di Cosa Nostra, autore di “docu-film” (basterebbe il termine a qualificarli) di lotta alla mafia, è stato protagonista di una storia così pirandelliana da far impallidire la fama di Pirandello. E da provocare, in qualsiasi parte del mondo, l’attenzione ed addirittura la frenetica ricerca e diffusione di ogni particolare da parte della stampa, della televisione, dei settimanali e, magari, di riviste specializzate di criminologia o di spettacolo. Questo signore aveva un socio, al quale ha fatto credere che la mafia aveva deciso di eliminarlo con tutta la famiglia. Ma, al contempo, millantando i suoi buoni rapporti con magistrati e carabinieri (è un ex carabiniere) lo ha convinto di avergli ottenuto un “programma di protezione” quello dei “testimoni di giustizia”, nominandogli i “responsabili” della sua sicurezza ed imponendogliene le condizioni di semireclusione per lui e per i suoi. Così, privato della libertà di movimento (a rischio della vita!), è stato facile convincerlo a cedere al suo protettore-carceriere la sua quota della loro società. Il sequestro del poveraccio e dei suoi è durato un paio d’anni, nel corso dei quali gli sono stati mostrati i “carabinieri” addetti alla sua sicurezza. Poi il sequestrato deve aver cominciato a capire l’antifona. Si è rivolto “direttamente” ai carabinieri, presentandosi come loro “protetto” e facendo i nomi dei responsabili della sua protezione, sottufficiali realmente esistenti ma a ben altro destinati. Scoperto il pirandelliano marchingegno, veniva iniziato contro Musotto un processo penale per sequestro plurimo di persone. Un processo durato anni. Solo la fase dibattimentale ne ha consumati tre. Il 25 febbraio del 2014, il Tribunale di Palermo ha condannato Musotto a sette anni di reclusione per i gravissimi reati a lui contestati. Si noti che il regista antimafia non ha negato di aver costretto all’involontaria reclusione in casa l’ex socio. Ma ha sostenuto di averlo fatto “a fin di bene”, per sottrarlo non alla mafia omicida, ma ai numerosi creditori. Miracolo! Non una riga è stata mai scritta sui giornali siciliani di questa appetitosa vicenda, né prima né dopo la sentenza. Dopo qualche giorno dalla pronunzia di questa, qualcuno “ha sgamato”. Una breve notizia della condanna è apparsa su “Il Fatto Quotidiano”, ripresa da “La Stampa” di Torino. In Sicilia niente, solo alcuni siti hanno fatto il passaparola dell’avvenimento. Ma persino un settimanale, “Grandangolo” di Agrigento (città di Musotto), ha ignorato la notizia, dopo che il suo sito internet, che di solito ne anticipa la notizia, ne aveva ripetuto quanto anche da altri siti reso noto. Certi miracoli avvengono per qualche ragione e ne beneficiano i “meritevoli”. Abbiamo visto quali sono i meriti “antimafia” di Musotto.

Altro incredibile episodio di “auto-censura” della stampa siciliana. Sono frequenti le notizie di manifestazioni di solidarietà ai più “gettonati” magistrati lottatori antimafia. Dopo che Ingroia si è dato ad altri affari, il primato è senza discussione di Di Matteo con il suo corteggio personale di “Agende Rosse”, “Scorte Civiche” e con un portavoce, attivissimo, tra l’altro, nel sostenere le sue ragioni, si fa per dire, per il concorso al posto alla Procura Nazionale Antimafia, (dal quale si sarebbe fatto mandare, a quanto sembra, in missione, al suo solito ufficio di Palermo); portavoce rappresentato dal giornale on-line “Antimafia 2000”, diretto da tal Bongiovanni. Ingroia ha definito “Antimafia 2000” organo ufficiale della Procura di Palermo. Se lo dice lui, non se ne dovrebbe dubitare. Bongiovanni è impegnato in una fiera polemica contro l’Università di Palermo e contro il professor Fiandaca (definito da Crocetta “un negazionista”) perché, udite, udite, gli hanno negato l’Aula Magna per il solito convegno in memoria di Falcone e Borsellino, naturalmente sulla linea della lotta da sviluppare contro la mafia. Quello che Bongiovanni ha detto e scritto ve lo lascio immaginare. La stampa siciliana ha dato ampio risalto al mancato evento (era previsto l’intervento di Di Matteo e di altri magistrati palermitani) e delle infuocate proteste di Bongiovanni. Ma chi è questo Bongiovanni? Invano ne troverete un accenno sui giornali siciliani che danno notizia delle sue gesta. I quali evitano accuratamente di pubblicare le sue fotografie. Che bastano da sole a dimostrare che è il classico (si fa per dire) Santone. È un “Santone antimafia”. Con una barba imponente, è autore di libri in cui ci informa dei sui rapporti con gli extraterrestri, i quali, tra l’altro, gli fanno da tramite con la Madonna e con lo stesso Gesù. Questi, confidenzialmente, lo avrebbe assicurato che presto la giustizia tornerà sulla Terra. Né mancano altre imprese altrettanto qualificanti. Ma per la stampa siciliana Bongiovanni è un autorevole “collega”, un “portavoce della Procura di Palermo”. E, ad onor del vero, né Di Matteo né altri di quell’ufficio hanno intenso il bisogno di smentire o “correggere” una così impegnativa (per la Procura) qualificazione. Circolano dei “video” di questo Santone. Qualunque giornale o rivista che ritenga di dover diffondere il suo “pensiero antimafioso” dovrebbe sentire il dovere di farne almeno cenno (e sarebbe più che sufficiente!).

Bongiovanni, che si qualifica confidente di Gesù Cristo e della Madonna, è invece un “normale supporter” dell’Antimafia. Non so se sulle “mappe” della mafia e dell’antimafia cui, sotto la direzione, a quanto pare, di Nando Dalla Chiesa, attende una ventina di giovani, dove non potrà mancare un accenno ad “Antimafia Duemila”, sarà indicato il ruolo di Bongiovanni “antimafioso carismatico con incarichi speciali da Gesù Cristo...”. “Antimafia 2000” del Santone appoggia la raccolta dei fondi per l’impresa “mappatoria”. Ma queste qualifiche, le fotografie del Santone sono soppresse per la stampa siciliana. Sepolte con le notizie della condanna di Musotto nel Bosco della Ficuzza di un’informazione in mano al “terzo livello”.

 

(*) Articolo tratto da Giustiziagiusta


di Mauro Mellini (*)