La corsa tragicomica verso il Quirinale

venerdì 16 gennaio 2015


Un fastidio. Una noia da togliersi. Una circonferenza da far quadrare. Un incubo. E una corsa tragicomica a chi la spara più grossa in materia di candidabili. A questo si è ridotta l’elezione del capo dello Stato negli ultimi venti anni. Con un identikit del futuro inquilino del Quirinale che assomiglia sempre di più a un ipotetico Frankenstein (come ha argutamente rilevato su “La Stampa” Mattia Feltri).

Infatti il candidato ideale è sia uomo che donna, sia negro che bianco, di sinistra ma anche no, un notaio ma anche un avvocato, un politico e persino un antipolitico. Deve contenere tutto e contentare tutti e quindi alla fine viene fuori un mostro. Un mostro assembleare e assemblato. E nel frattempo i nomi circolano solo sui giornali, ieri l’ultimo è stato il Draghi di serie B, Ignazio Visco, a capo della Banca d’Italia nel frattempo trasformatasi in ufficio studi. Oltre che in stipendificio di privilegiati.

Sullo sfondo le votazioni che il capo di governo giura saranno brevi e con un candidato condiviso mentre il parlamento che sarà presto chiamato alla seduta comune con i grandi elettori si prepara in realtà a dare sfogo alle faide che consumano la politica italiana da venti anni a oggi. E a proposito di camere riunite qualcuno si è accorto che il Parlamento si è letteralmente dimenticato di eleggere il secondo giudice costituzionale di propria competenza dopo che per eleggere il primo ci vollero tre o quattro richiami di Napolitano? Non se ne parla più. Tanto meno sui giornali. E’ come se alla Consulta si fossero rassegnati a deliberare in 14 invece che in 15. E anche se il peso specifico di un giudice costituzionale scelto dal Parlamento è infinitamente inferiore a quello del futuro presidente della Repubblica si dà adito così a un ulteriore ipoteca in un mercato politico che francamente in Italia è sempre stato simile a quello delle vacche o dei cammelli. Tanto per restare in argomento.

In realtà l’elezione ogni sette anni di un capo dello stato dopo i bei tempi della prima repubblica chiusi dalle dimissioni di Cossiga del 1992 sta diventando un problema in più per una classe politica del tutto impreparata rispetto a quella che l’ha preceduta e che fu cacciata dalla procura di Milano per essere sostituita dal nulla assoluto o quasi. Se un tempo potevano concorrere persone come Amintore Fanfani e Francesco De Martino, Aldo Moro e Giovanni Leone ecc., oggi, si parva licet, i nomi che si fanno sono quelli di Walter Veltroni, un figlio di papà di sinistra prestato alla politica, o di Pier Luigi Bersani, un modesto politicante emiliano reso popolare più dalla satira che dalle proprie opere. Oppure si ricorre al tecnico di turno. Che è come chiamare un idraulico a dirigere la cosa pubblica. Per fortuna che questo problema ci sta solo una volta ogni sette anni, se fosse quadriennale come in America, visto che l’elezione diretta viene paventata e negata al popolo, la politica italiana andrebbe in overbooking esistenziale immediatamente.

E già così eleggere il successore di Giorgio Napolitano è soltanto una grana che non si vede l’ora di togliersi di torno. In Italia è proprio la democrazia che sta diventando una fatica. A pensarci bene. Ringraziamo l’antipolitica e i magistrati per questo, ma anche quelli che hanno cavalcato elettoralmente ciò a metà degli anni Novanta. Ora raccogliamo i frutti.


di Dimitri Buffa