Giustizia, il documento della Camera Penale di Milano

martedì 27 gennaio 2015


Una prima impressione su quanto è accaduto sabato scorso, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015, nei distretti di corte di appello del Paese è l’evidente insofferenza del sindacato delle toghe e dei suoi esponenti nei confronti di ogni iniziativa legislativa che non sia gradita. Eppure anche la politica “al tempo di Renzi” non ha certo brillato per iniziative che siano conseguenza di un disegno autenticamente riformatore sulla Giustizia. E’ bastato introdurre forme di responsabilità civile che raggiungono la soglia minima necessaria per evitare le sanzioni europee e decurtare pochi giorni di ferie per far scattare il nervo corporativo di una magistratura che sembra avere perso il contatto con la realtà. Mai come in questo momento storico le Camere Penali devono sostenere con la loro elaborazione culturale quella parte della politica che ha seriamente intenzione di sciogliersi dall’abbraccio mortale con la magistratura, quell’abbraccio che ha impedito sino ad oggi qualsiasi vera riforma della giustizia penale. Salvatore Scuto (Presidente della Camera Penale di Milano)

 

Di seguito pubblichiamo il documento intitolato “Luci ed ombre sull’anno che verrà” della Camera Penale di Milano.

Se il 2014 si è concluso con la presentazione del ddl Orlando sulla riforma della giustizia, provvedimento in più punti discutibile ma adottato nella forma più opportuna della democrazia parlamentare, il 2015 si apre con la notizia della prossima presentazione dell’articolato “Gratteri” che, secondo quanto afferma lo stesso autore, per l’80 per cento dei 130 articoli sarebbe adottabile all’istante nelle forme del decreto legge. Il che, a prescindere dai contenuti, è scelta in controtendenza rispetto al modo di operare in materia di giustizia penale scelto dal Ministro Orlando; i requisiti di necessità e urgenza non paiono caratterizzare riforme strutturali quali quelle preannunciate, almeno alle latitudini in cui si attesta, appunto, la democrazia parlamentare assai distanti da quelle in cui si aggira il desiderio di taluni verso la democrazia giudiziaria.

Ma, al di là della forma, è preoccupante il solo pensiero che la filosofia di fondo di quest’ultima riforma si sostanzi nell’estensione del doppio binario al di fuori del contesto dei reati di criminalità organizzata: la tutela delle garanzie dell’accusato resta completamente al di fuori di un provvedimento che vuol fare dell’eccezione la regola. Così, anziché tendere verso il superamento di quella vera e propria tenaglia processuale che caratterizza il rito dei procedimenti deputati ad accertare responsabilità e sussistenza dei reati di criminalità organizzata, si cerca di esportare ed espandere quel modello. Nel frattempo, però, qualche buona notizia nel progetto Orlando la si può rinvenire: l’aver recepito, per esempio, in parte i risultati dei lavori delle Commissioni ministeriali (come quella presieduta da Giovanni Canzio), partecipate anche dagli avvocati, è segno di attenzione verso il confronto sulle problematiche del sistema penale. Restano indubbiamente alcuni vuoti. Non si è voluto affrontare, per esempio, il dato di fatto, confermato ampiamente dalle statistiche, della maturazione di una gran parte delle prescrizioni (poco meno di tre quarti del totale) nella fase delle indagini preliminari. L’ipotizzato congelamento del termine di prescrizione dopo la sentenza di primo grado finisce per incidere su una fase nella quale il fenomeno è poco rilevante, costituendo però – allo stesso tempo – una inutile e tanto più inaccettabile compressione del diritto di ogni persona a non rimanere per un tempo irragionevole sotto la spada di Damocle della sanzione penale.

Certo, va rilevato che il numero di procedimenti che si prescrivono, seppure in calo significativo, è in valore assoluto rilevante. In parte, il dato è dovuto al meccanismo di obbligatorietà dell’azione penale, che impone l’iscrizione di un grande numero di notizie di reato, anche qualora esse siano destinate a “morte certa”. D’altro canto, sia le forze politiche che la stessa magistratura associata danno l’impressione di approfittare del fatto che non è sempre agevole spiegare ai cittadini il senso profondo del meccanismo della prescrizione, che spesso viene percepito come istituto tendente alla impunità del colpevole. Deve essere, al contrario, affermato che la prescrizione è un istituto che tutela il corretto accertamento dei fatti, che non può che avvenire in un ragionevole lasso di tempo dalla loro presunta commissione.

A tale caratteristica, poi, si lega il principio della finalità rieducativa della pena, che inevitabilmente si attenua a distanza dal fatto-reato, e, infine, del principio per cui la sottoposizione dell’imputato al processo non può durare all’infinito. Per arginare tale retorica densa di allarmismi e pelosa indignazione, allora è utile fare ricorso ad un’analisi obiettiva dei numeri effettivi. Questa, infatti, consente di svolgere alcuni ragionamenti sulla base di presupposti concreti. Per questa via, come si vedrà, si dovrà prendere atto della depenalizzazione di fatto di alcune figure di reato, si dovrà escludere che il fenomeno della prescrizione sia finalizzato a “proteggere” la classe politica, si dovrà anche valutare l’opportunità di mantenere quali contravvenzioni, e quindi rapidamente prescrivibili, numerose ipotesi di reato che potrebbero essere tramutate in più efficaci illeciti amministrativi. E, soprattutto, si potrà definitivamente affermare che il fenomeno della prescrizione si colloca per la gran parte nel corso delle indagini preliminari e che non ha nulla a che vedere con presunte iniziative dilatorie della difesa, che ne comportano di norma il blocco del decorso. E che, infine, la prescrizione altro non è che la difesa rispetto alla possibilità di rimanere sulla graticola della pendenza del procedimento sine die.

Esaminando i dati dei reati dei quali è stata dichiarata la prescrizione negli anni 2010/2012, forniti dal viceministro Costa in occasione di un convegno Ucpi lo scorso novembre a Roma, emergono alcuni aspetti significativi.

I reati edilizi si collocano quasi tutti su percentuali di casi di prescrizione rispetto ai procedimenti iscritti superiori al 20 per cento annuo e su numeri assolutamente significativi. Ancor peggio per quanto riguarda i reati ambientali, che raggiungono talvolta percentuali superiori al 50%, pur costituendo numericamente un gruppo di inferiore importanza. In valore assoluto, insieme alle violazioni legate all’edilizia, spiccano moltissime figure di reati comuni contro il patrimonio: truffa, ricettazione, furto, appropriazione indebita. Tutti però in misura contenuta se confrontati con l’enorme carico di procedimenti per queste tipologie di reato. La corruzione, così come le altre figure di reati contro la pubblica amministrazione, si colloca su livelli bassi, sia in percentuale che come valore assoluto (57 casi di corruzione ex articolo 319 c.p. dichiarati prescritti nel 2012, pari al 9% dei procedimenti trattati; dato percentuale analogo per l’abuso d’ufficio, seppure con valore assoluto decisamente superiore; percentuali maggiori ma numeri nettamente inferiori per la corruzione ex art. 318 c.p.). A tali dati, va affiancato il dato riepilogativo più significativo: negli ultimi 10 anni, il 73 per cento delle prescrizioni sono state dichiarate nel corso delle indagini preliminari, quindi per ritardi legati ad una fase in cui l’intervento difensivo è pressoché nullo e i tempi dovrebbero essere scanditi dal sistema dei termini per le indagini. La realtà è che il sovraccarico del sistema è causa inevitabilmente di una selezione dei casi meritevoli di essere ‘portati’ a processo; selezione i cui criteri reali, sotto l’ombrello del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, sono tutt’altro che trasparenti.

Al di là dell’idea, pressoché condivisa, circa la necessità di un autentico processo di depenalizzazione, dobbiamo registrare come i pochi processi legislativi che tendono in tale direzione siano talmente lenti da arrivare in qualche caso a far scadere i termini posti dalla stessa legge delega. Occorre poi sottolineare come nessun intervento sia stato posto in essere rispetto ai meccanismi procedimentali che creano il sovraccarico dei fascicoli nella fase delle indagini preliminari. Non si sono voluti prendere in considerazione, per esempio, meccanismi di controllo della durata delle indagini preliminari, come quelli ipotizzati dalla ricordata Commissione Canzio. E neppure è stata anche solo menzionata l’ipotesi di agire sul versante dell’obbligatorietà dell’azione penale, tema, questo, da sempre tabù per la politica. Anche se – a fronte di un legislatore bloccato da possibili accuse di voler tutelare la classe politica – diversi uffici giudiziari si muovono di fatto proprio su questo fronte, introducendo criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti penali, che, di fatto, si risolvono in deroghe alla obbligatorietà attraverso l’eutanasia per prescrizione dei fascicoli di minor rilievo. E ciò, per di più, al di fuori di qualsiasi meccanismo di controllo democratico e, quindi, parlamentare.

E a proposito del tema della obbligatorietà dell’azione penale e dei criteri di assegnazione dei fascicoli, non si può non menzionare la situazione di conflitto all’interno della Procura della Repubblica di Milano, che perdura ormai da un anno. Sin da subito, la Camera Penale di Milano ha sottolineato l’esigenza che la vicenda fosse risolta alla luce del sole, sul presupposto che essa coinvolge temi che interessano la generalità dei cittadini (la predeterminazione dei criteri di assegnazione dei procedimenti e la rigorosa applicazione di tali criteri, a presidio dei principi di obbligatorietà dell’azione penale e di imparzialità dell’attività giudiziaria). E ancora è tornata sul tema allorché il Consiglio Superiore della Magistratura ha assunto una decisione ritenuta pilatesca da molti, evidenziando come l’organo di autogoverno della magistratura non abbia, nell’occasione, preso alcuna posizione rispetto alla interpretazione dei principi del d. lgs. 106 del 2006 di riforma dell’ordinamento giudiziario con riguardo alla riorganizzazione degli uffici di Procura. A più riprese si è anche evidenziato come quella “non decisione” possa risolvere il problema lasciando entrambi i contendenti al proprio posto.

Abbiamo poi assistito al tentato accomodamento della vicenda ipotizzato e poi tramontato nel volgere di poche ore, riflesso di un’autoreferenzialità tanto elevata da disarticolare la percezione dei propri comportamenti rispetto a quanto non solo l’opinione pubblica ritiene ma lo stesso ordinamento giuridico e con esso lo statuto della magistratura prevede. Una sorta di “circumnavigazione” delle norme e degli obblighi di legge, per usare la felice metafora di una delle firme più autorevoli della cronaca giudiziaria, attraverso la quale ci si ostina a mettere la polvere sotto il tappeto. Al contrario, proprio la grave situazione che si è venuta a creare nell’Ufficio milanese, postula la necessità di risposte chiare ai problemi che l’hanno determinata senza che si imbocchino scorciatoie che produrrebbero un ulteriore indebolimento della credibilità della Giustizia agli occhi dei cittadini. In occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario, pertanto, la Camera Penale di Milano intende denunciare ancora una volta come non è più procrastinabile l’urgenza di una decisione idonea a riportare l’Ufficio della Procura nelle condizioni di normalità, presupposto ineludibile per il corretto esercizio delle delicate funzioni che allo stesso spettano.

Concludiamo queste riflessioni tornando al punto in cui eravamo partiti ovvero la contrapposizione tra due metodi, ciascuno dei quali attinenti ad un merito assai differente. In questi giorni, infatti, si è pericolosamente allungata l’ombra di un intervento populista ed autoritario sul processo penale che porta il nome dell’ennesimo dottor Stranamore pronto a creare un mondo migliore.

Questo intervento sembra portare il suggello della stessa Presidenza del Consiglio e contrapporsi all’azione politica del ministro di Giustizia. A Renzi spetta il compito di fugare un simile preoccupante scenario e di dire parole chiare che siano espressione di un riformismo autenticamente liberal-democratico e non tese a rincorrere il più demagogico populismo giudiziario.

Il Consiglio direttivo della Camera Penale di Milano


di Salvatore Scuto