La grande “lezione” delle elezioni regionali

martedì 2 giugno 2015


Nelle sette regioni chiamate al voto amministrativo vince l’astensione. Solo il 53,90 per cento degli aventi diritto si è recato al seggio delle Regionali. Le cause della disaffezione sono certamente molteplici. Anche il primo lungo ponte estivo ha giocato un ruolo, interferendo nella dinamica elettorale. Tuttavia, la maggior parte degli astensionisti dimostra di non credere nella possibilità che le classi di governo di destra e di sinistra di questo Paese siano in grado di tenere il timone in un momento di acque agitate per l’economia e per la geopolitica.

Nelle urne invece vincono i partiti-comunità, cioè quelli che sono in ascolto continuo del proprio elettorato. È il caso della buona performance del Movimento Cinque Stelle e del successo della destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Al contrario, esce sconfitto il modello di partito degli annunci distribuiti “ex cathedra”. Sono in crisi i leader carismatici non intermediati da una classe dirigente stratificata ai diversi livelli della piramide organizzativa dei soggetti collettivi. Nonostante il 5-2 nella partita dei governatori a favore del Partito democratico, questa tornata ha segnato la crisi del paradigma renziano della politica-immagine. Le sonanti sconfitte di Alessandra Moretti in Veneto e di Raffaella Paita in Liguria ne sono la prova.

L’“opzione Civati”, sperimentata proprio in Liguria, invece è stata un successo. Il candidato Luca Pastorino, conseguendo un lusinghiero 9,41 per cento, ha certificato che può esserci vita a sinistra del Pd. L’esempio dei due fuoriusciti potrebbe essere seguito da altri dirigenti “dem” in chiara sofferenza nel partito renziano. Ciò aprirebbe la strada a un processo di aggregazione della vecchia sinistra in nome di un riformismo più connotato dal punto di vista ideologico, sulla falsariga del “Die Linke” tedesco di Oskar Lafontaine. Ma la novità più significativa viene dal centrodestra, dove lo scenario è netto: l’asse di supporto di una proposta politica alternativa alla sinistra passa per la Lega di Salvini insieme a Fratelli d’Italia della Meloni.

Sul fronte centrista le varie anime del partito di Alfano, dopo i deludenti risultati di domenica, dovranno decidere del futuro: approdare nel partito renziano della Nazione o tornare nell’alveo del centrodestra. Restare dove sono equivarrebbe a condannarsi all’estinzione. Anche Forza Italia, che esce dal voto pesantemente ridimensionata ma non azzerata, dovrà compiere una scelta di campo. Deve comprendere che con tredici e passa milioni di poveri, provenienti in parte dai ceti medi tradizionali, le ricette “moderate” non funzionano. C’è in giro voglia di protesta e di riscatto che va interpretata e incanalata all’interno della rappresentanza democratica.

Tuttavia, la realtà consegna a Silvio Berlusconi un movimento, disastrato dalle lotte intestine, che ha perso la bussola della prospettiva politica. Probabilmente Forza Italia verrà posta in liquidazione dal suo creatore par dare luogo a un nuovo progetto che sappia riconquistare il consenso perduto. Per farlo non basterà “galleggiare” stando un po’ da una parte e un po’ dall’altra. È tempo di risolvere le molte ambiguità che hanno paralizzato Forza Italia in questo ultimo scorcio di vita, tenendo conto del fatto che potrebbe non volerci molto per tornare nuovamente alle urne.

Il pallino è nelle mani di Matteo Renzi il quale, a una lunga agonia consumata in estenuanti trattative con la sua minoranza interna, potrebbe preferire la carta delle elezioni anticipate ora che il gradimento presso l’opinione pubblica è ancora tale da consentirgli un successo sugli avversari. Tutto dunque è possibile per la destra, a condizione che non si resti fermi a contemplare un passato che non ritornerà. Bisogna andare avanti, l’Italia lo chiede.


di Cristofaro Sola