martedì 2 giugno 2015
Al netto delle solite banalità sciocche di Matteo Renzi e dei suoi obbedienti scudieri, il vero significato delle elezioni è quello che in Italia si sta preparando un grande cambiamento. Volendo, infatti, aprire gli occhi con una analisi attenta dei risultati, non si può fare altro che capire quanto la politica di sinistra catto-comunista, ipocrita e demenziale, abbia finalmente esaurito la sua corsa.
Il perché è spiegato bene da due considerazioni: la prima deriva dal fatto che se dopo diciotto mesi di strapotere del “Napoleone fiorentino”, durante i quali si è cercato di suggestionare in ogni modo gli italiani, sinistra e Partito democratico arrancano, perdono alcuni bastioni storici, vincono di un capello in Umbria, crollano in Veneto e Liguria; significa che per il Pd e soci è l’inizio della fine. La seconda è legata all’astensionismo ciclopico che ha segnato queste votazioni e che in larghissima parte non è un astensionismo di sinistra, tutt’altro, è un astensionismo moderato, sfiduciato e di centrodestra che aspetta solo il rilancio di un’area liberal-democratica per tornare a sentirsi rappresentato.
È, infatti, facile intuire che dei tre poli in gara: catto-comunisti, grillini e liberalconservatori di centrodestra, l’unico in grado di recuperare un’enormità di consensi dal bacino astensionista è proprio l’ultimo di questi. Se, poco a poco, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi riuscissero a unirsi davvero rilanciando un’area sostenitrice dei temi che gli italiani sentono sulla pelle, a partire da quello fiscale, almeno un terzo dell’astensionismo ritroverebbe casa e per gli altri competitor non ci sarebbe scampo. Questa, piaccia o no, è la realtà dei numeri, l’area del non-voto si è gonfiata di quel 15/20 per cento di elettori ex centrodestra, che da Mario Monti in giù si sono sentiti traditi, abbandonati e imbrogliati dai comportamenti di quella che era la grande armata del Popolo della Libertà.
Aver sostenuto Monti, Letta e - peggio che mai - Renzi, aver consentito il ripristino dell’Imu e della Tasi e aver taciuto sui soprusi di Equitalia, ha disgustato milioni di elettori cosiddetti berlusconiani che, per protesta, hanno scelto di restare a casa. Per questa ragione siamo arrivati al 50 per cento di non votanti, un serbatoio enorme che Renzi con le sue sbruffonate non ha intercettato, così come (nonostante i risultati) non c’è riuscito Beppe Grillo e, a dirla tutta, nemmeno Salvini, sebbene la Lega abbia quasi raddoppiato i consensi. Certo, poi, che l’aver fissato la tornata elettorale in una domenica a cavallo di un ponte festivo, la dice lunga sulla malafede degli amministratori nel combattere il fenomeno astensionista.
Comunque sia, è evidente che gli assenteisti vogliano altro e lo aspettino proprio dal centrodestra. Per questo noi diciamo che da oggi per Salvini, Meloni e Berlusconi si apre una sfida importantissima per il futuro del Paese; vincerla, infatti, potrà determinare la politica dei prossimi 10/15 anni. Al contrario, non cogliere questo messaggio da parte dei tre significherebbe, con tutta probabilità, consegnare le chiavi del futuro ai Cinque Stelle che, in un’ipotetica lunga volata verso le elezioni politiche, potrebbero facilmente spuntarla sul fallimento di Renzi e della sua corte. In buona sostanza, il messaggio della gente è stato chiaro: no alle politiche di Monti, Letta e Renzi; no alle persecuzioni fiscali, sociali ed economiche del centrosinistra; no a un’Italia che non sa difendere i suoi cittadini ed il suo popolo.
Il vero messaggio del 50 per cento di astenuti è questo, un messaggio che però sottintende l’attesa di una nuova proposta, di un nuovo programma, di una nuova mozione che li faccia sentire sovrani e non schiavi. Dunque, al di là dei conteggi di ognuno, che a sentirli sono sempre di vittoria, a partire da oggi si apre una scommessa immensa per il centrodestra che solo gli sprovveduti non capirebbero. Quella che uniti, propositivi, alternativi e difensori dei diritti della gente si vince, si governa e finalmente si cambia l’Italia.
di Elide Rossi e Alfredo Mosca