martedì 9 giugno 2015
Chiuse le urne, Raffaele Fitto vara una nuova formazione partitica che si richiama ai conservatori e riformisti europei. Nella storia della Repubblica una forza di massa dichiaratamente conservatrice non c’è mai stata. In realtà, nei decenni trascorsi di egemonia della cultura progressista il conservatorismo, spesso confuso ad arte con la “reazione”, ha rappresentato una corrente carsica minoritaria della destra politica. Oggi Fitto si intesta la svolta puntando sul fatto che sia giunto il momento di sdoganare l’ideale conservatore, sebbene intermediato dall’innesto di contenuti riformisti. Con quali chances di successo? Lo chiediamo a Lorenzo Castellani che dal dicembre del 2014 è membro del board dell’Eyc (European Young Conservative), il massimo organismo dirigente dei giovani conservatori europei.
Anche in Italia nasce un movimento che si richiama ai conservatori e riformisti presenti nel Parlamento europeo. Sembrerebbe un ossimoro. Ci spiega come si fa ad essere entrambe le cose?
Conservare significa richiamare le libertà fondamentali: proprietà privata, libertà individuali, società. Cosa è successo negli ultimi anni? Le proprietà tassate sempre più, le libertà individuali attaccate dal populismo “manettaro” e dalle nuove tecnologie, la società disgregata dalla crisi e dall’impoverimento dei ceti medi. Conservare significa difendere e promuovere questi valori dallo Stato e nello Stato. Per farlo bisogna riformare radicalmente le istituzioni, tagliare la spesa pubblica, detassare impresa e ceti medio-bassi. Quindi no, i due termini non mi sembrano in antitesi. Anzi, come diceva Edmund Burke, “ciò che è incapace di cambiare è incapace di conservarsi”.
Magari di Burke no, troppo impegnativo, ma se chiedessimo a un politico italiano qualunque: chi è Giuseppe Prezzolini? Secondo lei, cosa risponderebbe?
Prezzolini, “l’anarchico conservatore”, come lo chiama in un bel libro Gennaro Sangiuliano, è stato senza dubbio uno degli intellettuali italiani più acuti del Novecento. Pensatore eterodosso e fine osservatore dell’italianità. Purtroppo è stato ostracizzato dalla cultura dominante del secondo dopoguerra, quella cattolica, socialista e comunista, e dimenticato dalla destra di ieri e di oggi. Molti dovrebbero rileggere la sua “Intervista sulla Destra” ed il suo “Manifesto dei conservatori”.
Vuol dire allora che c’è spazio per il pensiero conservatore in Italia, sul modello dei Tories britannici?
In Italia c’è sicuramente molto spazio a livello culturale dato che non se ne occupa nessuno se non qualche nicchia accademica. Ci sarebbe molto spazio, ad esempio, per pensatoi che spazino dalla destra comunitaria a quella liberal-liberista. Anche a livello politico si registra un fenomeno interessante: una certa destra, quella nazionalista e comunitaria, sta avendo molto successo, mentre quella liberal-conservatrice vive una crisi profonda legata allo sgretolamento di Forza Italia e dal fallimento del Nuovo Centrodestra. È un vuoto che deve essere riempito presto e con credibilità, una grande occasione che mi auguro nuovi gruppi politici e culturali sappiano cogliere al meglio.
D’accordo sul piano politico e culturale. Ma quale modello economico trova più aderente all’idea conservatrice: quello del liberismo anglosassone o l’economia solidale e organica di matrice mitteleuropea?
Per formazione mi ritengo molto più vicino al liberismo anglosassone, tuttavia sarebbe poco lungimirante pensare di ripetere l’esperimento britannico in Italia per tutta una serie di condizioni storiche, istituzionali e culturali. Quindi, mi accontenterei di un modello di economia sociale di mercato, come quella tedesca, pur di superare la pastoia fiscale, burocratica e l’impasse del welfare in cui l’Italia si è infilata.
Arthur Moeller van den Bruck ha scritto: “Il principio di conservazione non è la legge dell’inerzia ma al contrario una legge cinetica secondo la quale ogni essere cresce con una continuità di cui nessuna scossa provocherà l’interruzione”, condivide questa definizione?
Mi pare si torni a Burke e alle origini del pensiero conservatore per cui la storia di una comunità si manifesta come patto tra generazioni, tra morti, vivi e nascituri che si rinnova nel tempo ed è il sostrato su cui si posano tradizione e libertà fondamentali.
Lei vive e lavora a Londra, patria degli scommettitori. Faccia conto di trovarsi dal suo bookmaker di fiducia. A quanto darebbe il tentativo di Raffaele Fitto di creare un partito dei conservatori italiani?
Difficile a dirsi perché le variabili in gioco sono troppe, ma Fitto deve assolutamente provarci. La strada, e le intenzioni, sono giuste. Tuttavia, io penserei, più che a un ennesimo partito, a una formula aperta che promuova primarie e cerchi di federare coloro che accettano quel metodo. Serve una “Magna Charta” per la destra italiana in cui ognuno porti, visto che si parla di conservatori, la propria sfumatura di blu.
di Cristofaro Sola