venerdì 13 marzo 2015
Tra poco meno di tre mesi il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa riaccenderà i riflettori sulla spinosa questione del sovraffollamento delle carceri nel nostro paese. Ma, dopo le iniziali ottimistiche rassicurazioni del ministro Orlando, il silenzio fatto calare dal governo sull’emergenza carceraria e sulla condizione degradante all’interno degli istituti di pena, non fornisce rassicurazioni sull’esito della imminente verifica europea. Lo scorso giugno, contestualmente al richiamo la Cedu aveva stabilito di concedere un’apertura di credito all’Italia che, nel frattempo, grazie all’introduzione del rimedio risarcitorio interno, era riuscita a scantonare la condanna.
Ora, però, anche il cosiddetto 35Ter ha mostrato tutta la sua inefficacia e quando l’Europa riprenderà in esame la questione del rispetto dei principi di legalità nel nostro sistema detentivo non vi sarà rassicurazione ottimistica, come quelle più volte rilasciate sia dal ministro della Giustizia Andrea Orlando sia dal nuovo responsabile del Dipartimento penitenziario Santi Consolo, capace di disinnescare le sanzioni europee. L’Italia, come ha sostenuto Orlando, evitando la multa della Corte europea ha certamente “scongiurato un’onta politica” ottenendo “un risparmio di 41.157.765 euro” . Resta il fatto che, pur impegnandosi per soprassedere sul cinismo contabile che mortifica e passa come un caterpillar sui diritti fondamentali, l’onta è solo rinviata e non eliminata. Perché, a dispetto delle assicurazioni governative, la condizione di illegalità in cui versano di fatto i nostri istituti di detenzione dimostra l’incapacità di coniugare la pena con la garanzia dei diritti sanciti dall’articolo 27 della Costituzione. Singolare paese il nostro.
Si procede unicamente in modo emergenziale o sotto lo spettro delle condanne dell’Europa senza mai puntare lo sguardo sui destinatari della legislazione, sempre all’insegna dell’ estemporaneità e con espedienti normativi connotati da pressappochismo e cialtroneria. Così è stato per l’approvazione della responsabilità civile dei magistrati e così è accaduto per far fronte all’emergenza carceraria attraverso il rimedio risarcitorio interno, cosiddetto 35Ter con cui si stabilisce uno sconto di pena di un giorno ogni dieci durante i quali il detenuto abbia subito il pregiudizio o in alcuni casi otto euro di liquidazione per ogni giorno in cui si è subito il pregiudizio. E già correrebbe l’obbligo di una riflessione sulla mostruosità per cui il legislatore, per fronteggiare l’incapacità di rimediare alle condizioni illegali e allo stato prossimo alla tortura in cui vivono i detenuti negli istituti di pena italiani si arrabatta, anzi si ab-baratta, fornendo risarcimenti e sconti di pena nel tentativo estremo di ripristinare una parvenza di ordine interno alle carceri.
In ogni caso tanto è bastato a tirarci, momentaneamente, fuori dai guai. La Corte Europea si è così affrancata da 3.685 ricorsi, (dichiarati ‘irricevibili’) la cui competenza è passata al giudice nazionale. Bene, si dirà, è buona regola lavare i panni sporchi in casa propria. Purché, però, il sapone sia efficace. Al contrario la nuova norma si è rivelata un vero e proprio fallimento e sta paralizzando il sistema oltre ad aver innescato gravi distorsioni, lesive di qualsiasi dignità umana, nella gestione carceraria. I dati sulle istanze presentate dai detenuti e di quelle riportati dall’Osservatorio Carceri del’Unione Camere Penali Italiane indicano non soltanto il notevole ritardo nelle decisioni ma anche il plateale e spropositato numero di declaratorie di inammissibilità dei ricorsi. A fine novembre 2014, delle 18.104 istanze iscritte, le definite erano 7.351 e pendenti 10.753. Delle definite ne sono state dichiarate inammissibili 6.395 (87%) ed accolte solo 87 (1,2%). Illuminanti anche i dati locali:
Ufficio di Sorveglianza di Cuneo, al 27 gennaio 2015: Proc. iscritti 191 – non luogo a procedere 15 – Inammissibili. 83 – Incompetenza 1 – Accolti 0 - Rigettati 0
Ufficio di Sorveglianza di Bologna, al 27 novembre 2014: Proc. iscritti 337 – Non luogo a procedere 15 – Inammissibili 144 – Incompetenza 1 – Accolti 15 – Rigettati 1 -
Ufficio di Sorveglianza di Palermo, al 30 novembre 2014: Proc. iscritti 184 - Non luogo a procedere 1 – Inammissibili 426 – Incompetenza N 1 – Accolti 0 – Rigettati 0
Ufficio di Sorveglianza di Firenze, al 15 dicembre 2014: Proc. iscritti 561 – Non luogo a procedere 5 – Inammissibili 96 – Incompetenza 17 – Accolti 0 – Rigettati 6 –
Ufficio di Sorveglianza di Napoli, al 27 novembre 2014: Proc. iscritti 387 – Non luogo a procedere 13 – Inammissibili 124 – Incompetenza 1 – Accolti 0 – Rigettati 2 –
Ufficio di Sorveglianza di Cagliari, al 10 dicembre 2014: Proc. iscritti 332 – Non luogo a procedere 0 – Inammissibili 1 – Incompetenza 0 – Accolti 0 – Rigettati 0 –
Ufficio di Sorveglianza di Avellino, al 10 dicembre 2014: Proc. iscritti: 698 – Tutti ancora pendenti
Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, al 26 giugno 2014: Proc. iscritti 720 – Non luogo a procedere 7 – Inammissibili 426 – Incompetenza 0 – Accolti 15 – Rigettati 5
Numeri che si commentano da soli e che impongono non soltanto di chiedersi se la Corte Europea sia al corrente di queste percentuali di efficacia dello strumento normativo adottato dall’Italia per evitarne le sanzioni ma anche di suggerire all’esecutivo una seria riflessione, considerati i tempi ridotti che ci separano da giugno, sulle misure da adottare a correzione di una legge che non funziona. Per rimediare al più presto alla gravità della situazione. Ormai ne è consapevole anche lo stesso Santi Consolo che, a distanza di poco più di un mese dalle sue rassicurazioni sul ripristino della legalità nelle carceri italiane, recentemente ha smorzato l’entusiasmo con Rita Bernardini, segretaria dei Radicali italiani e da sempre impegnata sul fronte dei diritti dei detenuti “Santi Consolo – riferisce la Bernardini – che è persona a mio avviso proba e onesta mi ha detto non ci possiamo presentare in Europa a giugno con queste cifre”.
La breccia che il responsabile del DAP ha aperto nella granitica linea politica del governo è senz’altro un passo avanti se si pensa che proprio Consolo a metà febbraio sosteneva che “nei 202 istituti penitenziari non c’è più un detenuto che viva in spazi inferiori ai 3 mq e che i posti regolamentari sono ora in totale 50.538”. Le ambiguità responsabili del totale fallimento del 35 Ter sono molto chiare sia alla Bernardini, da mesi impegnata a denunciarle, sia a Maria Brucale, membro del direttivo della Commissione carcere della camera Penale di Roma. L’arbitrarietà interpretativa della misura si appunta essenzialmente al criterio della capienza minima di quei 3mq di spazio di cui ogni detenuto dovrebbe disporre e a quello dell’attualità del pregiudizio.
“Il ripristino della legalità di cui parla l’Amministrazione penitenziaria - ci spiega Maria Brucale - è un miraggio in quanto calcolato sul parametro dei 3mq che, però, non è conforme né all’ultima lettura della Corte di Cassazione né alla giurisprudenza pilota della Corte Europea che aveva parlato di 3mq scomputato il mobilio, ossia calpestabili e vivibili. Oltretutto i 3mq vengono presi in considerazione come requisito minimo per poi prendere in considerazione altri parametri come l’assenza di promiscuità tra cucina e bagno, la possibilità di attività fisica di studio, di aereazione, acqua calda, luce. Tutti fattori che determinano violazione e condizione di tortura e a legittimano le istanze del risarcimento”. E’ proprio sull’interpretazione di quel pugno di mq che si incagliano le richieste di risarcimento e i magistrati bocciano i ricorsi se lo spazio complessivo, mobili compresi, è di più di 3 mq. E che si tratti di un parametro cui ci si riferisce con logica ottusa lo dimostra, come racconta la Bernardini, la decisione del Dap di realizzare un software in grado di controllare se vi sia qualcuno sotto i 3mq (sempre con mobilio), caso in cui si procede al suo spostamento.
Di conseguenza, quando il detenuto fa richiesta al magistrato di sorveglianza, la maggior parte dei direttori dei carceri inviano relazioni che rassicurano sul rispetto delle condizioni e, tanto per parlare di Roma, le udienze non vengono nemmeno fissate. Ovvio che l’errore è da addebitare ad una scappatoia legislativa che si è rivelata fallimentare perché oscura sia sul fronte dei tempi sia delle modalità applicative. Lo conferma la Brucale convinta che “Si tratta di una legge scritta malissimo innanzitutto perché non si chiarisce per quanto e da quando opera. E poi perché, nonostante la volontà del legislatore fosse chiaramente risarcitoria, nel rispetto di quanto concordato con la Corte Europea, il testo fa riferimento ad una norma che parla di attualità del pregiudizio lasciando uno spazio interpretativo che tradisce gli scopi originari e viene riempito discrezionalmente dai diversi magistrati di sorveglianza” . La paralisi e la mancanza di certezza del diritto, è noto, diventa un terreno di coltura ottimale per la degenerazione repressiva.
Di qui all’annichilimento di qualsiasi percorso rieducativo e all’avvilimento della dignità individuale il passo è brevissimo. E infatti “gli istituti penitenziari - continua Brucale- per ripristinare una situazione di legalità, hanno tentato e tentano di creare spazio con i trasferimenti di un numero considerevole di detenuti, come quelli realizzati dal carcere di Rebibbia a Roma e di Opera a Milano a quello di Massana ad Oristano. In totale dispregio della territorialità della pena e dei percorsi di riabilitazione e di crescita in corso negli istituti di provenienza”. A completare le aberrazioni scaturite dal 34Ter le richieste di risarcimento vengono spessissimo dichiarate inammissibili per carenza di informazioni. “Ma si può chiedere ai detenuti– si domanda Rita Bernardini- di ricostruire dettagliatamente le detenzioni precedenti e di trasformarsi in geometri con il metro alla mano? Questo compito spetterebbe all’amministrazione penitenziaria”. Infine, tanto per completare brillantemente il quadro dei segnali giunti dal governo in materia di sovraffollamento degli istituti di pena, grava anche la scadenza dei termini per l’esercizio della legge delega 67/2014 che riforma la disciplina sanzionatoria e di pene detentive non carcerarie e trasforma alcuni illeciti penali in illeciti amministrativi.
In sostanza la legge, che va ad aggiungersi all’infinito cahier delle ‘norme-annuncio’ prive di decreti attuativi, non è stata resa applicabile. Se questo è il contesto, c’è da domandarsi quale attendibilità e credibilità accordare per il futuro alle rassicurazioni del Guardasigilli Orlando che collegava la stabilizzazione dell’emergenza carceraria al rafforzamento delle misure alternative alla detenzione. Ce lo farà sapere. Soprattutto considerando che gli ultimi dati forniti dal Dap parlano di una popolazione carceraria nuovamente in crescita. Come puntualmente fa notare la Bernardini si è dovuto attendere la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi (che ha portato alla rideterminazione della pena per molti condannati per droghe leggere con conseguente uscita dagli istituti di pena e ad evitare molte detenzioni) per avere qualche risultato rispetto alla frammentaria e lacunosa normativa cui si è ricorso finora.
La necessità di ridefinizione al ribasso delle pene voluta dalla Cassazione, spiega, implica infatti che “molte condanne comminate sono illegali e che al momento si trovano in carcere numerose persone che non dovrebbe starci. Per questo – conclude la presidente dei Radicali italiani - ho ricominciato lo sciopero della fame chiedendo l’amnistia, che può essere mirata anche ad alcune fattispecie di reato e l’ Indulto. Uno Stato consapevole dell’ingiusta ed illegale detenzione di persone cui è stata comminata una pena molto più alta di quella prevista dalla legge ha il dovere immediato di intervenire”. Il tempo sta per scadere, il tentativo del governo di far tornare la contabilità carceraria si è rivelato una sconfitta che ha lasciato soltanto macerie del diritto ed il bilancio del 35Ter è lì a dimostrarlo mentre la gestione dell’Amministrazione Penitenziaria seguita ad essere catastrofica e le carceri si confermano luoghi di mortificazione, avvilimento e afflizione quotidiana, lontanissimi dalla funzione rieducativa cui sono chiamate.
Difficilmente all’Italia verrà consentito una seconda volta di nascondersi dietro ulteriori lacunosi e ambigui provvedimenti che paralizzano il sistema e garantiscono soltanto una giustizia negata. L’auspicio è che l’imminente appuntamento con il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa spinga il governo ad uscire dalle chiacchere e dalle dichiarazioni d’intenti. Altrimenti al Bel Paese non resterà che guardare alla civiltà giuridica e al rispetto dei diritti come ad una chimera, consolandosi e lavandosi la coscienza col comodo, inflazionatissimo e compiaciuto citazionismo peloso di Cesare Beccaria.
di Barbara Alessandrini