A Sud di Roma: prima o dopo il Gra?

mercoledì 18 febbraio 2015


Siamo a sud di Roma. Verrebbe da chiedere ai barbuti tagliagole dell'Isis: "Avete già imboccato il raccordo?, direzione aeroporti-Aurelia-San Pietro, oppure direzione A1-Firenze?" Perché? Perché tra dire siamo a sud di Roma e Roma, prima c'è il mare e nel mare c'è il Mammellone e anche attraversando questo, indenni, costoro si troverebbero a fronteggiare le nuove legioni di Marcello sulle banchine del Porto grande di Siracusa, tutto lo spirito dell'orgoglio e della fede dei siciliani sotto le mura di Castrogiovanni, i cavalli di Sicardo nel beneventano e le prodi gesta dei marinai di Amalfi.

Poi, non siamo mica nell'826, come racconta Michele Amari, non c'è mica Abbas Ibn-Fadhl, che emiro era veramente ma un oscuro simil-satrapo che di nome fa Al-Baghdadi a guidare le milizie delle bandiere nere. Tra il dire siamo a sud di Roma e Roma c'è poi la civiltà della libertà della quale ci parla Tacito, ossia quella "accettazione della realtà, che non è rassegnazione, ma capacità di mediazione tra gioia e dolore e stimolo alla ricerca del senso della vita, della libertà del diritto". Per chi crede poi nella civiltà del Diritto e non solo in quella delle armi non può mai il delitto trovare né giustificazione né legittimazione. Non possiamo cedere alla violenza e alla barbaria dell'Isis perché questo significherebbe solo annullarsi nell'odio.

Quello che i tagliagole ci stanno propinando attraverso delle immagine violente ci deve far riflettere e tenere alta la guardia facendoci ritrovare il senso di appartenenza alla civiltà e alla fede, mettendo in guardia ognuno di noi a vigilare perché nessun Paese e nessuna democrazia è a riparo dall'arma del terrorismo, esterno o interno, dove il fanatismo religioso e etnico si contrappone alla tolleranza e alla civile convivenza. Non servono le chiacchiere alla rincorsa di strumenti persuasivi o dissuasivi, ma serve quell'assente solidarietà globale che è l'incipit di tutti coloro che intendono lottare contro il canagliesco diffondersi del terrorismo.

La Società delle Nazioni non può sottrarsi alle proprie responsabilità e continuare a restare immobile applaudendo solo ai raid aerei egiziani e giordani e sottovalutando i rischi concreti che corre il nostro Paese, lasciato da solo con il cerino in mano, a gestire la piaga degli sbarchi di immigrati clandestini, che come avevamo già denunciato rappresentano un terreno decisamente fertile sul quale i jihadisti hanno deciso di muoversi, infiltrando in queste masse di disperati veri e propri “profeti” della Guerra Santa, con l’unico scopo di fare proseliti e arruolare nuovi martiri. Un rischio concreto per l’Italia, per l’Europa e per l’Occidente intero.

Sebbene questo in molti continuano ad pubblicizzare le gesta jihadiste che alimentano la strategia del terrore senza considerare che serve un intervento globale e condiviso fuori dagli schemi e dalle posizioni di vendetta che arresti l’escalation di violenza, che annienti le pretese di Al-Baghdadi, dell’Isis e dei Fratelli musulmani e che riporti la pace senza mezze misure o fughe nazionalistiche, che fanno tanto male alla ragione dell’uomo.


di Beppe Cipolla