La giustizia italiana da riformare presto

venerdì 13 marzo 2015


Il caso giudiziario di Silvio Berlusconi insegna quanto sia importante riformare la giustizia in Italia. Non solo per Berlusconi e per ogni italiano che vi rimanga assoggettato, non solo per l’economia del nostro Paese che ne è grandemente danneggiata, non solo per l’efficienza nell’erogazione stessa del servizio giustizia, ma anche e soprattutto per l’autonomia e l’integrità, per il normale funzionamento, del sistema politico istituzionale italiano. Si insiste in realtà molto sulla responsabilità dei giudici proprio perché essa costituisce uno tra gli schemi, banali, grazie a cui si può pungolarne il lavoro e fare sì che, al pari di ogni altro lavoratore pubblico dipendente, con l’inserimento del principio del “chi sbaglia paga”, venga erogata correttamente. Rebus sic stantibus, l’unico rimedio è nella sua progressiva quanto inesorabile trasformazione in quanto di più somigliante a servizio di tipo privato, in grado di dare risposte in tempi ragionevolmente brevi, e di mantenersi autonomamente, in prevalenza, economicamente da sé.

In Italia, lungi da logica e razionalità, si è visto al contrario di tutto. Giudici politici, giudici vedette, giudici star, giudici dell’Inquisizione, giudici commissari straordinari e non, financo giudici criminali. Cos’è stato infatti il pm Fabio De Pasquale per Cagliari dell’Eni, quando, andando a fare le vacanze, ha lasciato morire marcendo a suicidarsi con il sacchetto di plastica in testa, l’ex presidente dell’Eni in quel di San Vittore? Cosa è stato il gip Italo Ghitti, che negli anni Novanta firmava ed avallava qualsivoglia richiesta provenisse dal pool dei giudici d’assalto Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Ilda Boccassini guidati dal procuratore in capo Francesco Saverio Borrelli? Cosa sono quei giudici che mettono in galera, sotto la voce “carcerazione preventiva”, ammazzando e lasciando morire moralmente prima ancora che umanamente il malcapitato di turno?

Si legga il libro “Io non avevo l’avvocato” dell’ex manager Fastweb Rossetti e si capirà in che mani siamo, a che livello di ingiustizia e degenerazione di ruoli e poteri. Si cominci dunque con il prevedere una significativa responsabilità del giudicante che sbaglia, con la previsione di sollevazione dal posto di lavoro e spedizione a casa, al contrario di ciò che si fa da sempre in Italia dove si è mandati a ricoprire l’incarico in altro posto, cioè a fare danno altrove, o addirittura vergognosamente “promossi”. Si continui poi prevedendo con legge che i giudicanti siano separati nelle loro funzioni di pm e giudici, materialmente, cioè in uffici distanti e diversi, con provenienza differente. Si continui ancora con la previsione legislativa in base a cui il giudicante non abbia il posto di lavoro a vita, tantomeno la carriera in progressione, ma si tratti, come ogni lavoratore di qualsivoglia libera professione, di un lavoro a tempo determinato e sottoposto a effettivo monitoraggio e controllo di sanità, capacità, impegno e produttività. Si istituisca l’assicurazione obbligatoria del giudice, allo stesso modo di quanto previsto per medici, avvocati e ogni libero professionista a contatto con il pubblico e svolgente una funzione rischiosa in Italia. Si lavori sulla implementazione delle vie alternative, private, di risoluzione delle controversie a detrimento di quelle ordinarie pubbliche. Tutto ciò farà da “apripista” alla responsabilizzazione del corpo giudicante in tal modo anche diminuito nel numero, e condurrà verso la privatizzazione e l’efficacia del nostro sistema di giustizia.

Si ricordi che il potere giudiziario è, nel nostro sistema ordinamentale, uno dei tre poteri, insieme al legislativo e all’esecutivo, e che, previsto come indipendente ed autonomo, ha fortemente travisato, mordendo da sempre il freno per accaparrare per sé, avocandoli, sia il potere legislativo che quello esecutivo. L’associazionismo di correnti di giudici, si pensi all’associazione nazionale magistrati o a magistratura democratica o allo stesso organo di “controllo” che non controlla che è il consiglio superiore della magistratura (al cui vertice è il Presidente della Repubblica, si pensi a Napolitano che se ne è ampiamente servito per effettuare il golpe di Stato mettendo in luogo del governo eletto Berlusconi, tre governi di sinistra in successione e non eletti, Monti, Letta e Renzi), altro non è che la punta di diamante di un potere fuoriuscito dai gangli istituzionali e che, da tangentopoli ad oggi, spinge, preme, accaparra il potere in Italia, se non altro occupandolo materialmente. Cos’è infatti Piero Grasso alla presidenza dell’attuale Senato? Cos’è Raffaele Cantone alla autorità nazionale anticorruzione, una sorta di autorità alla “moralità” pubblica? Cos’è De Magistris a sindaco cacciato dai napoletani, ma che ivi rimane? Cos’è Emiliano magistrato ex sindaco del Pd? Cos’è Anna Finocchiaro giudice comunista da una vita tra Parlamento e Ikea con scorta? Cos’è Ingroia e cosa sono tanti e tanti altri giudici che scalpitano per evadere dall’ufficio giudicante e cogliere la palla al balzo di una popolarità becera al fine di fare man bassa dello Stato e di ciò che può stipendiare con i soldi degli italiani? Cos’è Violante che ha indossato la toga solo fino al lontano 1979 optando presto per la lunghissima militanza pubblica politica per il partito comunista italiano? Cos’è la funzione nomofilattica con cui la Corte di Cassazione ha arrogato a sé, il fare e creare la legge senza essere legislatore? Cos’è l’andare e venire in politica con la garanzia del mantenimento del posto da giudicante successivamente all’“esperienza” politica? C’è una sostanziale, nefasta confusione di ruoli e poteri nel nostro sistema istituzionale, che va corretta velocemente nell’interesse di tutti. Quelli che arrivano poi, i nuovi giudici immessi in gran numero dal governo illegittimo Renzi, sono financo peggiori, dato che sono stati inseriti, e da ora in poi “nutriti” a vita con i nostri soldi, proprio in base a vantaggi, pubblicità e privilegi che intendono lucrare a danno della collettività.

L’assalto delle toghe distrugge l’economia. Ha distrutto l’Ilva, e ogni azienda su cui si sia abbattuto, in buona o in cattiva fede. Alcune figure “giuridiche” inventate di sana pianta quali l’abuso di diritto o il concorso in associazione esterna, non previste in nessuna legge, sono gli “strumenti” a disposizione per procedere all’assalto, alla demolizione ad esempio di un imprenditore, di un’impresa, di chi produce qualcosa, o anche solo all’arrembaggio di una persona, per ricattare, bastonare, prevaricare, prevalere. Mai il detto Homo hominis lupus est vale quanto nel “rapporto”, squilibrato, ingiusto e incivile, che intercorre tra accusatore e difensore, tra giudice e imputato. Chi paga le spese che l’imputato affronta per difendersi? Chi paga gli avvocati? Chi paga per il tempo perduto, per l’angoscia provata, per il danno immane ai propri affari, al proprio stesso sostentamento, ai mancati produttività e guadagno, all’esistenza e prosperità dell’impresa e del lavoro? Il giudice è oggi pagato mensilmente dallo Stato, con soldi pubblici, i nostri, che a fine mese imperturbabilmente giungono, si sia fatto danno o meno, ma l’imputato, l’indagato, il sottoposto a giudizio, chi deve anche solo recarsi in giudizio tralasciando ciò che gli dà da mangiare e da vivere? Chi paga l’esistenza stessa che viene a mancare, oltre alle parcelle degli avvocati?

E veniamo al caso Berlusconi. Dopo anni, in uno dei tanti procedimenti imputatigli, la Corte di Cassazione oggi lo ha assolto. Il leader politico del centrodestra è da non meno una ventina d’anni oggetto di indagini con un’infinità di accuse, dalla corruzione, all’evasione fiscale, dal falso in bilancio alle stragi, dal traffico di droga all’appropriazione indebita, in pratica di tutto. Su Berlusconi, imprenditore entrato in politica in area non comunista, si sono da subito scatenate e via via nel tempo incarognite le più efferate rabbie ed ire di chi vive di Stato, di soldi pubblici. I dipendenti statali, cioè i soggetti pagati dagli italiani con le tasse di tutti, hanno maturato negli anni, e in progressivo crescendo, astio e odio, alcuni solo malcelato risentimento sociale, contro i liberi professionisti italiani, intesi tutti fondamentalmente quali evasori e assoluta peste bubbonica in qualche modo da debellare e “giustiziare”, a riprova della propria “onestà e correttezza” lavorativa di dipendenti nel pubblico, ancor prima della propria “moralità”. Orde di dipendenti pubblici in Italia vessano, ringhiano e latrano contro gli “evasori” liberi professionisti, contro chi lavora, producendo e guadagnando. È la malsana “eredità” di Paese occidentale panstatalista, “salvato” da Marshall e dagli Stati Uniti dopo la guerra fatta nello schieramento sbagliato, e rigurgitante a fasi alterne, tra corsi e ricorsi storici, comunismo e sistemi comunisti danti miseria collettiva. In Italia i dipendenti pubblici, delle poste, delle scuole, in generale degli uffici pubblici, giudiziari e non, vivono nella convinzione errata che chi produce sia un disonesto mentre chi non produce niente e prende lo stipendio pubblico pressoché regalato a fine mese sia buono e giusto. Credenza errata che produce effetti di miseria collettivi.

Gli ultimi tre governi non eletti di sinistra, estorti con l’imbroglio e imposti contro ogni regola democratica, sono la dimostrazione plastica, sotto gli occhi di tutti, oggi, di quanto detto, oltre che dell’incapacità dei comunisti al potere, una sorta di “voglio ma non posso” imbarazzante se non fosse in realtà estremamente nocivo e dannoso per il Paese (il quale, infatti, se ne deve liberare, scrollandoseli di dosso, il più velocemente possibile con il voto). Il problema giustizia non è un caso si sia “incagliato” su Berlusconi, esplodendo in tutta la sua virulenza e purulenza. Perché Berlusconi è stato ed è l’emblema di colui che, in base al pensiero distorto del dipendente pubblico italiano, deve essere abbattuto, scansato, castrato e ucciso, nel senso di tolto di mezzo, con le buone o con le cattive, purchessia. Rappresenta infatti una sorta di “provocazione” del libero mercato al sistema pubblico, assistenziale e non di mercato, dello Stato italiano. Distruggere Berlusconi è stata la paranoia del giudice pubblico italiano, quando, invece dei processi, dunque giudiziariamente, si sarebbe al contrario dovuto fare valere politicamente laddove faceva danno al Paese, ad esempio, mettendo i suoi “cavalli” a nostre spese in Parlamento, tale e quale a ciò che ha fatto e fa tuttora Renzi. Si sarebbe dovuto dare una regolamentazione ai partiti politici, prevedendo regole di divieto, e relative sanzioni, nel caso di immissione discrezionale da parte di uno, al governo e in Parlamento, poi a spese dell’intera collettività, dovendo passare dalla selezione democratica del voto elettivo. Quello è stato, era ed è il vulnus di Berlusconi padre padrone del suo stesso partito politico, lo stesso di Renzi oggi.

Avere perseguito “moralmente” Berlusconi è stato un buco nell’acqua, non solo perché si è visto ictu oculi che la “giustizia” italiana è una non giustizia e viene fatta funzionare come “la pelle dei coglioni”, come diceva Oronzo Reale, e cioè come la si tiri, ma anche e soprattutto si è distrutta la credibilità stessa del nostro Paese, politicamente, giudizialmente ed economicamente. È stato infatti così “spiegato” ben bene all’universo mondo quanto il sistema tutto italiano sia ed è un colabrodo, quanto il sistema di giustizia è squilibrato, ingiusto e in preda alle ire/fissazioni italiche, oltre che ricattatorio. E in tutto ciò è stata trascinata l’economia tutta italiana, interna ed esterna, nazionale , europea e internazionale globale. Agli occhi del mondo siamo diventati, meglio e ancor più, non credibili, che non vuol dire che non ci credono più ma che, vedendoci fuori controllo, non siamo affidabili, non è il caso di contare sull’Italia, per gli affari, per gli investimenti, economicamente soprattutto. Ecco il grave danno dei giudici italiani al Paese. Ecco il grave danno della giustizia “accecata”, della non giustizia, per il sistema Italia. Se la giustizia del nostro Paese non viene riformata nella giusta direzione, oltre a subire condanne da parte dell’Unione europea, potrà sempre destabilizzare l’Italia al suo interno e nel mondo, anche solo perché, sapendola così com’è, e cioè viziata ritorsiva e sommamente inefficiente, si eviterà sempre più di fare affari e avere rapporti economici con e in Italia, e si avvererà ciò che già in parte purtroppo è, e cioè orde di dipendenti pubblici insoddisfatti e incarogniti che ristagnano nel Paese, di contro ad eserciti di italiani giovani, produttivi e capaci scappati, espatriati all’estero.

Con il non-sistema di giustizia in mano ai giudici, così come è oggi, ancora molti Napolitano e altri ancora potranno organizzare, sull’onda di ben altre destabilizzazioni, giudiziarie o non, colpi di Stato e atti con effetti sul sistema politico istituzionale italiano. Si potranno imporre altri governi e altre politiche non democraticamente scelti. È per questo che oggi è fondamentale porre la questione del chi risarcirà i danni nel frattempo prodotti alle nostre dinamiche politico-istituzionali con il caso Berlusconi. Perché emergano, con chiarezza, quelli che sono stati gli effetti della non giustizia, ed i danni conseguiti e subiti non solo in Italia dall’Italia, ma anche dell’Italia in Europa.


di Cesare Alfieri