La riforma della Rai come piace a Renzi

venerdì 20 febbraio 2015


Le mani di Renzi sulla Rai. Tutto è pronto. Il percorso è stato disegnato a Palazzo Chigi. Parlando alla direzione del Pd, il segretario e Premier Matteo Renzi ha confermato che “la riforma della Rai è un tema non più rinviabile: la nostra scommessa è fare della Rai l’azienda più innovativa d’Europa per offerta culturale”. E’ l’ennesimo annuncio. Ne aveva fatto uno uguale già all’inizio di febbraio quando si era insediato. Cosa significa “riforma non più rinviabile”?. Pubblicamente non si va oltre le indicazioni, ma dietro le quinte si sta lavorando per attuare quella che il sindacato interno chiama “una grande rivoluzione”. C’è fretta perché il mandato del Consiglio di amministrazione e del direttore generale scade ad aprile.

E’ veramente quello che serve alla Rai e ai telespettatori? E se la società di viale Mazzini è un’azienda pubblica (le azioni sono in mano al ministero del Tesoro) la sua riforma non spetta anche ad altri soggetti istituzionali? E dipendenti non sono soltanto i giornalisti rappresentati dall’Usigrai. Ce ne sono anche altri non iscritti ad alcun sindacato. Poi i rappresentanti dei lavoratori, dirigenti, tecnici, impiegati, vorranno dire la loro. L’esecutivo dell’Usigrai dichiara di condividere e di raccogliere la sfida del Presidente del Consiglio. In tempi rapidi, “per accompagnare il lavoro di riorganizzazione gestionale con una scommessa alta di natura culturale: la Rai è il più grande asset da mettere al servizio di una idea di Italia nel mondo”. E qui arrivano le contraddizioni.

Come è possibile realizzare una trasformazione “che da un lato la renda libera dai partiti e dai governi e dall’altro la riorganizzi con risorse certe per metterla al passo come grande azienda crossmediale che mantenga la dimensione attuale e la sua natura come bene comune d’informazione”. Parole? Il primo problema è quello di sapere che tipo di azienda sarà dal 2016 quando entrerà in vigore la nuova concessione e il contratto di servizio. Il secondo aspetto riguarda i conti. La quotazione in Borsa di Raiway ha portato nelle casse di viale Mazzini i soldi per far fronte ai 140 milioni chiesti dal governo Renzi.

A livello contabile la Rai è tornata anche se per poco all’utile. Ma in 4 anni, anche a causa del calo della pubblicità, la Rai ha perduto quasi 300 milioni (dal 2010 al 2013) mentre ha triplicato i debiti (l’indebitamento netto è passato da 154 a 440 milioni), tagliati 80 milioni d’investimento e gli organici erano 11.355 nel 2010 sono passati a 11.473 nel 2013 nonostante l’esodo incentivato (circa 600 persone) che peserà sul prossimo bilancio. In quattro anni i ricavi sono scesi del 9,4% a 2.728, 6 miliardi nonostante le entrate per canone siano salite a 1.755 miliardi pur in presenza di una elevata evasione. La Rai, comunque, parte da alcuni punti di forza che sono la ritrovata leadership nel mercato televisivo, l’offerta diversificata e i marchi storici.

Quale Rai del futuro? Per ora i vertici di viale Mazzini stanno lavorando sulle 17 correzioni del piano Gubitosi richieste dalla bicamerale presieduta da Roberto Fico. Il compito è affidato ad una troika di sicura fede “mazziniana”: Nino Rizzo Nervo in Rai dal 1979, amico di Sergio Mattarella dai tempi in cui era caporedattore in Sicilia, poi direttore del Tg3 ed ora della scuola di giornalismo di Perugia; Valerio Fiorespino, direttore delle risorse umane; Francesco Nardella, capostruttura di Rai Fiction, con i suggerimenti dell’Usigrai e le indicazioni dell’Adrai guidata dall’amico fiorentino di Renzi, Luigi De Siervo.


di Sergio Menicucci