martedì 3 febbraio 2015
Si fa ricorrente sul web, accreditata peraltro da indiscrezioni stampa, la voce che a ricoprire il ruolo di futuro consigliere militare del neoeletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella possa venire designato l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, che è stato Capo di Gabinetto dell’allora ministro Mattarella nei Governi D’Alema ed Amato, più di recente ministro della Difesa nel Governo presieduto da Mario Monti, nel cui incarico si è trovato a gestire, impostandola sul binario in cui ancora oggi si trova, la vicenda dei due sottufficiali della Brigata Marina “San Marco” con un approccio che viene duramente contestato da più parti, tra cui il gruppo Facebook “Riportiamo a casa i due militari prigionieri”, ritenuto assai vicino all’allora ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, che si dimise platealmente perché in contrasto con la linea prevalente nel governo al tempo in carica e condivisa invece dall’allora collega della Difesa Di Paola. Alcuni aspetti di questo contrasto sono agli atti del Tribunale Dreyfus, sorto su iniziativa proprio de “L’Opinione delle Libertà”.
In questi ambienti ai quali facciamo riferimento, una eventuale nomina di Di Paola a consigliere militare del Presidente della Repubblica viene considerata una gravissima iattura non solo per gli sviluppi della vicenda dei due militari, in contrasto con ogni norma di diritto e con radicata consuetudine, trattenuti in India, persino in aperta violazione degli stessi diritti umani senza alcun capo d’accusa, ma solo per un inaccettabile e non giustificato atto di protervo imperio giurisdizionale di potenza emergente con il complesso dell’ex colonia, in quanto porterebbe a paventare, proprio facendo riferimento in continuità di stile alla gestione della vicenda in questione, una politica estera e militare di ispirazione “quirinalista” evanescente, supina ed accondiscendente in stile vetero democristiano.
Un rischio grave soprattutto nel contesto attuale di profonda crisi con il variegato mondo islamico la cui bellicosa aggressività sembra venire oggi contrastata con una aggiornata riedizione del “metodo Giovannone”, arrendevolezza ed inazione in cambio di una illusoria indisturbata terzietà, che rischia però di trasformarsi, peggio, di venire interpretata dai nostri alleati come complicità di fatto, non passiva e non semplicemente omissiva.
Certo, come rivendicato da taluno che ha oggi incarichi di governo, siamo uno stato sovrano e possiamo fare le nostre scelte, ad esempio se trattare o meno eventuali ipotetici riscatti con gruppi di terroristi, senza farci condizionare dai nostri alleati; certo possiamo scegliere questo approccio, ma poi non possiamo rivolgerci a quegli stessi alleati chiedendo aiuto, sostegno e copertura, in quanto formalmente esprimerebbero accondiscendenza, magari aprendo la lettera di cortesia con un “Dear Interlocutore” chiamato con il nome di battesimo, ma traendone poi le per loro debite conseguenze.
di Giorgio Prinzi