giovedì 22 gennaio 2015
Il centrodestra non dorme, è sempre in coma rem. Non è riuscito, nel Lazio, ad eleggere neanche uno dei grandi elettori del nuovo Presidente della Repubblica Italiana, pur avendo ottenuto dagli elettori nel 2013 ben 850mila voti. I grandi elettori del Lazio saranno due democratici (il governatore Nicola Zingaretti e l’ex sindaco di Zagarolo, Daniele Leodori) ed il capogruppo grillino Gianluca Perilli. È il risultato del litigio a tre tra Destra, Nuovo Centrodestra e Forza Italia.
L’ex candidato governatore destro Francesco Storace si è risentito per il veto sul suo nome ed ha votato contro il candidato del Ncd, l’ex assessore Giuseppe Cangemi. Complici due schede bianche e l’assenza del consigliere Fabio De Lillo, Cangemi ha preso un voto in meno del grillino (9 a 10). Storace ha subito gongolato su twitter: “Capolavoro alla regione Lazio. Dopo i veti su di me...”. Adriano Palozzi, un tempo membro della componente storaciana ed oggi Fi, ha commentato: “L’amico Storace, sostenuto con fedeltà e coerenza come vicepresidente del Consiglio regionale, oggi ci ripaga con grande “lealtà politica” ”. C’è poco da gongolare. E c’è poco da considerare un tutt’uno un insieme di partiti, parte al governo e parte all’opposizione i cui membri tutti nel proprio animo si sentono legati all’animus di partiti scomparsi da 20 anni. L’incapacità di rappresentare quasi 850mila voti riflette la classe dirigente di diversi partiti capaci di dirsi contemporaneamente liberali e illiberali, nazionalisti e universalistici, filo privati e statalisti.
Altro esempio viene dal Veneto che sta andando alle elezioni regionali. Tre consiglieri regionali Fi, Moreno Teso, Leonardo Padrin e Renzo Marangon, hanno chiesto che la Regione, ora guidata dal leghista Luca Zaia, sia obbligata a farsi parte civile nel chiedere i danni, per un miliardo di euro, contro quello che è stato chiamato il “fabbisogno sistemico” della gestione Mose. L’uragano dell’inchiesta sul sistema antiacqua alta veneziano, ha portato in galera tantissimi imprenditori, dipendenti regionali e privati, commercialisti, ex magistrati alle acque, finanzieri e generali. Stranamente, in una città governata “illo tempore” dalla sinistra, il cui sindaco Pd è stato sostituito dal commissario prefettizio, l’inchiesta ha, soprattutto, colpito gli esponenti del centrodestra, presenti nell’ultimo governo Berlusconi, negli attuali Parlamento ed Europarlamento fino al governo regionale. Ha messo agli arresti domiciliari il presidente della commissione cultura a Montecitorio Giancarlo Galan e l’ex europarlamentare Amalia Sartori.
Se Teso proviene dalla destra An, Padrin e Marangon sono democristiani d’antan, il primo, ciellino, da quando a vent’anni diventò consigliere comunale nell’80, il secondo dal ’74. Marangon, già sindaco di Rovigo, fu assessore del terzo governo Galan ed ora è tornato consigliere regionale dopo una battaglia giudiziaria di 4 anni contro l’assessore Isi Coppola dichiarata decaduta per eccessive spese elettorali non denunciate. C’è da chiedersi come facciano tre persone moderate ed esperte dell’arte di governo a manifestare tanta furia, simile a quella dei movimenti anti tav ed anti fare, la cui idiosincrasia contro le grandi opere in genere costa miliardi al Paese. La proposta dei tre forzisti può apparire come esempio di difesa dell’etica ma ha il sapore di un regolamento dei conti interno, di una vendetta retroattiva democristiana in odio al capo liberale di ieri leader veneto indiscusso per anni. La conclamata volontà di dare la caccia ai 100 milioni stimati di danno anno (per dieci anni) aiuta la debole candidatura della camaleontica Alessandra Moretti, reginetta borghesuccia della bella presenza. La rissa suicida non solo ricorda le lotte intestine della Democrazia Cristiana che fu.
Fa l’occhiolino alla trasformista democratica (già forzista) aiutandola a riprendersi dagli scandali veneziani della gestione Pd. La Lega può tenere ma non si sa mai… Il Centrodestra non ha il problema delle primarie. Ha quello di trovare le prove di esistenza (di un’anima comune).
di Giuseppe Mele