Crescita in Europa, non assistenzialismo

martedì 10 marzo 2015


Come si risana un Paese in crisi? Non come sta facendo la Grecia che sta pietendo soldi all’Unione europea, soldi che non sempre e non ancora potranno essere concessi, né con l’assistenzialismo pubblico sociale; ciò vuole dire che, dando soldi in buoni pasto gratis, alloggi gratis, energia gratis e non riscuotendo i debiti dei cittadini verso lo Stato, si va in malora.

Tsipras è stato eletto in Grecia, non solo quale reazione del popolo greco contro le politiche sbagliate dell’austerità imposta dall’Europa tedesca, ma perché andasse a chiedere, proporre e dire, proprio sull’onda del feroce malcontento e della miseria, la necessità di rimodulare, riformulare e ridefinire l’Unione europea in nuovi termini. Un Paese malmesso, così come uno Stato membro in crisi economica, si rimette in moto, pertanto, non con interventi di tipo assistenzialistico, ma occupandosi, favorendola, di crescita, dando l’avvio ad investimenti e infrastrutture, sia a livello nazionale che europeo.

Gli Stati membri hanno vissuto finora fondamentalmente elevando il proprio debito. Che vuole dire, ad esempio, che, in Italia, la democrazia italiana così come il Partito comunista e ogni partito politico esistente ieri e tuttora sono stati e sono essenzialmente superflui dato che, per alzare l’asticella del debito, non ci sarebbe voluto tutto un apparato politico stipendiato ma, se il “gioco” si sostanzia nell’allargare ed espandere uno smodato debito, chiunque è e sarebbe stato capace e in grado di farlo. In sostanza, dunque, la ricchezza economica di anni si è basata sull’espansione del debito, invece che su un’economia di produzione. L’allargamento del debito pubblico è rimasto peraltro “protetto” e “coperto” dalla pressoché impossibile dichiarazione di insolvenza o default degli Stati, stante l’inesistenza di disciplina giuridica economica a valenza globale. Così, mentre un qualsiasi settore di tipo privato soggiaceva e tuttora soggiace, in assenza di efficienza, a fallimenti e insolvenze, le insolvenze pubbliche nazionali non sono pervenute e di fatto sono inesistenti perché prive di previsione o qualsivoglia regolamentazione. Un individuo e un’impresa potevano e possono fallire, mentre uno Stato e uno Stato membro in Europa fondamentalmente no, innanzitutto perché non c’è regola globale alcuna. L’espressione “troppo grande per fallire” (too big to fail) è stata non troppo erroneamente detta “troppo grande per andare in galera” (too big to jail). Non esistendo l’Unione politica europea, si rimane in balìa, da una parte di gruppi e burocrazie bancarie economiche non elette ma che decidono degli Stati, per gli Stati e per ogni cittadino europeo, e, dall’altra, non esistendo disciplina o regolamentazione globale alcuna, si applicano in sostanza le regole dei contratti afferenti ai mercati finanziari, quali novelle leges mercatoriae sostanzianti essenzialmente il moderno diritto della globalizzazione.

L’Unione europea poggia oggi su un’unione monetaria difettosa, non sull’Unione economica fiscale, e tantomeno politica. Ne consegue che gli Stati membri indebitati, forzati oggi dal dramma della crisi per l’austerità tedesca europea oltre che dalle necessità impellenti della Grecia, avrebbero oggi l’opportunità storica di completare il disegno dei padri fondatori europei e definire l’Europa politica e il suo ruolo politico non solo per se stessa ma per la sua stessa esistenza nel contesto globale. Avrebbe oggi l’occasione di divenire l’Unione politica europea nel mondo, un’Europa politica nuova della crescita e del benessere, l’Europa politicamente unita e democraticamente legittimata.


di Francesca Romana Fantetti